lunedì 26 gennaio 2009

lunedì 19 gennaio 2009

Il nuovo editto bulgaro di Berlusconi

“Questa tv pubblica è indegna di un paese civile..”, se la frase avesse compreso anche la tv privata, forse sarebbe stato persino possibile avviare un dialogo con l’interlocutore del quale, per il momento, non sveliamo il nome.
Contro chi e contro cosa si scagliava l’incazzato anonimo? Forse era indignato per i troppo quiz milionari che rappresentano uno schiaffo alle povertà, forse era sconvolto dall’ultima puntata dei grandi fratelli o delle piccole sorelle, forse era disgustato dall'ultima apparizione televisiva di Moggi o di Licio Gelli, può darsi che non sopportasse le tante censure che stanno condizionando l’informazione da Gaza e su Gaza, oppure poteva aver casualmente letto i verbali delle intercettazioni tra il presidente del consiglio e alcuni dirigenti della Rai.
Una simile lettura avrebbe consigliato qualcosa più del disgusto e del giudizio d’indegnità. Nulla di tutto questo l’incazzato ignoto era ed è il medesimo Silvio Berlusconi questa volta in versione editto bulgaro bis. La sua esternazione non ha nulla a che vedere con i tanti programmi ignobili che effettivamente vanno in onda, molti dei quali trasmessi dalle reti di sua proprietà. A Berlusconi non viene neppure in mente di proporre una riforma dei media e delle tv, non ha intenzione alcuna di liberare la tv dai tanti programmi spazzatura, più modestamente la sua esternazione è tutta mirata a chiedere la testa di Santoro, dei Travaglio e di quei rompiscatole che ancora osano dare un diritto di rappresentazione a quei soggetti politici e sociali altrove letteralmente cancellati. Non si discute il diritto a criticare, anche aspramente una qualsiasi trasmissione ed un singolo conduttore. Ci mancherebbe altro! Sarebbe ora e tempo di aprire una seria discussione sui modelli televisivi prevalenti nel pubblico e nel privato.
Nel caso in questione, tuttavia siamo in presenza solo e soltanto della ennesima variante dell’editto bulgaro.
Gli stessi che ora puntano il dito contro Annozero hanno taciuto di fronte alle liste di proscrizione e alle tante censure e omissioni di questi anni e persino di questi giorni. Come definire il silenzio che ha circondato la “la fucilazione mediatica del giudice Caselli? Cosa dire dell’esibizione di Luciano Moggi, appena condannato dal tribunale? Le medesime autorità istituzionali che hanno tuonato contro Annozero hanno, invece, taciuto su Eluana Englaro e sulla decisione del governo di sospendere la applicazione di una sentenza. Il loro amore per la verità e per la legalità, evidentemente, non va oltre la richiesta di misure disciplinari contro una sola trasmissione giornalistica.
In queste ore, anche nel mondo giornalistico e politico, molti già si fregano le mani, sperando che finalmente sia data una bella lezione a Michele Santoro e alla sua squadra. Presto molto presto, scopriranno che il nuovo editto bulgaro non si fermerà qui. Da mesi il presidente del consiglio, il fido Dell’Utri, il fidatissimo sottosegretario Romani, l’antico maestro Licio Gelli, scrivono e ripetono che la Rai dovrà essere pulita da ogni presenza sgradita. Nell’ordine hanno bersagliato Santoro, Travaglio, Fabio Fazio, Carlo Lucarelli, i comici, gli autori di satira, Blob, il commissario Montalbano, Milena Gabanelli, il TG3, i conduttori e le conduttrici del TG3 definite troppo “dark“, tutta Rai 3 e persino alcune trasmissioni di Mediaset, troppo sensibili alla cronaca sociale. Il medesimo Silvio Berlusconi ha chiesto che dalle trasmissioni siano espulsi quei temi che potrebbero generare ansia: le povertà, il malessere sociale, gli sbarchi sulle isole, il puntuale ripetersi di questi casi di cronaca nera che, durante le scorse elezioni, rappresentarono il piatto forte della propaganda della destra.
Quello che oggi se la ridono, scopriranno presto, molto presto che, per parafrasare De Andrè, anche se si credono assolti saranno inevitabilmente coinvolti.

domenica 18 gennaio 2009

Orientamentii...

