mercoledì 25 febbraio 2009

Utopie...


Basta soldi pubblici al teatro
meglio puntare su scuola e tv
di ALESSANDRO BARICCO

 
Sotto la lente della crisi economica, piccole crepe diventano enormi, nella ceramica di tante vite individuali, ma anche nel muro di pietra del nostro convivere civile. Una che si sta spalancando, non sanguinosa ma solenne, è quella che riguarda le sovvenzioni pubbliche alla cultura. Il fiume di denaro che si riversa in teatri, musei, festival, rassegne, convegni, fondazioni e associazioni. Dato che il fiume si sta estinguendo, ci si interroga. Si protesta. Si dibatte. Un commissariamento qui, un'indagine per malversazione là, si collezionano sintomi di un'agonia che potrebbe anche essere lunghissima, ma che questa volta non lo sarà. Sotto la lente della crisi economica, prenderà tutto fuoco, molto più velocemente di quanto si creda.

In situazioni come queste, nei film americani puoi solo fare due cose: o scappi o pensi molto velocemente. Scappare è inelegante. Ecco il momento di pensare molto velocemente. Lo devono fare tutti quelli cui sta a cuore la tensione culturale del nostro Paese, e tutti quelli che quella situazione la conoscono da vicino, per averci lavorato, a qualsiasi livello. Io rispondo alla descrizione, quindi eccomi qui. In realtà mi ci vorrebbe un libro per dire tutto ciò che penso dell'intreccio fra denaro pubblico e cultura, ma pensare velocemente vuol dire anche pensare l'essenziale, ed è ciò che cercherò di fare qui.

Se cerco di capire cosa, tempo fa, ci abbia portato a usare il denaro pubblico per sostenere la vita culturale di un Paese, mi vengono in mente due buone ragioni. Prima: allargare il privilegio della crescita culturale, rendendo accessibili i luoghi e i riti della cultura alla maggior parte della comunità. Seconda: difendere dall'inerzia del mercato alcuni gesti, o repertori, che probabilmente non avrebbero avuto la forza di sopravvivere alla logica del profitto, e che tuttavia ci sembravano irrinunciabili per tramandare un certo grado di civiltà.

A queste due ragioni ne aggiungerei una terza, più generale, più sofisticata, ma altrettanto importante: la necessità che hanno le democrazie di motivare i cittadini ad assumersi la responsabilità della democrazia: il bisogno di avere cittadini informati, minimamente colti, dotati di principi morali saldi, e di riferimenti culturali forti. Nel difendere la statura culturale del cittadino, le democrazie salvano se stesse, come già sapevano i greci del quinto secolo, e come hanno perfettamente capito le giovani e fragili democrazie europee all'indomani della stagione dei totalitarismi e delle guerre mondiali.

Adesso la domanda dovrebbe essere: questi tre obbiettivi, valgono ancora? Abbiamo voglia di chiederci, con tutta l'onestà possibile, se sono ancora obbiettivi attuali? Io ne ho voglia. E darei questa risposta: probabilmente sono ancora giusti, legittimi, ma andrebbero ricollocati nel paesaggio che ci circonda. Vanno aggiornati alla luce di ciò che è successo da quando li abbiamo concepiti. Provo a spiegare.

Prendiamo il primo obbiettivo: estendere il privilegio della cultura, rendere accessibili i luoghi dell'intelligenza e del sapere. Ora, ecco una cosa che è successa negli ultimi quindici anni nell'ambito dei consumi culturali: una reale esplosione dei confini, un'estensione dei privilegi, e un generale incremento dell'accessibilità. L'espressione che meglio ha registrato questa rivoluzione è americana: the age of mass intelligence, l'epoca dell'intelligenza di massa.

Oggi non avrebbe più senso pensare alla cultura come al privilegio circoscritto di un'élite abbiente: è diventata un campo aperto in cui fanno massicce scorribande fasce sociali che da sempre erano state tenute fuori dalla porta. Quel che è importante è capire perché questo è successo. Grazie al paziente lavoro dei soldi pubblici? No, o almeno molto di rado, e sempre a traino di altre cose già successe. La cassaforte dei privilegi culturali è stata scassinata da una serie di cause incrociate: Internet, globalizzazione, nuove tecnologie, maggior ricchezza collettiva, aumento del tempo libero, aggressività delle imprese private in cerca di un'espansione dei mercati. Tutte cose accadute nel campo aperto del mercato, senza alcuna protezione specifica di carattere pubblico.
 

Se andiamo a vedere i settori in cui lo spalancamento è stato più clamoroso, vengono in mente i libri, la musica leggera, la produzione audiovisiva: sono ambiti in cui il denaro pubblico è quasi assente. Al contrario, dove l'intervento pubblico è massiccio, l'esplosione appare molto più contratta, lenta, se non assente: pensate all'opera lirica, alla musica classica, al teatro: se non sono stagnanti, poco ci manca. Non è il caso di fare deduzioni troppo meccaniche, ma l'indizio è chiaro: se si tratta di eliminare barriere e smantellare privilegi, nel 2009, è meglio lasciar fare al mercato e non disturbare. Questo non significa dimenticare che la battaglia contro il privilegio culturale è ancora lontana dall'essere vinta: sappiamo bene che esistono ancora grandi caselle del Paese in cui il consumo culturale è al lumicino. Ma i confini si sono spostati. Chi oggi non accede alla vita culturale abita spazi bianchi della società che sono raggiungibili attraverso due soli canali: scuola e televisione. Quando si parla di fondi pubblici per la cultura, non si parla di scuola e di televisione. Sono soldi che spendiamo altrove. Apparentemente dove non servono più. Se una lotta contro l'emarginazione culturale è sacrosanta, noi la stiamo combattendo su un campo in cui la battaglia è già finita.

