lunedì 29 settembre 2008

domenica 28 settembre 2008

L'ennesima minaccia

Berlusconi minaccia la Consulta Se non passa il Lodo, rifletteremo
Veltroni: rischio di deriva autoritaria

È convinto che il Lodo Alfano passera il vaglio della Corte Costituzionale. Se così non fosse, si lascia scappare, «servirebbe una profonda riflessione sulla giustizia». Silvio Berlusconi commenta le ultime vicende giudiziarie che lo riguardano: nel processo sui diritti tv, sono stati sollevati dubbi sulla costituzionalità della legge che garantisce l’immunità alle quattro più alte cariche dello Stato. Ora la Consulta dovrà pronunciarsi, ma le parole di Berlusconi sembrano un segnale inequivocabile nei confronti dei giudici costituzionali chiamati a dire la loro.

«Siamo di fronte a un tentativo gravissimo di Berlusconi di intimidire la Corte Costituzionale – dice il vicesegretario del Pd Dario Franceschini – Cosa significa quando afferma che se il lodo Alfano non passasse il vaglio della Consulta “allora ci sarebbe da fare una profonda riflessione su tutto il sistema giudiziario”? Queste parole - è la risposta di Franceschini - suonano chiaramente come una forma di minacciosa pressione sulla futura decisione della Corte Costituzionale ed è gravissimo che un presidente del Consiglio lasci intendere di rappresaglie legislative, forse anche sulla stessa composizione della Corte, in caso di una decisione sgradita».

Dello stesso avviso l'Italia dei Valori che bolla come «inaccettabile» il comportamento del Cavaliere. Le sue parole, dice il capogruppo alla Camera Massimo Donadi, «confermano ancora una volta l'intenzione di Berlusconi di piegare la giustizia ai suoi interessi particolari». Per questo il partito di Di Pietro conferma l'intenzione di «raccogliere le firme per il referendum contro il Lodo Alfano» per evitare che Berlusconi «utilizzi ancora una volta la sua maggioranza parlamentare per costruirsi una giustizia ad personam».

Quando il lavoro è un ingombro



Quando il lavoro è un ingombro
Furio Colombo

Due questioni hanno tormentato il mondo del lavoro e quello dei media italiani in questi giorni. Uno è la celebre contesa intorno alla sopravvivenza dell’Alitalia, azienda di dimensioni internazionali detta «compagnia di bandiera», di cui si sono occupati, giorno e notte tutti i politici, tutti i media italiani e un po’ i media del mondo. Mentre scriviamo l’esito è ancora sospeso, anche se è innegabile che uno scatto di vita alla creatura già semi-morta è stata data dall’incontro Epifani-Colaninno,non per iniziativa del Primo ministro in cura a Todi, ma del capo della opposizione, vivamente vilipeso da Berlusconi per essersi intromesso. L’altro è la improvvisa totale chiusura di un grande ospedale, unico nel vecchio centro di Roma e unico per il livello di alcune strutture e settori clinici appena costosamente rinnovati e comunque di qualità europea (ortopedia, nefrologia, medicina di rianimazione).

È una storia locale ma esemplare. Dove, quando è stata mai chiusa, con notifica di meno di due mesi una struttura urbanisticamente collocata nei secoli nel centro del centro storico di una città, disperdendone storia e patrimonio ma perdendo anche i fondi del vasto rinnovamento appena finito? E perché - in questo è il simbolo, che riguarda tutto il Paese, non solo Roma - dovrebbe farlo un governo di sinistra (è di sinistra la Regione Lazio) aprendo uno spazio prezioso e vuoto alle bande dei palazzinari?

Una cosa hanno in comune due storie tanto diverse: il lavoro. In tutti e due i casi (con tristezza si potrebbe dire: visti da destra e visti da sinistra) tutta l’attenzione politica e giornalistica si è concentrata sulla parte impresa (quanto vale, a quanto si può comprare o vendere, quanto frutta l’una decisione o l’altra) e niente o quasi niente sul lavoro, il valore del lavoro. Ma anche del lavoro come componente essenziale dell’impresa. Per esempio, dei lavoratori dell’ospedale è stato detto che le persone saranno sparpagliate come le macchine. Ma, a differenza delle macchine, le persone andranno, più o meno a caso, dove li prendono e come si può. Ringrazino il cielo di non essere licenziati. Quanto ai lavoratori dell’Alitalia, alcuni giornali hanno già definito “aquile spennate” i piloti che hanno deciso di cedere parte dei loro stipendi. Ma tutti sono stati visti, un po’ da tutti e certo dall’universo mediatico unificato, come guastafeste disposti a rendere impossibili convenienti accordi già raggiunti.
Convenienti per chi? È la domanda mai posta e la risposta mai pervenuta. Ma restiamo un momento con Alitalia.

* * *
Raramente ci si sente in debito con la televisione. Questa volta devo dire che sono grato ad «Annozero» per avere impegnato tutte le sue risorse e la capacità giornalistica (arricchita dall’arrivo di Corrado Formigli) per restituire dignità al lavoro. Mi rendo conto, «Annozero» dura due ore mentre una continua, accanita, sarcastica denigrazione del lavoro dei dipendenti di quella impresa disastrata è continuata per settimane, dal governo agli editorialisti compatti, dalle fonti meno credibili a molte voci competenti, a cui si è aggiunta qualche autorevole voce del Partito Democratico, come quando Enrico Letta ha descritto l’impegno senza tregua di Epifani di non abbandonare la difesa del lavoratori «l’errore del secolo...». Giudicando dal seguito della vicenda si direbbe che l’errore (almeno l’errore della settimana) è stato di Enrico Letta e della sua dichiarazione leggera e scorporata dal peso drammatico dei fatti.