Voi siete qui - Il sor Michele e la sora Lucia
Come arma di distrazione di massa non è niente male. Se davanti a migliaia di civili uccisi il dibattito si sposta sul sor Michele e la sora Lucia e sui mediocrissimi cazzetti nostri, allora pietà l’è morta, e basta là. Se il dito mostra l’ospedale di Gaza e invece di raccapricciarsi per i bimbi fritti da armi illegali, si dice quanto è fazioso il dito, forse il buonsenso e la pietà non possono che ritirarsi in buon ordine. Eppure mi si permetta una notazione in margine sullo scazzo Santoro-Annunziata. E’ davvero strano, molto strano, che nei commenti sulla faccenda (ieri più numerosi di quelli sul massacro di Gaza) nessuno si sia soffermato nemmeno per un istante su un’affermazione di Lucia Annunziata che trascrivo letteralmente. Intervenendo per interrompere il dibattito tra due ragazze di opposte vedute, Annunziata dice: “…Voi avete ragione, ma qui siamo italiani e dobbiamo anche orientare il pensiero degli italiani su questa cosa”. Affermazione che merita una certa qual vertigine. Orientare? Chissà se qualcun altro ha fatto lo stesso balzo sulla sedia che ho fatto io. Informare. Raccontare. Far vedere. Spiegare. Mostrare. Illustrare. Chiedere. Esprimere un parere. Che da bravi giornalisti si debba “orientare il pensiero” non l’avevo mai sentita, e tendo a considerarla una voce dal sen fuggita, una cosa che si sa, ma che nessuno aveva mai confessato con tanta chiarezza. Orientare, bella parola. Quando Saddam aveva le armi di distruzione di massa siamo stati informati o orientati? Quando il paese tremava per un’inesistente emergenza sicurezza che serviva soltanto a far vincere le elezioni al solito noto siamo stati informati o orientati? Il signor Fini, con tutti gli altri, si è orientato subito. Quelli che hanno ancora una coscienza, invece, e qualche pietà, potrebbero orientarsi verso Gaza e vedere quel che succede. Senza polemica, per una volta, ma con infinita tristezza.

E buon 2009!!!!


I tormenti di Tremonti
nell'anno terribile
di EUGENIO SCALFARI

Lo dico senza ironia: mi sto sempre più affezionando a Tremonti perché lo vedo profondamente tormentato. Per molto tempo non ho preso sul serio quella sua melanconia, pensavo che facesse parte d'una recita lucidamente messa in scena per ingraziarsi il pubblico e le gazzette e - magari - rafforzare la sua futura candidatura politica a succedere al suo "boss" quando il momento verrà. Ma ora credo d'aver capito le cause di questo suo sentimento.

Tremonti teme che nell'anno terribile che abbiamo appena cominciato a percorrere il Tesoro non riuscirà a raccogliere sul mercato italiano ed europeo i denari necessari a finanziare il fabbisogno necessario per le casse esangui dello Stato. Teme - ed ha ragione di temere - che i titoli italiani non troveranno sottoscrittori, attratti dai titoli emessi dagli altri paesi membri dell'Unione europea e in particolare dalla Germania e dalla Francia.

Ci sarà, in questo 2009, una marea di nuove emissioni per finanziare i deficit dei bilanci europei, tutti in grave disavanzo per arginare con maggiori spese e con sgravi fiscali la recessione ormai in atto. I risparmiatori chiamati a scegliere a quale titolo affidare i loro risparmi preferiranno i "bond" tedeschi e francesi o addirittura i "Treasury bond" del Tesoro americano, a quelli italiani. Non inganni l'andamento delle ultime aste, dove la domanda di Buoni del Tesoro a tre mesi è stata superiore all'offerta. Si trattava di importi relativamente modesti e Germania e Francia dal canto loro non avevano ancora inondato il mercato con emissioni massicce. Ma nel prossimo futuro non sarà più così. L'incubo di Tremonti è questo: fare la fine della Grecia, dell'Irlanda, della Spagna e della stessa Inghilterra.