Secondo obbiettivo: la difesa di gesti e repertori preziosi che, per gli alti costi o il relativo appeal, non reggerebbero all'impatto con una spietata logica di mercato. Per capirci: salvare le regie teatrali da milioni di euro, La figlia del reggimento di Donizetti, il corpo di ballo della Scala, la musica di Stockhausen, i convegni sulla poesia dialettale, e così via. Qui la faccenda è delicata. Il principio, in sé, è condivisibile. Ma, nel tempo, l'ingenuità che gli è sottesa ha raggiunto livelli di evidenza quasi offensivi.

Il punto è: solo col candore e l'ottimismo degli anni Sessanta si poteva davvero credere che la politica, l'intelligenza e il sapere della politica, potessero decretare cos'era da salvare e cosa no. Se uno pensa alla filiera di intelligenze e saperi che porta dal ministro competente giù fino al singolo direttore artistico, passando per i vari assessori, siamo proprio sicuri di avere davanti agli occhi una rete di impressionante lucidità intellettuale, capace di capire, meglio di altri, lo spirito del tempo e le dinamiche dell'intelligenza collettiva? Con tutto il rispetto, la risposta è no. Potrebbero fare di meglio i privati, il mercato? Probabilmente no, ma sono convinto che non avrebbero neanche potuto fare di peggio.

Mi resta la certezza che l'accanimento terapeutico su spettacoli agonizzanti, e ancor di più la posizione monopolistica in cui il denaro pubblico si mette per difenderli, abbiano creato guasti imprevisti di cui bisognerebbe ormai prendere atto. Non riesco a non pensare, ad esempio, che l'insistita difesa della musica contemporanea abbia generato una situazione artificiale da cui pubblico e compositori, in Italia, non si sono più rimessi: chi scrive musica non sa più esattamente cosa sta facendo e per chi, e il pubblico è in confusione, tanto da non capire neanche più Allevi da che parte sta (io lo so, ma col cavolo che ve lo dico).

Oppure: vogliamo parlare dell'appassionata difesa del teatro di regia, diventato praticamente l'unico teatro riconosciuto in Italia? Adesso possiamo dire con tranquillità che ci ha regalato tanti indimenticabili spettacoli, ma anche che ha decimato le file dei drammaturghi e complicato la vita degli attori: il risultato è che nel nostro paese non esiste quasi più quel fare rotondo e naturale che mettendo semplicemente in linea uno che scrive, uno che recita, uno che mette in scena e uno che ha soldi da investire, produce il teatro come lo conoscono i paesi anglosassoni: un gesto naturale, che si incrocia facilmente con letteratura e cinema, e che entra nella normale quotidianità della gente.

Come vedete, i principi sarebbero anche buoni, ma gli effetti collaterali sono incontrollati. Aggiungo che la vera rovina si è raggiunta quando la difesa di qualcosa ha portato a una posizione monopolistica. Quando un mecenate, non importa se pubblico o privato, è l'unico soggetto operativo in un determinato mercato, e in più non è costretto a fare di conto, mettendo in preventivo di perdere denaro, l'effetto che genera intorno è la desertificazione. Opera, teatro, musica classica, festival culturali, premi, formazione professionale: tutti ambiti che il denaro pubblico presidia più o meno integralmente. Margini di manovra per i privati: minimi. Siamo sicuri che è quello che vogliamo? Siamo sicuri che sia questo il sistema giusto per non farci derubare dell'eredità culturale che abbiamo ricevuto e che vogliamo passare ai nostri figli?

Terzo obbiettivo: nella crescita culturale dei cittadini le democrazie fondano la loro stabilità. Giusto. Ma ho un esempietto che può far riflettere, fatalmente riservato agli elettori di centrosinistra. Berlusconi. Circola la convinzione che quell'uomo, con tre televisioni, più altre tre a traino o episodicamente controllate, abbia dissestato la caratura morale e la statura culturale di questo Paese dalle fondamenta: col risultato di generare, quasi come un effetto meccanico, una certa inadeguatezza collettiva alle regole impegnative della democrazia. Nel modo più chiaro e sintetico ho visto enunciata questa idea da Nanni Moretti, nel suo lavoro e nelle sue parole. Non è una posizione che mi convince (a me Berlusconi sembra più una conseguenza che una causa) ma so che è largamente condivisa, e quindi la possiamo prendere per buona. E chiederci: come mai la grandiosa diga culturale che avevamo immaginato di issare con i soldi dei contribuenti (cioè i nostri) ha ceduto per così poco?

Bastava mettere su tre canali televisivi per aggirare la grandiosa cerchia di mura a cui avevamo lavorato? Evidentemente sì. E i torrioni che abbiamo difeso, i concerti di lieder, le raffinate messe in scena di Cechov, la Figlia del reggimento, le mostre sull'arte toscana del quattrocento, i musei di arte contemporanea, le fiere del libro? Dov'erano, quando servivano? Possibile che non abbiano visto passare il Grande Fratello? Sì, possibile. E allora siamo costretti a dedurre che la battaglia era giusta, ma la linea di difesa sbagliata. O friabile. O marcia. O corrotta. Ma più probabilmente: l'avevamo solo alzata nel luogo sbagliato.

Riassunto. L'idea di avvitare viti nel legno per rendere il tavolo più robusto è buona: ma il fatto è che avvitiamo a martellate, o con forbicine da unghie. Avvitiamo col pelapatate. Fra un po' avviteremo con le dita, quando finiranno i soldi.

Cosa fare, allora? Tenere saldi gli obbiettivi e cambiare strategia, è ovvio. A me sembrerebbe logico, ad esempio, fare due, semplici mosse, che qui sintetizzo, per l'ulcera di tanti.