Il peso dei fatti si concentra, come se fosse un’evidenza processuale, su una piccola folla di assistenti di volo che - nelle riprese televisive - sembrava festeggiare l’annuncio del ritiro della cordata Cai dalla trattativa. Come in una rapina in banca, è stata identificata la «hostess con le braccia alzate», Maruska Piredda. «Annozero» le ha dato la parola, sostituendo volti veri e storie umane alla indecorosa narrazione dei media, seguita da concitati corsivi di disprezzo e condanna che accreditavano due versioni: parassiti che guadagnano troppo e non accettano anche minimi sacrifici sulla lauta paga; fannulloni che non lavorano e si indignano, mentre l’azienda muore, di un ritocco all’orario. Maruska Piredda ha potuto spiegare agli spettatori di «Annozero» che la proposta era dimezzare la paga e allungare (quasi a volontà chiamando i dipendenti anche nel tempo libero e di riposo) l’orario di lavoro, come se si trattasse di ridurre i consumi e aumentare le prestazioni di una macchina e non dell’orgoglio, dei nervi e della fatica di una persona. Moltiplicate tutto ciò per le vite e i nervi delle assistenti di volo di quella ripresa televisiva e avrete notizie vere del modo drammatico in cui hanno vissuto in pubblico la lunghissima trattativa.

La riduzione a stupidi manichini che fanno festa al «tanto peggio tanto meglio» non è soltanto un falso. È la rappresentazione di un pregiudizio contro il lavoro che si cerca di diffondere in modo da scatenare una guerra tra poveri. Squallido progetto che, tra i lavoratori dell’Alitalia maltrattati e in attesa, è quasi riuscito. Ognuno, con i suoi privilegi (povere conquiste risibili in un mondo di super ricchezze e di super manager) diventa «la casta» dell’altro. E in questo mondo frantumato è facile separare e frantumare anche i sindacati e lavoratori.

Il sindacato più tenace nel resistere al tavolo delle trattative, la Cgil, è stato descritto come delinquenziale e pericoloso, come una inaudita mancanza di rispetto verso la controparte che è sempre rimasta in una rispettosa penombra.

Qualcuno ha mai detto all’avvocato Buongiorno che è riprovevole la tenacia con cui difende i suoi imputati? Intanto i giornali italiani si stavano divertendo con la «la limousine dei piloti» (ovvero con l’auto di servizio che li preleva di giorno o di notte per andare all’aeroporto) come se, in qualsiasi parte del mondo civile, i piloti dei grandi aerei e dei viaggi che durano un giorno o una notte, facessero meglio a destreggiarsi con bravura nel traffico cittadino prima di prendersi la responsabilità in volo di quattrocento passeggeri per decine di ore.

Avrete notato che nessun bravo giornalista investigativo, impegnato a cogliere all’istante la frase incriminata di un dipendente Alitalia sull’orlo di una crisi di nervi, ci ha mai riproposto le storie dei manager che, nei decenni, con paghe infinite e la partecipazione straordinaria della politica, hanno portato l’azienda Alitalia sempre più in basso. E nessuno - tranne piloti e assistenti di volo esausti - ci ha ricordato la lunga lotta Fiumicino-Malpensa, leghisti contro «Roma ladrona», costato molto più della paghe dei dipendenti «lagnosi» prima dei tagli risanatori.

* * *
Allo stesso modo il San Giacomo. D’accordo, è solo un ospedale di Roma, ma alle spalle della chiusura improvvisa di un antico, eccellente ospedale, si intravede l’ombra di una immensa operazione immobiliare. Esattamente il tipo di operazione immobiliare che da decenni ha inquinato l’Italia. Se conoscete la città e la vastità dell’immobile, prima ancora di ricordare lo sperpero di bravura umana e di civiltà ospedaliera, che nessuno calcola, vi viene in mente l’indimenticabile film «Le mani sulla città» di Francesco Rosi. Dunque siamo di fronte a un fatto grave ed esemplare che, come ai tempi de «Le mani sulla città» riguarda una città che si chiama Italia.

Qualcosa non funziona nelle notizie che vengono date al pubblico. Non funziona l’avere migliorato in modo eccellente e con spese altissime un ospedale per poi chiuderlo all’improvviso. Non funziona il teorizzare «il luogo sbagliato» dopo sette secoli, in una città come Roma dove tutto è nel «luogo sbagliato» ma diventa giusto e accettato per la forza del tempo e perché la città è venuta modellandosi intorno ai suoi edifici unici al mondo.

Qualcosa non torna quando vi dicono che «le attrezzature mediche verranno ridistribuite» fra i vari ospedali di Roma, come se le sofisticatissime apparecchiature, portate e adattate nel prezioso ma non facile contenitore San Giacomo (con due Chiese in vendita?) fossero i mobili della nonna, qui e due poltrone più piccole, di là il divano più grande.

Qualcosa non torna quando ripetono: «Ma noi non chiudiamo ospedali, noi tagliamo posti letto». Qui i posti letto tagliati sono il cento per cento. Infatti non si sta spezzettando il San Giacomo, il famoso «spezzatino» che è il grande incubo nelle cessioni di impresa. L’intero ospedale viene eliminato e basta. E questo fatto dovrebbe allarmare l’opinione pubblica perché non è uno sgradevole evento romano,è un fatto italiano. E’ un drammatico precedente. Dice che si può cancellare una intera istituzione sanitaria pubblica persino se sono contrari tutti i suoi medici, tutto il suo personale, tutti i suoi pazienti, tutti i cittadini. Colpisce l’indifferenza della politica per questo universo umano che dissente.

Colpisce l’indifferenza verso il lavoro di una parte politica che non è una cordata di imprenditori (quelli, se mai, caleranno sull’edificio vuoto) ma un partito di sinistra.