La Grecia, se non interverrà a tenerla in piedi il Fondo Monetario internazionale, finirà addirittura fuori dall'euro; l'Irlanda corre lo stesso rischio.

L'Italia è ancora lontana da quella soglia, ma il pericolo non è immaginario, esiste ed è concreto.

L'alternativa sarebbe quella di stampare carta moneta, ma questo è un potere che ha trasmigrato da Roma a Francoforte, non è più sotto il controllo della Banca d'Italia ma della Bce. Senza dire delle conseguenze anomale (e quanto anomale) che una politica del genere produrrebbe sul tessuto dell'economia reale e di quella finanziaria.

Questa è la vera ragione della recente "fede" europeista di Tremonti, del suo tentativo di creare un "fondo sovrano" europeo, una Cassa Depositi e Prestiti europea, una Bei (Banca europea degli investimenti) dotata di fondi eccezionali per il finanziamento di opere pubbliche.

Tremonti ha puntato tutto su queste ipotesi, nessuna delle quali è andata però a buon fine. Ora sta puntando su aiuti europei ai vari settori industriali in difficoltà, a cominciare dall'automobile, ma su questa strada non si potrà far molto se non allargare i cordoni della borsa per aiuti nazionali e coordinati alle imprese automobilistiche che lavorino a nuovi tipi di autovetture "verdi", alimentate da energie alternative. Briciole, ipotesi futuribili, che Germania e Francia hanno già superato per evitare fallimenti a catena e disoccupazione dilagante, per non parlare degli aiuti americani agli ex "grandi" di Detroit.

Il nostro ministro dell'Economia aspetta di vedere fino a che punto Obama interverrà nella politica economica Usa e come reagiranno le autorità europee. Non farà nulla senza il consenso dell'Europa e senza la partecipazione finanziaria dell'Europa. Altre alternative non ci sono.

Il suo peccato originale fu di consentire nel giugno scorso l'abolizione dell'Ici, l'operazione Alitalia, lo sperpero d'un paio di miliardi in regalie varie, un totale di otto-dieci miliardi di euro che oggi sarebbero stati preziosi anche se insufficienti.

Peccato di omissione, mancata resistenza alla fuga in avanti del suo "boss". Di qui il suo tormento. Come persona fa tenerezza, come responsabile politico dell'economia si trova in una difficilissima posizione che lo spinge a sottovalutare in pubblico la gravità d'una situazione a lui perfettamente nota.

* * *

I tormenti di Tremonti sono naturalmente una metafora; quello che ci importa sono i mali del paese, cioè di tutti noi. In parte ereditati da vent'anni di dissipazione e di crescenti e non più tollerabili diseguaglianze sociali e territoriali; in parte aggravati da un quindicennio berlusconiano che ha approfondito quelle diseguaglianze e dissestato ulteriormente i conti pubblici.

Veltroni ha detto l'altro giorno una verità nota da sempre agli specialisti ma mai resa esplicita nel dibattito pubblico: ogni volta che Berlusconi è stato al governo la spesa è aumentata di due punti di Pil. Aumentata e dissipata, con diseguaglianze che hanno ora contagiato anche il Nord. C'è un Nord ricco di fronte ad un Sud povero, ma anche un Nord ricco di fronte ad un Nord povero in via di progressivo ulteriore impoverimento.

Tremonti ha certamente un piano per superare l'anno terribile; quale sarà lo si è capito da tempo: trasferire risorse da Regioni e Comuni al Bilancio dello Stato.
Queste risorse serviranno a triplicare il finanziamento della Cassa integrazione, che per far fronte al crollo della produzione dovrà passare da 1,2 miliardi a quattro; ma almeno altri due miliardi gli serviranno per estendere gli ammortizzatori ai licenziati e licenziandi che vengono dal lavoro precario e anche dal lavoro nero. Infine gli sgravi fiscali per sostenere le famiglie e i loro consumi.

Mettendo tutto insieme, solo per far fronte a questo livello minimo di resistenza ci vorranno dieci miliardi in aggiunta ai cinque già previsti dal decreto anticrisi approvato tre giorni fa dalla Camera. Dieci miliardi sottratti a Regioni e Comuni, cioè a servizi e opere pubbliche di immediata fattibilità.