1. Spostate quei soldi, per favore, nella scuola e nella televisione. Il Paese reale è lì, ed è lì la battaglia che dovremmo combattere con quei soldi. Perché mai lasciamo scappare mandrie intere dal recinto, senza battere ciglio, per poi dannarci a inseguire i fuggitivi, uno ad uno, tempo dopo, a colpi di teatri, musei, festival, fiere e eventi, dissanguandoci in un lavoro assurdo? Che senso ha salvare l'Opera e produrre studenti che ne sanno più di chimica che di Verdi? Cosa vuol dire pagare stagioni di concerti per un Paese in cui non si studia la storia della musica neanche quando si studia il romanticismo? Perché fare tanto i fighetti programmando teatro sublime, quando in televisione già trasmettere Benigni pare un atto di eroismo? Con che faccia sovvenzionare festival di storia, medicina, filosofia, etnomusicologia, quando il sapere, in televisione - dove sarebbe per tutti - esisterà solo fino a quando gli Angela faranno figli? Chiudete i Teatri Stabili e aprite un teatro in ogni scuola. Azzerate i convegni e pensate a costruire una nuova generazione di insegnanti preparati e ben pagati. Liberatevi delle Fondazioni e delle Case che promuovono la lettura, e mettete una trasmissione decente sui libri in prima serata. Abbandonate i cartelloni di musica da camera e con i soldi risparmiati permettiamoci una sera alla settimana di tivù che se ne frega dell'Auditel.

Lo dico in un altro modo: smettetela di pensare che sia un obbiettivo del denaro pubblico produrre un'offerta di spettacoli, eventi, festival: non lo è più. Il mercato sarebbe oggi abbastanza maturo e dinamico da fare tranquillamente da solo. Quei soldi servono a una cosa fondamentale, una cosa che il mercato non sa e non vuole fare: formare un pubblico consapevole, colto, moderno. E farlo là dove il pubblico è ancora tutto, senza discriminazioni di ceto e di biografia personale: a scuola, innanzitutto, e poi davanti alla televisione.
La funzione pubblica deve tornare alla sua vocazione originaria: alfabetizzare. C'è da realizzare una seconda alfabetizzazione del paese, che metta in grado tutti di leggere e scrivere il moderno. Solo questo può generare uguaglianza e trasmettere valori morali e intellettuali. Tutto il resto, è un falso scopo.

2. Lasciare che negli enormi spazi aperti creati da questa sorta di ritirata strategica si vadano a piazzare i privati. Questo è un punto delicato, perché passa attraverso la distruzione di un tabù: la cultura come business. Uno ha in mente subito il cattivo che arriva e distrugge tutto. Ma, ad esempio, la cosa non ci fa paura nel mondo dei libri o dell'informazione: avete mai sentito la mancanza di una casa editrice o di un quotidiano statale, o regionale, o comunale? Per restare ai libri: vi sembrano banditi Mondadori, Feltrinelli, Rizzoli, Adelphi, per non parlare dei piccoli e medi editori? Vi sembrano pirati i librai? È gente che fa cultura e fa business. Il mondo dei libri è quello che ci consegnano loro. Non sarà un paradiso, ma l'inferno è un'altra cosa. E allora perché il teatro no? Provate a immaginare che nella vostra città ci siano quattro cartelloni teatrali, fatti da Mondadori, De Agostini, Benetton e vostro cugino. È davvero così terrorizzante? Sentireste la lancinante mancanza di un Teatro Stabile finanziato dai vostri soldi?

Quel che bisognerebbe fare è creare i presupposti per una vera impresa privata nell'ambito della cultura. Crederci e, col denaro pubblico, dare una mano, senza moralismi fuori luogo. Se si hanno timori sulla qualità del prodotto finale o sull'accessibilità economica dei servizi, intervenire a supportare nel modo più spudorato. Lo dico in modo brutale: abituiamoci a dare i nostri soldi a qualcuno che li userà per produrre cultura e profitti. Basta con l'ipocrisia delle associazioni o delle fondazioni, che non possono produrre utili: come se non fossero utili gli stipendi, e i favori, e le regalie, e l'autopromozione personale, e i piccoli poteri derivati. Abituiamoci ad accettare imprese vere e proprie che producono cultura e profitti economici, e usiamo le risorse pubbliche per metterle in condizione di tenere prezzi bassi e di generare qualità. Dimentichiamoci di fargli pagare tasse, apriamogli l'accesso al patrimonio immobiliare delle città, alleggeriamo il prezzo del lavoro, costringiamo le banche a politiche di prestito veloci e superagevolate.

Il mondo della cultura e dello spettacolo, nel nostro Paese, è tenuto in piedi ogni giorno da migliaia di persone, a tutti i livelli, che fanno quel lavoro con passione e capacità: diamogli la possibilità di lavorare in un campo aperto, sintonizzato coi consumi reali, alleggerito dalle pastoie politiche, e rivitalizzato da un vero confronto col mercato. Sono grandi ormai, chiudiamo questo asilo infantile. Sembra un problema tecnico, ma è invece soprattutto una rivoluzione mentale. I freni sono ideologici, non pratici. Sembra un'utopia, ma l'utopia è nella nostra testa: non c'è posto in cui sia più facile farla diventare realtà.

venerdì 20 febbraio 2009

Visti da fuori

Silvio si sarà fatto grasse risate davanti allo specchio

[de Volkskrant]