Di nuovo, in questo quadro allarmante, il lavoro è un disturbo, la competenza un intralcio, il reclamo di ciò è stato compiuto e del come è stato compiuto è una fastidiosa vanteria. Far presente che quella di un ospedale che va bene ed è amato (amato!) dagli utenti è una comunità che lavora bene perché lavora insieme e non si può spezzare e ridistribuire per piccole parti, è una affermazione che viene vista come un antipatico ostacolo.

La grande concessione non è: rispetto il tuo lavoro, lo apprezzo e faccio di tutto perché tu possa continuare. La grande concessione è: smettila di vantare le cose buone che stavi facendo in questa comunità. La comunità adesso chiude per ragioni che non tocca a voi discutere. Voi sarete mandati via, e secondo quel tanto di disponibile, un po’ di qua e un po’ di là. Ma non sarete licenziati, non vi basta?

Il lavoro perde il suo senso, la sua dignità, quel tanto di missione che dà un valore alle tante ore di ogni giornata. La lezione è tremenda e invita al cinismo togliendo valore a quello che fai.

È la seconda triste lezione sullo stato del lavoro oggi in Italia. Il meglio che ti può capitare è di non essere licenziato subito. È un punto molto basso di quella, che una volta, chiamavamo «civiltà».

sabato 27 settembre 2008

Di lodo in lodo


Ora d'aria - Marco Travaglio
l'Unità, 25 settembre 2008

Sconvolti dalla classifica di Transparency International sui paesi meno corrotti, che colloca l’Italia in coda al resto d’Europa e alle spalle di mezzo Terzo Mondo, i nostri parlamentari han reagito con uno scatto d’orgoglio contro chi continua a screditare l’immagine della politica italiana nel mondo. Infatti, due giorni fa, il Senato della Repubblica ha respinto la richiesta dei giudici di Roma di autorizzare gli arresti domiciliari per il neosenatore del Pdl Nicola Di Girolamo, accusato di aver falsamente dichiarato di risiedere in Belgio per candidarsi e farsi eleggere nel collegio degli italiani all’estero, mentre in realtà non s’è mai mosso dall’Italia. Gravi i reati contestati: false dichiarazioni, falso ideologico, abuso d'ufficio. Gravissime le conseguenze della sua condotta: Di Girolamo, se fossero provate le accuse, sarebbe un senatore abusivo che ha truffato i suoi elettori e non dovrebbe sedere a Palazzo Madama un minuto di più.

Consci della sua pesantissima posizione, i colleghi di casta, anzi di cosca, han pensato bene di coprirlo e salvarlo con la consueta maggioranza trasversale Pd-Pdl-Lega-Udc e la solita eccezione dell’Italia dei Valori (“Ancora una volta il Parlamento difende la Casta”, ha commentato il dipietrista Luigi Ligotti). Un plebiscito a favore dell’arrestando: 204 no ai giudici, 43 sì (Idv più alcuni cani sciolti). Così Di Girolamo resta non solo a piede libero, ma pure in Senato. Tutto è bene quel che finisce bene. Dopodiché Veltroni se la prende con Grillo perché non si parla più di Casta: potrebbe parlarne lui, possibilmente dopo averne fatto uscire i suoi con le mani alzate.

Intanto - rivela Liana Milella su Repubblica - il Lodo Alfano ha figliato un pargoletto. Si chiama Lodo Consolo, con l’accento sulla prima “o”, dal nome del senatore avvocato di An, e mira a proteggere non solo le quattro alte cariche dello Stato, ma anche i ministri. I quali potranno delinquere a piacimento,anche quando i loro delitti non c’entrano nulla con le funzioni ministeriali. Per questi ultimi, infatti, già oggi il Tribunale dei ministri, per procedere, necessita del permesso del Parlamento. Con la nuova legge (inserita con corsia preferenziale in commissione Giustizia dall’on. Enrico Costa, figlio del più noto Raffaele, il castiga-Casta), il Parlamento potrà bloccare i processi anche per reati comuni, extrafunzionali, commessi privatamente da chi in quel momento è pure ministro. Il noto giureconsulto Consolo, qualche anno fa, fu inquisito e condannato in tribunale (in appello strappò poi l’assoluzione) per aver spacciato per proprie alcune monografie altrui per incrementare i titoli necessari a ottenere la cattedra di ordinario all’Università di Cagliari.

Ma non è per sè che ha partorito il Lodo-bis extralarge. E’ per un suo cliente, che guardacaso fa il ministro, guardacaso è imputato e guardacaso per un reato di favoreggiamento che non c’entra nulla con le funzioni ministeriali (avrebbe avvertito alcuni indagati di un’inchiesta con intercettazioni in corso su un caso di abusi edilizi all’Elba). Dunque non necessita, almeno finora, di alcun’autorizzazione a procedere (anche se Matteoli s’è rivolto alla Consulta). Col Lodo, anzi con l’Auto-Lodo”, il processo si bloccherà e riposerà in pace in saecula saeculorum. Anche il ministro Bossi, già pluripregiudicato, potrà liberarsi di un paio di processi ancora in corso, per aver invitato una signora a “gettare nel cesso il Tricolore” e organizzato una banda paramilitare, le Camicie Verdi. Idem il ministro al Plasmon, Raffaele Fitto, imputato in Puglia per le presunte mazzette sanitarie pagategli dalla famiglia Angelucci. E cosi’ pure il ministro Roberto Calderoli, indagato per ricettazione a Milano per aver preso soldi dalla Popolare di Lodi del furbetto Fiorani.