Si parla molto in queste settimane dei guai e delle discordie nel Partito democratico. Sono fatti spiacevoli e grattacapi seri, ma quisquilie se si confrontano con il fallimento d'una politica economica inerme e impotente di fronte alla più grave crisi degli ultimi ottant'anni. La recessione del Pil del 2 per cento nel 2009 è ormai certificata dalle istituzioni internazionali. "Si ritornerà al Pil del 2005" ha detto il ministro dell'Economia ostentando la massima calma e aggiungendo: "Non è certo un ritorno al Medioevo". Con tutto il rispetto, onorevole ministro, a me paiono parole irresponsabili perché dietro quell'arida cifra del 2 per cento ci sono milioni di famiglie, di volti, di storie in gravi e gravissime difficoltà. Non sta bene insultarli sia pure con l'intento di rassicurarli. Il suo compito, come da molte parti le è stato ricordato, è di dire la verità e di spiegare in che modo lei intenderà procedere.

Questo vorremmo sentire ma questo non abbiamo mai sentito.

Post Scriptum. La clinica convenzionata Città di Udine ha comunicato venerdì scorso che non potrà effettuare l'intervento richiesto dalla famiglia Englaro e autorizzato dalla Cassazione, per porre fine alla vita vegetativa di Eluana a diciotto anni di distanza dal suo inizio. La suddetta clinica era disposta ad eseguire ciò che la famiglia voleva e che la magistratura aveva autorizzato, ma ne è stata impedita dall'intervento del ministro Sacconi il quale ha minacciato di far cessare i rimborsi dovuti alla clinica per le degenze dei suoi clienti, costringendola quindi a sospendere la sua attività.

La decisione d'un ministro ha cioè la forza di impedire che una sentenza abbia corso. Si tratta d'un fatto di estrema gravità politica e costituzionale, di un precedente che mette a rischio la divisione dei poteri e la natura stessa della democrazia. Poiché si invoca da molte parti una riforma della giustizia condivisa con l'opposizione, a nostro giudizio si è ora creata una questione preliminare: non si può procedere ad alcuna riforma condivisa se non viene immediatamente sanata una ferita così profonda. Se la volontà politica di un ministro o anche di un intero governo può impedire l'esecuzione di una sentenza definitiva vuol dire che lo Stato di diritto non esiste più e quindi non esiste più un ordine giudiziario indipendente.
Non c'è altro da aggiungere per commentare una sopraffazione così palese e una violazione così patente dell'ordinamento costituzionale.