Mi scuso. Nel Volkskrant di mercoledì ho scritto una cosa che non è propriamente vera. Si tratta di una notizia sull’avvocato britannico David Mills, condannato dal tribunale di Milano a 4,5 anni di carcere per aver preso una tangente di 600mila dollari dalla Fininvest, la holding di Silvio Berlusconi. In cambio di ciò, Mills ha rilasciato deposizioni che scagionano Berlusconi in due casi di corruzione e frode degli anni novanta.
La prima frase di quell’articoletto cominciava con le parole: ”Il premier italiano Berlusconi martedì è stato messo in grande imbarazzo…” In effetti ce lo si sarebbe aspettato. Chiunque passi di nascosto 600mila euro ad un avvocato con la condizione che al processo questi tenga la bocca chiusa riguardo a tutta una serie di losche procedure, non dovrebbe andarsi a coricare così spensierato la sera se ha sentito che l’avvocato è stato arrestato per tale corruzione.
Eppure, quella prima frase non va. Berlusconi non è affatto stato ”messo in grande imbarazzo”. Anzi, c’è persino la forte possibilità che si sia fatto grasse risate. Che la sera, lavandosi i denti, abbia guardato nello specchio e si sia detto: ”L’ha fatto proprio bene, presidente” – sempre in linea con la sua abitudine di parlare di sé stesso alla terza persona singolare.
Niente da temere
Berlusconi non ha niente da temere per la condanna a David Mills. Se i giudici, motivando la sentenza, fra poco dovessero mostrare ogni genere di foto in cui il premier consegna personalmente il denaro all’avvocato, e anche se ci fosse l’accordo illegale tra i due nero su bianco, Berlusconi potrebbe comunque rimanere dov’è. Il suo ministro della giustizia, Angelino Alfano, vi ha da poco provveduto con perizia.
Alfano ha costruito una legge che garantisce immunità giudiziaria alle cinque cariche più alte dello stato italiano, tra cui ovviamente il premier. ”Berlusconi ha il diritto di governare”, così giustifica la sua legge il ministro. Detto altrimenti: che giudici e procuratori se lo tolgano dalla testa. Il processo nei confronti di Berlusconi in questa faccenda è perciò bloccato.
Una normale democrazia
Perché l’ho scritto allora? Temo di essermi lasciato guidare troppo dall’andamento delle cose che caratterizza una normale democrazia. L’ho scritto perché in una democrazia è consueto che in casi di questo genere il premier finisca ”in grande imbarazzo” – persino qualora una legge lo protegga da procedimenti giudiziari. In una normale democrazia la gente ne parlerebbe scandalizzata. I giornalisti metterebbero il premier in seria difficoltà con domande scottanti, se il ministro non si fosse già dimesso di propria volontà.
In Italia questo genere di ovvie reazioni è inverosimile. L’ANSA ha rimosso dal suo sito internet la notizia della condanna di Mills già la sera stessa. Il telegiornale del primo canale italiano ha riportato la notizia solo dopo 19 minuti. L’argomento è durato esattamente un minuto. Il notiziario dell’emittente di Berlusconi “Rete 4″ ha completamente ignorato il tema.
”In questo paese anche scandali enormi non hanno più alcuna conseguenza”, ha detto lo scrittore e giornalista Marco Travaglio l’anno scorso durante una conferenza. ”Nessuno si chiede più: è proprio normale quello che sta succedendo qui? E così arrivi quasi a pensare di essere tu il pazzo.”
Le mie scuse, dunque. Ma non sono pazzo. Non ancora.

mercoledì 18 febbraio 2009

Tecniche di regime

Caso Mills, ecco in che stato è l'informazione
di Giovanni Maria Bellu

C’è un modo molto semplice per verificare lo stato dell’informazione, e dunque della democrazia, nel nostro paese: ascoltare con attenzione i telegiornali e leggere i giornali di oggi e di domani. Vedere quanto tempo e quanto spazio viene dato alla sentenza del processo Mills. E anche «come» la notizie viene riferita.

Si scoprirà che nei telegiornali – sia pubblici, sia privati – verrà presentata non come un «fatto» ma come un’«opinione». L’opinione di un collegio giudicante. E che la sommaria descrizione del merito della vicenda sarà seguita dai commenti politici. L’ultimo dei quali – a chiusura di questo giro di opinioni attorno all’opinione-sentenza – sarà affidato a un esponente del Pdl o a uno degli avvocati di Berlusconi (ma spesso le due qualità sono riassunte in un singolo soggetto).

L’intervistato non entrerà nel merito del caso giudiziario ma dirà che si è trattato di «giustizia a orologeria». Il concetto sarà ripetuto in modo martellante dai telegiornali e, con un po’ di fortuna, sarà possibile – in una conversazione al bar, su un autobus – sentire qualcuno che, senza sapere nulla della vicenda, lo ripeterà in modo testuale: «Giustizia a orologeria».

Più complesso il discorso sui quotidiani. Parliamo, naturalmente, dei normali quotidiani di informazione e non di quelli che, per vie politiche o familiari, sono direttamente controllati dal premier. Là si potrà leggere una sintesi abbastanza completa del fatto che, in qualche raro caso, sarà anche accompagnata da un commento. Non di più e, difficilmente, per più di un numero.

E se qualcuno – su un giornale non allineato come per esempio l’Unità – oserà insistere sul tema, sarà liquidato come «giustizialista». Nel caso in cui l’inopportuna insistenza fosse espressa in una trasmissione televisiva, saranno inquadrati gli ospiti politicamente vicini al premier che, in quello stesso istante, cominceranno a sorridere con gli occhi rivolti verso l’alto e a scuotere la testa.