Si vedrà se il Lodo vale anche per i viceministri e i sottosegretari (e, perché no, anche ai mille parlamentari, ai governatori, sindaci e presidenti di provincia, con relativi consiglieri e assessori, senza dimenticare circoscrizioni e comunità montane): nel qual caso salverà pure Aldo Brancher, indagato per ricettazione delle stecche targate Fiorani. Nel qual caso, la corsa ad arraffare uno dei nuovi posti di ministro e di sottosegretario messi in palio dal Cainano si farà sovraffollata, visto che Lega e Pdl ospitano una quarantina tra indagati e imputati. Ma è probabile che la nuova norma salvi anche Clemente Mastella, indagato a S. Maria Capua Vetere (ora a Napoli) quand’era ministro della Giustizia per faccende che nulla avevano a che vedere con la carica. Dopodiché, quando vedrete avvicinarsi un ministro, mettete in salvo il portafogli

venerdì 26 settembre 2008

Il ridicolo velino - Peter Gomez


Oggi Bruno Vespa se l'è presa con Beatrice Borromeo che in un'intervista a "La Stampa" aveva criticato Porta a Porta. Per la Borromeo il programma di Vespa è infatti «privo di qualsiasi dignità», è «ridicolo», e all'estero viene «preso in giro». Vespa le ha risposto definendola «valletta» e ricordando che «pochi giorni fa, alla Venaria di Torino, Josè Maria Aznar, già carismatico primo ministro spagnolo, ha lodato Porta a Porta definendola la migliore trasmissione europea del suo genere e rammaricandosi che altri Paesi, a cominciare dal suo, non la imitino». Poi, dopo aver citato i grandi personaggi che hanno chiesto di passare dal suo studio, da Arafat a Peres, fino arrivare prossimamente al primo ministro rumeno, Vespa ha chiuso il suo ragionamento dicendo di lasciare «al lettore il commento sul cinguettio della giovane e promettente valletta».
Credo che sia il caso di prenderlo in parola.

Aznar passerà alla storia per essere riuscito a far perdere al proprio partito un'elezione praticamente già vinta. In occasione degli attentati di Al Qaeda a Madrid tentò per tre giorni di convincere gli spagnoli che l'azione terroristica era opera dell'Eta e non di estremisti islamici. Temendo che gli elettori cominciassero a riflettere sui disastrosi effetti della guerra in Iraq, Aznar arrivò persino a telefonare ai direttori di giornale per spingerli a nascondere la verità. Ma la stampa spagnola, anche quella di centrodestra filo partito popolare, mantenne la schiena dritta, e smascherò il premier. A causa di una menzogna, insomma, i socialisti di Zapatero andarono al governo.

C'è quindi ben poco da stupirsi che un qualsiasi uomo politico (che si chiami Aznar, Zapatero o Simon Peres) aneli ad essere intervistato in tv da un giornalista come Vespa. Del resto la qualità di un conduttore non si giudica in base all'importanza dei suoi ospiti. A far la differenza è il modo in cui la trasmissione viene condotta.

Questo è l'unico metro possibile. E lo dimostra quanto accaduto proprio ieri nel corso del faccia a faccia con Waterloo Veltroni. Quando il leader del Pd ha ricordato come, alla domanda «lei è antifascista?», il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi avesse risposto: «Io penso solo a lavorare per risolvere i problemi degli italiani», Vespa si è lanciato in un'appassionata difesa del Cavaliere. E per smentire l'ex diessino ha tirato fuori la trascrizione di una dichiarazione di Berlusconi, in cui premier proseguiva la frase dicendo di riconoscersi nei «valori della costituzione». Un assist persino per Veltroni che ci ha messo un secondo per far notare come quella non fosse la prima ed originale risposta del leader della Pdl, ma solo il ragionamento utilizzato da Berlusconi, proprio a Porta a Porta, per spegnere le polemiche suscitate dalla sua sconcertante uscita.

Ora il problema non è che Vespa sia filo-governativo o che abbia delle legittime opinioni politiche. La questione è deontologica: l'anziano conduttore ha tentato di sostenere il premier utilizzando una bugia. E la cosa è ancor più spiacevole se si tiene conto che Berlusconi versa regolarmente del denaro a Vespa. Il giornalista Rai infatti è titolare di una rubrica fissa sulle colonne di Panorama (gruppo Berlusconi).

All'estero questo si chiama conflitto d'interessi (non di Berlusconi, ma di Vespa). Chi si occupa di politica e lavora nel servizio pubblico non può ricevere emolumenti dal leader di uno degli schieramenti e pretendere di passare per imparziale. E se lo fa, non si limita a coprirsi di ridicolo. Diventa, invece, francamente rivoltante.
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Forza Grecia