sabato 17 gennaio 2009

Miglior premier non protagonista


Ha suscitato interesse nel mondo dello spettacolo la frase ormai storica pronunciata solennemente dal noto performer italiano Silvio Berlusconi, frase che qui riproponiamo testualmente affinché non si perda nulla del peso e del significato delle parole pronunciate: “Non sarò presente all’inaugurazione del Presidente Obama perché io sono un protagonista, non una comparsa”. La frase è apparsa talmente significativa da travalicare e superare l’ovvia domanda: “Ma era stato invitato?”. Infatti un altro argomento si impone: Berlusconi si definisce “protagonista” e questo reclamo di titolo ha subito messo in subbuglio sia i circoli politici che le giurie dei vari premi di televisione, varietà e cinema. In politica l’obiezione è stata: “Protagonista di che cosa?”. Berlusconi non ha avuto e non ha alcun ruolo in Europa e nella politica europea. Non risulta avere preso parte, meno che mai da protagonista, ad alcun evento che abbia a che fare con la crisi finanziaria che attanaglia il mondo e al rischio di crollo della economia globale. E’ in corso in Medio Oriente una guerra pericolosa e sanguinosa in cui da un lato è in gioco la vita di moltissimi civili e dall’altra la sopravivenza di un intero paese. Non si conosce sull’argomento neppure il suono della voce di Berlusconi. Ma attenzione, lo stesso Berlusconi la mattina del giorno 12 gennaio fa sapere che nella serata precedente (una delle più violentemente combattute e distruttive della guerra appena citata) il primo ministro italiano ha dedicato tutta la sua attenzione e il suo tempo all’“Isola del Famosi”. La straordinaria dichiarazione non può restare senza conseguenze. Uscito da ogni rilevanza politica, Berlusconi balza subito in primo piano nel mondo dello spettacolo. A differenza di “Gomorra”, Berlusconi sarà certamente preso in considerazione dalle più autorevoli giurie di show business. Però molti esperti hanno già fatto sapere: “COME PROTAGONISTA NO”. Infatti Berlusconi entra in tutti gli spettacoli (e questo è il grande talento dei caratteristi), ma non ne finisce nessuno, o perché si distrae, o perché si stanca o perché dimentica il copione, o perché abbandona per giorni, a volte per settimane, la sua compagnia di giro. Dunque “caratterista”, anche perché gli giovano gli strani capelli, la bassa statura, i tacchi alti, il sorriso finto, le tenute sportive, le bandane, il vezzo di puntare il mento verso l’altro forse per tenere in tensione la pelle del sottomento che tende a cedere. In altre parole, un caratterista non si deve dimenticare, si ripete per sempre e questa è certo la sua forza. Hollywood però suggerisce un riconoscimento più preciso, scrupolosamente costruito su fatti veri, Ecco che cosa dirà la targa: “MIGLIOR PREMIER NON PROTAGONISTA” nel senso che nessun premier è mai riuscito, come lui, ad essere protagonista di nulla, ormai per anni. Furio Colombo

mercoledì 14 gennaio 2009

L'Affare Alitalia

The Daily Telegraph, 12.1.09

Questa estenuante pantomima nazionale ha creato molti vincitori, a partire da Silvio Berlusconi, primo ministro italiano, mentre i grandi sconfitti sembrerebbero essere gli Italiani.
Si dice che Berlusconi abbia approvato l'acquisto da parte di Air France-KLM del 25% delle azioni di Alitalia per 320 milioni di euro. Una vittoria per il politico-magnate.
L'affare dovrebbe segnare la separazione definitiva dello stato dalla compagnia aerea in stato terminale che ha giá prosciugato 3 miliardi di euro prima che l'affare proposto venisse alla luce. Tutto ció é ancora piú bene accolto, visto l'indebitamento in costante crescita dell'economia italiana.
Roberto Colaninno, ex-amministratore di Telecom Italia, ne esce anche a testa alta. Ha guidato un gruppo di imprenditori italiani che ha comprato la "parte buona" dell'Alitalia nel dicembre 2008 per 1.05 miliardi di euro - 427 milioni pagati e 625 milioni in debito.
Solo un mese dopo - e in un momento difficile per il mercato delle compagnie aeree - stanno per vendere una parte del loro investimento ad Air France - KLM.
Intesa Sanpaolo, la banca parte dell'affare, ritorna a casa con incassi, favore presso il governo e la soddisfazione di avere inglobato Air One - una compagnia aerea minore che lottava per restare a galla, nonché un creditore - nella nuova Alitalia.
E comunque, la Air France non ci sta poi rimettendo molto per controllare una parte della quarta piú grande fetta del mercato aereo europeo.
Quando stava per comprare l'Alitalia la primavera scorsa - prima di venire silurata dai sindacati e dalla campagna elettorale populista di Berlusconi - stava per domare una bestia molto diversa. Alitalia sarebbe arrivata con 1.2 miliardi di debiti e molte unitá d'affari che probabilmente Air France-KLM non voleva. Ma la resurrezione dell'Alitalia sotto Berlusconi ha accorpato tutte questi aspetti indesiderati in una cosiddetta "bad company", pagata dallo Stato.
Gli Italiani stanno pagando il prezzo per la pantomima politica che é diventata l'Alitalia. Si sono caricati 2 miliardi di euro di costi stimati da quando i sindacati hanno posto il veto all'ultima offerta di Air France-KLM, incoraggiati da Berlusconi.
Si dice che i paesi hanno il leader che si meritano. L'Italia potrebbe adesso avere anche la compagnia aerea che si merita.

lunedì 5 gennaio 2009