E’ possibile fare la verifica sullo stato dell’informazione del paese anche seguendo un’altra via. E cioè osservando con attenzione in che modo televisioni e giornali danno la notizia di altre sentenze. Sarà facile scoprire che un imputato per omicidio condannato in primo grado (e dunque ancora presunto innocente) sarà indicato come l’«assassino». E che un extracomunitario, subito dopo l’arresto e dunque in assenza non solo di processo ma anche di rinvio a giudizio, sarà qualificato «stupratore». Nel caso in cui facciate notare l’incongruenza in uno studio televisivo, vi osserveranno con aria perplessa, cominceranno a scuotere la testa, e qualcuno ci definirà «buonista». Non avrete il tempo di dire: «Ma non ero giustizialista?». Si spegnerà la luce.

sabato 14 febbraio 2009

Visti Da Fuori

La situazione della nazione e’ disastrosa, la politica e’ corrotta, l’economia e’ agli sgoccioli. E l’unico che avrebbe il potere di fare qualcosa al riguardo è il capo del governo. Ma a lui interessa solo la sua ricchezza. Italia, che cosa sei diventata?
Alcuni politici sono segnati per tutta la loro vita per un’unica stupida battuta. Con Silvio Berlusconi e’ invece difficile anche tenersi a mente i suoi più recenti deragliamenti linguistici. A proposito del centro di prima accoglienza per profughi sull’isola di Lampedusa e sulle indegne condizioni di vita in esso, ha detto recentemente che “non e’ un campo di concentramento” e che gli immigrati presenti “possono sempre andarsi a bere una birra”. In materia di stupro, ha detto che in linea di principio non e’ possibile evitarli in Italia “perché le nostre donne sono troppo belle”. E dopo le elezioni presidenziali americane, definì Barack Obama “abbronzato”.
Queste sono le parole di un magnate dell’industria abituato ad essere circondato da subalterni e lecchini che automaticamente ridono per ogni stupido scherzo. Un uomo che ha un tale potere da non far più distinzione tra comportamento pubblico e privato, che si comporta in tutto il mondo come se fosse a casa sua dove anche una barzelletta priva di tatto causerebbe
 sicuramente delle risate. E Berlusconi è anche abituato al poco critico panorama mediale italiano che lo sorprende quando la stampa internazionale non gli riserva lo stesso approccio di sottomissione.
Si tratta di uno dei più strani e insoliti fenomeni politici dei nostri giorni: da 14 anni, l’Italia è stata quasi ininterrottamente governata da un capriccioso miliardario con 17 procedimenti penali sulle spalle e che nonostante cio’ ha ancora il supporto di una grande maggioranza degli italiani. Berlusconi all’estero può apparire come un pagliaccio, tuttavia la sua popolarità nel suo paese e’ superata solo dal suo narcisismo.
Pertanto, Berlusconi ha potuto vincere svariate elezioni sin dalla sua prima apparizione sulla scena politica nel 1993, nonostante nello stesso periodo l’Italia sia stata protagonista di un drammatico declino: Da una delle più grandi storie di successo europeo è diventata una delle economie più deboli nel continente.
Il fatto che l’Italia non solo accetti Berlusconi e le sue sciocchezze, ma le condivida pure, è un sintomo di un paese in profonda crisi con una travagliata economia stagnante. Un paese paralizzato e profondamente frustrato, nelle mani di pochi gruppi di interesse, e in una situazione per cui non e’ né in grado né disposto a cambiare qualcosa. Un paese dove la popolazione e’ fondamentalmente disgustata dalla classe politica e per questo vota un uomo che per lo meno non nasconde di voler fare innanzitutto i propri interessi.
Nel 2006 Berlusconi era ancora visto anche in Italia come il problema più grande dell’Italia. I suoi innumerevoli affari e il conflitto di interessi come uomo più ricco d’Italia, primo grande proprietario di un impero mediatico, famoso indagato contemporaneamente Primo Ministro, hanno ridotto il paese allo stallo e causato una crescita economica quasi pari a zero.
Molti elettori pensavano che, una volta liberatisi di Berlusconi, il paese si sarebbe di nuovo ripreso. Ma il governo di Romano Prodi, supportato da una fragile coalizione di nove partiti con una piccola maggioranza di un solo voto al Senato italiano, non ha saputo fare molto meglio. Quando ha cercato di introdurre alcune riforme del mercato, gli stessi comunisti al governo si opposero. Per quanto riguarda altre proposte di legge, come ad esempio il riconoscimento delle unioni omosessuali, l’ammutinamento venne da un’altra parte della coalizione: dal gruppo dei cattolici nel governo.
Una delle poche leggi che passarono fu un’amnistia generale per i criminali per la quale Berlusconi insistette molto e che fu articolata in modo da salvare il suo avvocato Cesare Previti da una pena detentiva per corruzione di un giudice. Un po’ più tardi la popolazione italiana si adiro’ per i 26.000 criminali rilasciati, molti dei quali tornarono rapidamente a compiere furti, stupri e omicidi. Ma tra questi c’erano anche una folla di criminali per reati economici, tra cui Previti, che poterono cosi’ ritornare ai loro domicili e godersi le comodita’ illegalmente acquisite.
Sotto Prodi, l’economia ha proseguito la sua discesa e nel 2006 e nel 2007 sono da segnalare altri due anni di crescita zero. Nello stesso periodo, vanno accumulandosi mucchi di spazzatura e rifiuti tossici a Napoli e dintorni. E nonostante questi problemi i partiti della coalizione di centro-sinistra continuarono a litigare in pubblico. Gli elettori non hanno quindi riscontrato praticamente alcuna differenza tra destra e sinistra e hanno cominciato a considerare la politica nella sua interezza come una casta che si occupa soprattutto della sua auto-conservazione e si distribuisce privilegi straordinari e eccessive prebende.