Ora d’aria di Marco Travaglio

Nell’ultimo rapporto di Trasparency International sulla percezione della corruzione nel mondo,  pubblicato ieri, l’Italia guadagna 15 posizioni rispetto all’anno scorso. Nel senso che è percepita molto più corrotta di prima. Nella speciale classifica dei paesi meno corrotti, siamo al 55° posto, a pari merito con le Seychelles e sopravanzati da modelli di onestà come Sudafrica, Malaysia, Giordania, Costa Rica, Capo Verde, Bhutan, Macao, Bahrein, Oman Mauritius, Sud Corea, Taiwan, Portorico, Malta Botswana, Emirati Arabi, Cipro, Dominicana, Qatar, Barbados, Santa Lucia, ovviamente Israele (dove il premier Olmert, indagato per corruzione,  si è appena dimesso anziché varare un lodo Alfano modello mediorientale) e l’intera Europa, con l’esclusione della Grecia che ci tallona a poca distanza dalla Turchia. Chi l’avrebbe mai detto.
Si sperava che avere un presidente del Consiglio imputato di corruzione giudiziaria di una falso testimone, corruzione semplice di un dirigente Rai e tentata corruzione di alcuni senatori (oltrechè di frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita), più 18 parlamentari pregiudicati e una settantina tra imputati e indagati, migliorasse la nostra posizione. Purtroppo la comunità internazionale, infestata di comunisti, non ci ha capiti.
E dire che il nuovo governo ha fatto di tutto per dare al mondo un’immagine di impegno indefesso contro la corruzione: per esempio, con la soppressione dell’Alto Commissariato Anti-Corruzione (ente peraltro inutile, senza fondi né personale) decisa dall’ottimo Brunetta e denunciata qualche giorno fa dall’Ocse.
Per esempio, con l’annunciata riforma delle intercettazioni che, come anticipato dal premier imputato e impunito, le vieterà per la corruzione e per quasi tutti i reati finanziari (escluso il falso in bilancio, ma solo perché era già non-intercettabile prima), proprio nel momento in cui i crac della finanza americana inducono l’intero universo a premunirsi con indagini più ficcanti e sanzioni più severe.
Per esempio, convocando le commissioni parlamentari Giustizia nei giorni delle udienze del processo Mills, per farle saltare grazie ai provvidenziali “impedimenti” degli onorevoli avvocati del premier.
Per esempio, tagliando i fondi per la giustizia di 900 milioni per tre anni, bloccando i concorsi per nuovi magistrati e le assunzioni dei cancellieri e impiegati nei tribunali nonostante 3 mila vuoti negli organici (ma, come rivelava l’altro giorno Ferrarella sul Corriere, si è provveduto per legge a sanare la ferita: gli organici risulteranno pieni, al completo, perché verranno calcolati sul personale presente e non più su quello che dovrebbe essere presente), e dimezzando i compensi ai 1700 viceprocuratori onorari (ora in sciopero) che sostituiscono i pm di ruolo nel 90% dei processi davanti al giudice monocratico.
Niente da fare, il mondo non vuole proprio saperne di riconoscere gli sforzi sovrumani del governo italiano per combattere l’illegalità. A nulla sono valse le inequivocabili dichiarazioni di Silvio Berlusconi che, alla vigilia delle elezioni, ha promosso “eroe nazionale” il boss sanguinario Vittorio Mangano, ospite per due anni nella sua villa travestito da stalliere; e che, l’altro giorno ha tuonato contro i giudici che si ostinano a celebrare “persecuzioni giudiziarie”, cioè processi per corruzione (per esempio, quello a carico dell’amico falso testiimone David Mills). E ha auspicato, previa riforma della giustizia, “che i pm si rechino dai giudici con il cappello in mano”.
E’, questa, una sua vecchia fissazione ispirata da prassi autobiografiche: col cappello in mano infatti si recavano due amici suoi, Vittorio Metta e Renato Squillante, dal suo avvocato preferito, Cesare Previti, che non mancava mai di riempire il loro cappello con qualche mazzetta targata Fininvest in cambio di sentenze comprate. Una, per dire, sottrasse la Mondadori a Carlo De Benedetti e la consegnò a lui, che continua a possederla.
Casi che imporrebbero la separazione non tanto dei pm dai giudici, ma dei giudici dai suoi avvocati.

L’Unità del 24.9.2008
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giovedì 25 settembre 2008

Nomen Omen?

















Monsignor Crociata a capo della Cei, Antonio Manganelli a capo della Polizia, La Loggia in Parlamento, Maroni mi sta sui maroni.
Lo faranno apposta?

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Alè Italia

Dunque , a quanto pare l'accordo c'è e Alitalia è salva, tutto è andato come da copione.
Facciamo un breve riassunto della vicenda: Prodi e Padoa Schioppa avevano raggiunto un accordo di massima con Air France che prevedeva che la compagnia francese avrebbe acquistato tutto prendendosi sul groppone anche i debiti(una montagna di miliardi) offrendo circa 30 centesimi per azione.
Un operazione vantaggiosa per lo Stato che si sarebbe liberato di questo squallido carrozzone capace solo di produrre perdite incassando anche qualcosina.
I primi a gridare allo scandalo sono stati i simpatici leghisti, perchè il piano prevedeva un ridimensionamento di Malpensa che si sa, è fondamentale per l'economia della Padania.
Poi si è messa di traverso Confindustria, perchè non si poteva rinunciare all'Italianità, parola che a me mette i brividi.
Poi è venuto il turno dei sindacati perchè gli esuberi erano troppi, tra i 2000 e i 2500.
Per ultimo è arrivato il pagliaccio preferito degli italiani, dicendo che Lui aveva una proposta molto più vantaggiosa, una cordata di imprenditori nostrani , al limite capitanati dai suoi pargoli, prontamente ribattezzata da Travaglio Pier One.

E Lui la promessa l'ha mantenuta, la cordata italiana c'è e può anche fare a meno dei pargoli, che sono già impegnati a dirigere da par loro Mediobanca.
Solo che le sue televisioni si sono dimenticate di spiegare al popolino delle libertà i dettagli del Piano Fenice.
Alitalia sarà divisa in due compagnie, una good company e una bad company.
La bad company si tiene tutti i debiti e gli esuberi e rimarrà saldamente nelle mani dello Stato, quindi dei contribuenti.
La good company invece si tiene gli aerei e i 12.500 dipendenti, e sarà ceduta alla Cai, la cordata dei patrioti-imprenditori.
Per 5 anni questi non possono vendere, dopodichè lo faranno, presumibilmente ad Air France che entra come socio nella cordata, con buona pace dell'italianità.
Malpensa sarà ridemensionata lo stesso ma il popolo Padano si rimboccherà le maniche , mica come quei terroni che vivono a sud di Pontida.
Per lo Stato, e soprattutto per i contribuenti, è una operazione in perdita , noi paghiamo tutti i debiti e i soliti furbetti del quartierino invece si spartiscono la torta.
A pensarci bene questo piano è decisamente peggiore di quello di Prodi e Padoa Schioppa, ma il popolino è talmente distratto da tutte le polemiche di questi giorni che difficilmente se ne renderà conto.
E poi per chi non è abituato pensare è sconsigliato.

Sta cosa della bad company in fondo è una grande idea, e se lo fanno loro lo posso fare pure io no?
Allora farò così: il mutuo lo intesto ad una bad company e io invece mi tengo la casa.

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mercoledì 24 settembre 2008

Alitalia

Perché Alitalia deve fallire IL CASO


GIUSEPPE TURANI

La parola più usata da quando la crisi Alitalia è precipitata (ritiro di Colaninno) è certamente "responsabilità": ognuno si deve assumere le sue responsabilità, anche il governo, anche la Cai, anche i piloti, e via discorrendo. E questo è abbastanza curioso, visto che la storia degli ultimi vent'anni della nostra compagnia aerea si è svolta tutta, invece, sotto il segno della più totale irresponsabilità. Di tutti.

Dei vari governi, che hanno lasciato marcire l'azienda e che hanno consentito che si trasformasse in un groviglio di corporazioni (per di più con lo sciopero facile). E che hanno spedito, spesso, a amministrarla della gente che uno non avrebbe messo a gestire una pizzeria, e che appena arrivati, visto che tanto non si poteva comandare o riformare, si son messi subito a occuparsi delle proprie prebende e delle proprie liquidazioni.
Irresponsabilità dei sindacati, che per almeno due decenni hanno coperto il grande groviglio corporativo e il mostruoso spreco di denaro pubblico senza mai dire "basta" e senza mai fare una denuncia robusta, ultimativa e seria. Sindacati sempre prigionieri della logica "ma in fondo sono lavoratori", anche quando lavoravano pochissimo e più che altro accumulavano privilegi inauditi (sembra che a furia di indennità la busta paga dei piloti sia arrivata a contemplare alcune centinaia di voci).
Irresponsabilità, infine, soprattutto di piloti e di hostess che hanno fatto di tutto per mandare a fondo la compagnia, scioperando un giorno sì e uno no (con nessun rispetto per i poveri passeggeri), intascando però prebende e stipendi consistenti.
Adesso son tutti in fila (governo, partiti, sindacati, dipendenti) a dire che bisogna fare l'impossibile per salvare la compagnia di bandiera (grande invenzione lessicale, sembra che si debba salvare la patria). E allora bisogna cercare, nel momento più drammatico, di essere chiari almeno su un punto: in Italia non esiste più, e da tempo, alcuna compagnia aerea di bandiera. E quindi, se la logica ha ancora un valore, non c'è niente da salvare.
Se io metto sotto un capannone due presse, quattro torni, una fresa, dieci di sbarre di ferro, e un po' di gente che passava di lì, non ho fatto un'industria automobilistica: ho semplicemente creato un po' di confusione sotto quel capannone. In modo analogo l'Alitalia non è più (e da anni) una compagnia aerea. E' una struttura impropria per la distruzione di 2 milioni di euro al giorno, che poi ha come attività collaterale, ma non principale, il trasporto aereo, come si può e quando si può (possibilmente con malagrazia, così i passeggeri non prendono cattive abitudini).
Sul piano strettamente tecnico in questi ultimi venti anni è fallita almeno cinque o sei volte, ed è sempre stata salvata da robuste iniezioni di denaro pubblico.
Definire compagnia aerea un affare del genere (nel reparto Cargo c'erano, e forse ci sono ancora, 27 piloti per ogni aereo) è semplicemente una vergogna e tutti coloro che hanno tollerato questo autentico malaffare dovrebbero imporsi il silenzio.
La compagnia di bandiera, cioè, è fallita già anni fa e oggi è soltanto un patetico relitto, una sorta di mostro che cammina, senza più alcun futuro nel sofisticato campo del trasporto aereo.
E questo lo sanno tutti, compreso Berlusconi. Il quale però è troppo uomo di comunicazione e quindi in campagna elettorale, invece di lasciare che se la pigliasse Air France (con grande sprezzo del pericolo), si è avvolto nel tricolore e ha annunciato a tutti che aveva una cordata di imprenditori a lui fedeli e che, per fare un favore a lui, avrebbero salvato Alitalia, consentendo così al paese di continuare a avere la propria compagnia di bandiera (piena di debiti, con aerei vecchi e superati, dipendenti ingovernabili).
Passate le elezioni, si è visto che la cordata non c'era. E quindi, alla fine, si è dovuto telefonare a Corrado Passera (il mago di Banca Intesa che aveva già risanato le Poste) e pregarlo di inventarsi, santo cielo, qualcosa perché si rischiava una figuraccia.
E Passera ha fatto il miracolo. Non solo ha messo insieme una cordata di imprenditori (probabilmente i più stupiti di tutti per essere finiti dentro un pasticcio del genere), ma a capo è riuscito a metterci addirittura Roberto Colaninno, l'ex comandante in capo dei capitani coraggiosi che avevano dato l'assalto a Telecom. Un uomo dichiaratamente di sinistra. Ma va bene lo stesso, l'importante è che si prenda sulle spalle Alitalia e se la porti via.
Naturalmente Colaninno e i suoi amici sono stati trascinati in questa storia in fretta e furia, ma pur sempre imprenditori sono. E quindi hanno chiesto qualche garanzia.
Intanto, fuori dalla compagnia di bandiera tutti i debiti e tutto il vecchio che non serve. Poi, calma con le ambizioni, poche rotte e possibilmente domestiche (dove i guadagni sono sicuri). E, infine, una premessa importante: l'affare si fa solo se i sindacati accettano le nuove regole (si lavora di più e si guadagna meno, ma soprattutto l'azienda torna a essere governabile dal management). Se questo non viene accettato, spiega Colaninno, io torno a fare i miei scooter e le mie motociclette e i miei amici tornano in provincia a occuparsi dei loro affari e a giocare a biliardo.
Qui si potrebbe aprire una parentesi e chiedersi come mai persone assennate e oggettivamente di valore come Passera e Colaninno si sono lasciate trascinare in questa avventura sgangherata. E la spiegazione è una sola: l'Italia, nonostante tutto, è un paese ancora borbonico e avere il Principe (che sta a palazzo Chigi) che ti deve un grosso favore, è un grandissimo affare. Senza dimenticare che poi l'affare si poteva mettere insieme davvero: magari rivendendo tutto fra qualche anno a una compagnia straniera.
Ma le cose sono andate di traverso. Alla fine, come si è visto, piloti e hostess, che da vent'anni in Alitalia fanno tutto quello che gli pare, hanno mandato a fondo l'accordo e hanno festeggiato con una specie di festa improvvisata sul piazzale di Fiumicino.
E' difficile capire il perché di quella festa, di quell'entusiasmo e di quei canti (in fondo se ne andava l'ultimo possibile "salvatore" al capezzale dell'Alitalia, e quindi dei loro stipendi). Ma c'è una spiegazione. In realtà, piloti e hostess non vogliono nessun "salvatore". Faranno scappare qualunque matto che oserà avvicinarsi all'Alitalia con intenzioni caritatevoli. Non vogliono nessun padrone.
O, meglio, ne vogliono uno solo, di gomma: lo Stato italiano. E questo perché sanno, per esperienza ventennale, come si fa a piegarlo: basta qualche sciopero improvviso, un po' di ritardi, e molte lagne.
E adesso che cosa si può fare? Poiché Berlusconi è un combattente e non ci sta a incassare questa figuraccia, si può star certi che cercherà di tirar fuori qualche altro coniglietto dal suo cilindro (ma chi chiamerà dopo Passera e Colaninno?). In realtà, l'unica cosa seria da fare è portare i libri in tribunale e lasciare che l'Alitalia si spenga. E' un cadavere da anni e è giusto che venga seppellita, codice civile alla mano.
La mattina dopo, con calma, si potrà cominciare a discutere se ci serve davvero una compagnia aerea, chi la può fare, chi ci può lavorare e a quali condizioni. Se si deciderà che qualcosa ci vuole, si potranno comprare gli aerei, fare gli accordi con i grandi network di volo del mondo, e si potranno assumere piloti e hostess.
Berlusconi, è ovvio, non farà una gran bella figura. Ma d'altra parte Alitalia era già fuori dai nostri schermi radar a marzo (destinazione Air France), è stato lui a riportarla fra di noi a forza, dicendo: io so come si fa. Ma non era vero. Non lo sa e non lo ha mai saputo.
Nessuno ha mai saputo come si risana Alitalia. Così come nessuno ha mai saputo come si quadrano i cerchi. Non si può e basta.