E Berlusconi era uno di loro, agli elettori cio’ ando’ bene e non diedero molta importanza ad un altro scandalo di Berlusconi alla vigilia delle elezioni del 2008: verso la fine del 2007, Berlusconi fu accusato dal procuratore della Repubblica di Napoli di aver corrotto Agostino Saccà, un funzionario a capo del dipartimento del cinema della Rai.
Nelle registrazioni delle intercettazioni, che la rivista “L’Espresso” ha messo in Internet, si può ascoltare come Berlusconi cerchi di convertire l’emittente televisiva statale in una sorta di “divano di casa”. Infatti chiese a Saccà di trovare dei ruoli per alcune giovani attrici, che Berlusconi nelle intercettazioni chiama “le fanciulle mie”. In alcuni casi, questo servirebbe solo per “rallegrare il capo” (cioè Berlusconi). In un caso specifico, Berlusconi ha detto a Saccà di aver bisogno di un ruolo per un’attrice che ha una relazione con un senatore del governo Prodi. Berlusconi voleva, come ha ribadito lui stesso, dare a quel senatore delle motivazioni per passare di campo e causare la caduta del governo Prodi.
Ma mentre l’opinione pubblica italiana registrava quasi apaticamente i gravi reati attribuiti a Berlusconi per questo caso, quali la corruzione di funzionari pubblici ai fini della caduta di un governo, improvvisamente scoppio’ un grande interesse in merito ad un possibile scandalo sessuale. Questo fu dovuto alle voci circolanti a riguardo di altre registrazioni riguardanti Berlusconi e tre donne eccezionalmente attraenti del suo gabinetto.
A seconda del campo politico le voci erano diverse. Gli oppositori di Berlusconi favorivano l’immagine di una cariatide settantenne con un debole per le pompette da pene e per il Viagra. I suoi sostenitori lo festeggiavano invece come un instancabile Don Giovanni che si trova in grado di soddisfare due o tre donne allo stesso tempo.
In queste voci circolava anche il nome del Ministro per le Pari Opportunita’ Mara Carfagna, una trentatreenne ex candidata per l’elezione di Miss Italia che ha fatto carriera in qualità di co-presentatrice nel gruppo di Berlusconi e che per un lungo periodo era visibile soprattutto in mini gonne mozzafiato e camicie scollate. Durante una grande riunione di protesta a Roma nel mese di luglio, l’artista comica Sabina Guzzanti ha fatto notare in relazione a Mara Carfagna che: “Non si può nominare un Ministro per le Pari Opportunita’ solo perché ha succhiato l’uccello di qualcuno!”. La Carfagna ha negato qualsiasi relazione personale con Berlusconi e ha denunciato la Guzzati per calunnia.
Con la visione delle cose semi-monarchica del primo ministro non stupisce che nel 2006 sia entrata in vigore una nuova legge elettorale che affida ai capi dei partiti una discrezionalita’ di scelta dei candidati pressoche’ illimitata. In precedenza, l’elettore poteva ancora scegliere i singoli candidati, con il nuovo sistema gli elettori possono votare solo per una parte politica e i leader dei partiti fanno le liste elettorali. Di conseguenza, Berlusconi puo’ portare in Parlamento chi vuole, sia amici personali, dipendenti o qualcuno che sia anche solo di bell’aspetto. Cosi’ Berlusconi ha portato sia in Parlamento che nel suo gabinetto tutta una serie di vallette e attricette diventate famose nel suo impero televisivo. Ed è anche orgoglioso di questo: “Sono come una buona fatina: erano topine e io le ho trasformate in parlamentari”.
Il vero scopo dell’occupazione del Parlamento da parte di Berlusconi è che Berlusconi sta cercando solo di ridurre il ruolo del Parlamento italiano ad una funzione cerimoniale. Recentemente, ha chiesto che solo i presidenti delle rispettive parti dovrebbero fare lo sforzo di votare nel Parlamento. In questo modo, il valore politico degli altri 500 membri parlamentari sarebbe solo da interpretare come un rituale. “Ci stiamo muovendo verso una sorta di modello sudamericano della democrazia”, spiega Bruno Tabacci, un ex democristiano.
Come questo poi potrebbe sembrare si sta già intravedendo. All’inizio della legislatura del 2008 un fotografo e’ riuscito a fotografare con un teleobiettivo un pezzo di carta scritto da Berlusconi con delle note destinate a due belle, giovani, donne parlamentari, Gabriella Giammanco e Nunzia de Girolamo: “Gabri, Nunzia, siete una grande coppia! Grazie di rimanere in Parlamanto, ma non è necessario. Se avete un invito per un pranzo romantico, sarò lieto di darvi il permesso per andarvene! Baci ad entrambe! Il ‘vostro’ Presidente”. Il fotografo riusci’ anche a catturare con la sua macchina fotografica la risposta: “Caro Presidente, gli inviti romantici li accettiamo solo da lei..”.
Il fatto che cio’ non provochi reazioni negative nell’opinione pubblica italiana, la dice lunga circa l’interpretazione della politica degli italiani in relazione al potere mediatico di Berlusconi, ma anche a riguardo della frammentata e quasi scomparsa opposizione di centro-sinistra con la quale ha a che fare Berlusconi. Anche a causa della mancanza di alternative la maggioranza del popolo italiano consente a Berlusconi il potere che ha perche’ visto come uomo forte e deciso. E Berlusconi sfrutta questo che a sua volta promuove la sua immagine di uomo del fare: Così, nel 2008 Berlusconi ha abolito l’ICI ovvero la tassa sulla proprietà della prima casa. E nonostante queste mancate entrate dovranno essere coperte da altre tasse, l’abolizione dell’ICI e’ stata molto popolare. Con il rapido intervento dell’esercito ha anche eliminato la spazzatura dalle strade di Napoli e alla conclusione di questa operazione ha affermato di aver riportato la città nel mondo occidentale in soli 58 giorni. In questo modo gli italiani erano dalla sua parte.