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martedì 23 settembre 2008

Prestigio internazionale

Credo che questo spot della televisione pubblica svedese renda bene l'idea del prestigio internazionale che il nostro pagliaccio preferito dona quotidianamente all'Italia

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Alitalietta


Ora d'aria - Marco Travaglio

Ancora non sappiamo come andrà a finire la telenovela Alitalia, ma già sappiamo che c’è un nuovo aspirante socio della Cai (abbreviazione di Cainano): Gianni Riotta, direttore del Tg1. Il quale ha preso molto a cuore le sorti dei 18 patrioti che, su richiesta di Al Tappone e al seguito di Colaninno, han deciso di sacrificarsi per salvare la compagnia di bandiera pagandola 300 milioni, tanto quanto l’avrebbe pagata quattro mesi fa AirFrance. Con la piccola differenza che AirFrance rilevava anche i debiti (da 1 a 3 miliardi) e i dipendenti (salvo 2.100 esuberi), mentre i capitani coraggiosi i debiti li accollano a noi, con l’aggiunta di quelli di Airone (un altro miliardo) e di 7-8 mila esuberi.

Ma dicevamo di Johnny Raiotta e della sua improvvisa vocazione di assistente di volo. Giovedì scorso il suo Tg1 se l’era presa con le due-tre hostess Alitalia colpevoli di aver esultato alla notizia (meravigliosa, infatti ora finalmente il commissario Fantozzi ripristina il libero mercato e apre un’asta pubblica) della ritirata dei furbetti. Tipe “bizzarre”, disse il cosiddetto tg del presunto servizio pubblico, “ballano sul Titanic che affonda”. Non contento dell’imbarazzante marchetta al governo, domenica sera il partigiano Johnny ha concesso il bis mandando avanti il copilota David Sassoli affiancato da due gentili signore: il comandante di Alitalia Antonella Celletti (forse parente di Otello Celletti, il mitico vigile di Alberto Sordi) e il primo ufficiale Valentina Leone. Siccome il personale di volo è spaccato tra una stragrande maggioranza contraria all’offerta Cai e un’esigua minoranza favorevole, c’era da attendersi che la Celletti rappresentasse la prima posizione e la Leone la seconda. E’ o non è il mitico “contraddittorio” la regola aurea della Rai? Macchè. Entrambe le signore contestavano il No dei loro sindacati autonomi (maggioritari) e li invitavano accoratamente a firmare l’accordo tanto caro al governo. Due su due, en plein.

Sassoli: “Comandante Celletti, in una lettera al Sole 24 ore stamattina lei ha scritto che è sbagliato rifiutare il piano della Cai e ha invitato i suoi colleghi a uscire allo scoperto. Cosa vuol dire?”. Celletti: “Io sono rimasta indignata di quanto è accaduto, prima di tutto perché è stato un rifiuto molto affrettato, senza avere consultato la base, senza avere un largo consenso, e mi sono arrabbiata nel vedere che poche persone possono mandare all’aria il destino di molte famiglie e di altri dipendenti che non la pensano in questo modo”. Sassoli: “Valentina Leone, anche lei teme ora il fallimento?”. Leone: “Beh, siamo molto molto preoccupati, perché in questo momento non siamo in presenza di nessuna alternativa, e rinunciando al piano Cai abbiamo rinunciato agli ammortizzatori sociali per più di mille piloti che difficilmente troveranno lavoro sul mercato”. Sassoli: “Comandante, lei scrive di essere stata male quando ha visto un gruppo di dipendenti Alitalia gioire alla caduta della proposta della Cai”. Per quale motivo?”. Celletti: “Sì sono rimasta molto delusa, perché io ero in trepidazione quel giorno, e speravo vivamente che venisse fuori una bella notizia. A questa notizia negativa sono rimasta veramente molto male, non avevo ancora visto l’esultazione (sic, ndr) purtroppo dei miei colleghi. E non era assolutamente il caso di esultare, li ho guardati e ho detto ‘perdona loro che non sanno quello che fanno’. Purtroppo forse lì per lì non si rendevano conto”. Sassoli: “Comandante, la ringrazio per essere stata con noi, grazie anche a Valentina Leone”.

Ma che bel quadretto, che bel presepe. Al Tappone avrà avuto a sua volta un’esultazione (tantopiù che ieri sera al Tg1 c’era Stefano Folli che invocava un bell’inciucio Pd-Pdl). E poi, si spera, non avrà mancato di congratularsi con Johnny per tanta solerzia filogovernativa. Peccato che il Tg1 non avesse mostrato altrettanto trasporto quando il governo Prodi trovò (previa offerta pubblica) l’Air France come compratore: anche allora il sindacato piloti, alleato per l’occasione col Cainano e con la Cisl dell’apposito Bonanni, fece saltare la trattativa. Si poteva invitare anche allora in studio lady Celletti & compagna per mettere in riga i sindacati. Ma Johnny Raiotta, all’epoca, era molto distratto. O aveva fiutato come sarebbero andate le elezioni. Ora però merita la giusta ricompensa: una tessera della Cai, ad honorem. Se poi la Cai dovesse sciogliersi, una lambretta Piaggio potrebbe farlo felice.

La considerazione del suo pubblico

Questa scenetta l'avevo vista in diretta qualche anno fa su RaiSatExtra.
L'occasione era la presentazione di uno dei tanti capolavori letterari di Bruno Vespa e il pagliaccio preferito degli italiani era presente in qualità di ospite.
Può sembrare incredibile ma evidentemente doveva sdebitarsi delle tante marchette dell'insetto ricoperto di nei.
A un certo punto hanno chiesto al clown di spiegare i segreti del Grande Comunicatore e lui ha spiegato che quando si parla alla gente non si deve usare un linguaggio da professori universitari(chissà a chi pensava) ma bisogna usare un linguaggio alla portata di tutti.
Perchè? La risposta è nel filmato.


lunedì 22 settembre 2008

Partiti di Governo - di Furio Colombo

Considero Furio Colombo uno dei più grandi giornalisti italiani viventi. Non credo che si possa considerare "di sinistra", era molto vicino alla famiglia Agnelli, avrebbe potuto tranquillamente scegliere una vita professionale più comoda accodandosi alla pletora di servi alle dipendenze del cavaliere e invece ha deciso di non arrendersi, di non vendersi. Grazie Furio , sei un eroe dei nostri tempi...

Quello che segue è l'articolo pubblicato oggi sull'Unità on line.

Borghezio (Lega Nord) è andato a Colonia per unirsi a una manifestazione contro gli immigrati islamici e i tedeschi lo hanno subito riconosciuto: un nazista. Gli hanno chiuso il microfono dopo 20 secondi e «lo hanno portato via di peso» (dai giornali, ndr). Borghezio ha protestato e si possono capire le sue ragioni. Quelle manifestazioni lui, e quelli della Lega Nord per l’indipendenza della Padania, in Italia le fanno tutti i giorni, proprio come la manifestazione proibita a Colonia. Ma da noi i giornali ne parlano con rispetto, le televisioni le includono nella regolare rassegna politica, perché in Italia Borghezio, «portato via di peso dalla piazza di Colonia» è partito di governo. Lo stesso partito del ministro delle Riforme, del ministro del federalismo fiscale, del ministro dell’Interno.
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Passaparola del 22 Settembre 2008

Cominciamo subito...


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Un altro blog su Berlusconi?

Ebbene si, questo è l'ennesimo blog contro il pagliaccio preferito dagli italiani.
Ci ho provato, ce l'ho messa tutta, mi sono imposto di fregarmene per i prossimi 5 anni, ho smesso di guardare i telegiornali ma alla fine mi sono dovuto arrendere.
Mi arrendo , non riesco a recitare la parte dell'italiano medio e apro questo blog per aggiungere la mia voce a quelle dei tanti sconfitti che come me hanno deciso che arrendersi è troppo difficile.
Cercherò di riportare notizie, filmati e impressioni.
Cercherò nel mio piccolo, nel mio minuscolo, di raccogliere le testimonianze di quei pochi giornalisti che non si sono arresi, gente come Furio Colombo , Travaglio, Gomez, Curzio Maltese o di personaggi come Sabina Guzzanti e Luttazzi.
Cercherò di spiegarmi una volta per tutte come si possa tenere in scacco un intero paese attraverso Propaganda e Corruzione .
Cercherò di capire come abbia fatto il paese dei Fellini, dei Pasolini e dei Vittorio De Sica a trasformarsi nel paese dei Vanzina, delle Carfagne e dei Christian De Sica.
Cercherò di capire perchè mi sento sempre di più uno straniero in patria.

La caccia al nano finirà solo quando la parte sana di questo paese sarà riuscita a cacciarlo.