Resta il fatto tuttavia che l’Italia, nel corso degli ultimi 14 anni in cui Berlusconi ha caratterizzato la politica italiana, e’ sprofondata drammaticamente. Per più di 40 anni, dalla fine della seconda guerra mondiale fino al 1990 circa, l’economia italiana era una delle più floride al mondo - in un soffio assieme al Giappone e alla Germania occidentale. Negli anni Cinquanta e Sessanta, l’economia cresceva in media di circa il cinque per cento l’anno, negli anni settanta e ottanta di altri solidi tre per cento l’anno. In un paese che ha per molti anni è stata caratterizzato dalla fatica e dall’emergenza questo porto’ prosperità, istruzione e un generoso stato sociale.
Per gli studenti della politica contemporanea l’Italia ha rappresentato un affascinante paradosso: da un lato, il paese sembrava avere uno spaventoso sistema politico. I governi si susseguivano uno dietro l’altro, gli scandali e le crisi di governo erano diffusi assieme ad un alto livello di corruzione, sprechi, e una burocrazia inefficiente. Dall’altro l’economia cresceva di anno in anno. Fino a circa 1989, l’Italia aveva un prodotto interno lordo pari a quello della Gran Bretagna.
Ma negli ultimi 15 anni l’insolita equazione italiana, corruzione e sabbia nel motore più elevata crescita economica, non ha piu’ funzionato. Il prodotto interno lordo italiano è aumentato dal 1996 al 2006 in media dell’1,1 per cento l’anno, rispetto al 2,3 per cento in Gran Bretagna, il 2,8 per cento in Spagna e l’1,7 per cento in tutta la zona Euro. Con il risultato che la crescita italiana e’ del venti per cento inferiore a quella del Regno Unito ed è stata superata anche dalla Spagna.
Il sistema italiano, che funzionava ragionevolmente in un periodo di mercati protetti, nell’era della UE, della moneta unica e dell’intensa concorrenza con paesi a basso salario in Asia ne ha molto risentito. Aprire una società in Italia costa in media 5012 Euro e occorrono 62 giorni con fino a 16 diverse pratiche burocratiche. Per confronto, in Gran Bretagna la stessa operazione costa 381 euro, quattro giorni e cinque operazioni amministrative, negli Stati Uniti 167 euro, quattro giorni e quattro passaggi amministrativi.
La sabbia nel motore ormai stride in quasi tutti i settori della vita italiana, in un modo da dare origine ad un incomprensibile effetto sinergico negativo. Ad esempio, la minaccia di una paralisi del sistema giudiziario rischia di bloccare lo Stato di diritto, una pietra angolare di un sistema economico funzionante. La durata media dei procedimenti per violazione di contratto è in Italia di 1210 giorni (quasi quattro anni), in Spagna (al secondo posto come paese in questo senso) è di 515, quindi nemmeno la meta’, in Francia 331 e in Gran Bretagna di soli 217 giorni. In Italia, ci vogliono inimmaginabili novanta mesi, quasi otto anni, per poter sfrattare di casa un affittuario inadempiente. In Gran Bretagna sono necessari circa dieci mesi, in Francia 17 e sei mesi in Danimarca.
Un tale sistema può sembrare come una brillante follia, ma dietro a cio’ vi e’ un metodo: è stato intenzionalmente progettato per renderlo indispensabile ai partecipanti. La moltiplicazione delle procedure amministrative, la concessione di licenze, regolamenti e strozzature burocratiche crea un numero estremamente elevato di leve con cui il governo puo’ controllare, ritardare, o seppellire prima possibile qualsiasi progetto.
Ciascuno di questi passi è un’opportunità per l’esercizio del potere e del nepotismo, per la richiesta e la concessione di favori. Un’autostrada, il cui costo di costruzione raddoppia in via di esecuzione, ha grandi vantaggi - non solo per i politici che percepiscono mazzette, ma anche per tutti coloro che ci lavorano. Ovvio: per il resto del paese questo porta solo svantaggi. La si deve combattere con delle infrastrutture scadenti, tasse alte, cattivi servizi e di un sistema che e’ diventato l’esatto contrario di una societa’ dei servizi. Non stupisce quendi che l’Italia sia scivolata dal 32mo al 64mo posto nel Global Competitiveness Index, l’indice mondiale per la competitività economica.
Incredibilmente, nei suoi 14 anni di politica Berlusconi ha addirittura migliorato la sua immagine di uomo del fare. In un’intervista all’inizio del 2008, per meta’ si vantava e per meta’ brontolava di essere trattato come una rock star o un re con il potere di guarigione al solo tocco. “Madri incinte mi chiedono di mettere la mia mano sul loro ventre. Altri mi chiedono di toccargli gli occhi perché vedono male… altri di toccarne la testa perché stanno diventando calvi. Ma a loro io do solo il numero di telefono del mio medico “.
E nel settembre 2008, nel bel mezzo della crisi finanziaria, Berlusconi ha assicurato, dopo una lunga notte in una discoteca, che aveva ancora abbastanza energia per fare tutto il possibile: “Dopo tre ore di sonno ho slancio per ulteriori tre ore di sesso”. Ma per liberare l’Italia dal suo attuale stato di caos c’e’ bisogno di molto più della mano regale di Berlusconi e dei suoi vanti post pubertari.
[Articolo originale di Alexander Stille]

mercoledì 11 febbraio 2009

Flores d’Arcais: Il coraggio di Beppino nell’Italia khomeinista di Berlusconi



Tutti gli italiani che ancora conoscono il significato della parola “umanità”, in questi giorni si stringono con tutto il loro affetto intorno a Beppino Inglaro, quest’uomo coraggioso e senza retorica, che per amore della figlia (e della moglie) ha sacrificato diciassettenne anni della sua vita, anni che lo segneranno per sempre.
L’Italia della barbarie, invece, ha scatenato contro quest’uomo coraggioso e senza retorica una campagna inqualificabile di odio e di linciaggio morale, arrivando alla mostruosità di dargli dell’ “assassino” per l’amore con cui, sacrificando diciassette anni della propria vita, ha voluto tener fede alla volontà di sua figlia.
Questa campagna di odio e di linciaggio morale, questa ingiuria abominevole di “assassino”, è dilagata dai pulpiti dei cardinali di santa romana chiesa, dai talk show catodici di neo predicatori fondamentalisti e perfino, con una irresponsabilità che lascia sbigottiti, dal parlamento della Repubblica, che pure nella sua Costituzione garantisce a ciascuno l’inviolabilità del proprio corpo, il rifiuto di qualsiasi intervento sanitario, ne dovesse andare della propria vita.
Perché la tua vita non appartiene allo Stato e non appartiene alla Chiesa, la tua vita appartiene solo a te che la vivi.
Ma Sacconi e Berlusconi proprio questo elementare diritto hanno voluto e vogliono calpestare, in una dismisura di servilismo verso la Chiesa gerarchica di Ratzinger. Il decreto legge prima e il disegno di legge poi impongono infatti il sondino obbligatorio al malato che non è in grado di provvedere a se stesso, quale che sia la volontà del paziente. Contro ogni sua espressa, reiterata, solenne, gridata e implorata volontà, dunque.
Per ottenere questo obiettivo khomeinista, che renderà la Chiesa e lo Stato sovrani sul tuo corpo, Berlusconi (e i suoi yes-men and women) è pronto a fare a pezzi la Costituzione. Sovrano infatti è chi decide sullo stato di eccezione, come si sa, e sullo “stato di eccezione” di una situazione come quella di Eluana o di Welby o di una vita terminale, che tragicamente dovesse accaderti, o colpire la persona a te più cara, vita che per te o per lei fosse ormai solo tortura, non sarai tu e non sarà questa persona a decidere, la tua tortura sarà prolungata per legge con la nutrizione artificiale, dalla violenza anticostituzionale di una maggioranza asservita all’oscurantismo ecclesiastico.
Non basta. Berlusconi e i suoi yes-men hanno utilizzato il dramma di Eluana per sovvertire gli equilibri tra i poteri dello Stato garantiti nella costituzione (garantiti a garanzia dei cittadini, tutti e singolarmente presi). Hanno considerato carta straccia una sentenza della magistratura passata in giudicato (e approdata perfino in una corte europea), hanno diffamato col sanguinoso epiteto di “assassini” non solo Beppino Englaro ma tutti i magistrati che hanno riconosciuto il diritto di Eluana a non essere più un corpo torturato, tutti i medici e gli infermieri che si sono presi cura della sua volontà, e infine tutti gli italiani capaci di umanità e di pietas, che il diritto di Eluana hanno sostenuto. Hanno aggredito con becera violenza la massima carica dello Stato solo perché obbediva alla Costituzione e si comportava coerentemente come il suo “custode”.
Sono decisi ad andare fino in fondo, cioè a trascinare a fondo il paese, distruggendo ogni “balance of powers” dalla carta costituzionale.
Di fronte a questo disegno sovversivo (una replica da manuale del sovversivismo delle classi dirigenti di cui parlava Gramsci, adattato all’epoca postmoderna) resta solo la mobilitazione repubblicana dei cittadini, la loro passione civile, la difesa intransigente di ogni libertà.
Questa opposizione non si è vista in Parlamento. Speriamo che si veda nelle piazze, nelle università, sui luoghi di lavoro. Nelle chiese, anche, perché sono decine i sacerdoti che stanno aderendo alla manifestazione di sabato 21 gennaio a piazza Navona. Non c’è solo la Chiesa di Ratzinger, infatti. C’è anche una Chiesa che prende sul serio il Vangelo.

(11 febbraio 2009)

martedì 10 febbraio 2009

Pornografia

Nel pornografico rincorrersi di dichiarazioni politiche sul caso di Eluana Englaro una colpisce più di altre. Quella rilasciata a Cagliari, il 7 febbraio, da Silvio Berlusconi. «A me sembra», ha detto il premier, «che qui non ci sia altro che la volontà di togliersi di mezzo una scomodità». E quando i giornalisti gli hanno ricordato che il padre di Eluana era in attesa da anni di poter «liberare» la figlia, lui ha aggiunto: «Inizialmente pensavo che questa ragazza fosse assistita a casa, ma in realtà è assistita senza aggravio di spese per il padre».

Si tratta di brutte parole. E non tanto per il loro significato letterale che può essere condiviso o meno. Ma perché a pronunciarle, come hanno fatto notare alcuni frequentatori di questo blog, è stato un uomo che il dramma della vita e della morte lo ha dovuto affrontare in prima persona. Proprio Veronica Lario, l'8 aprile del 2005, per spiegare perché sarebbe andata a votare al referendum sulla procreazione assistita, ha raccontato al Corriere della Sera cosa accadde quando nei primi anni '80 rimase incinta del primo figlio (mai nato) di secondo letto del Cavaliere: «Ho avuto un aborto terapeutico. Al quinto mese di gravidanza ho saputo che il bambino che aspettavo era malformato e per i due mesi successivi ho cercato di capire, con l'aiuto dei medici, che cosa potevo fare, che cosa era più giusto fare. Al settimo mese di gravidanza sono dolorosamente arrivata alla conclusione di dover abortire. È stato un parto prematuro e una ferita che non si è ancora rimarginata».

La questione è eticamente troppo delicata per trarre delle conclusioni. Una riflessione però s'impone. Non tanto sul presidente del Consiglio, ma sul mondo della politica e su quello dei media. Pensate davvero che in Usa o in Inghilterra i giornalisti o gli avversari politici avrebbero lasciato cadere il tutto senza fare domande? Io, no.

La Strategia del Puttaniere (di Beppe Grillo)

La strategia politica dello psiconano è quella del puttaniere. Una volta capito questo, tutte le sue azioni diventano più chiare. In cosa consiste questa strategia? E’ semplice, il puttaniere ci prova sempre. Non si pone problemi a sfiorare una coscia o a toccare un seno. Se la donna tace, la sua mano avanza. In caso di rifiuto, dirà di essersi sbagliato, non aveva capito, non nutriva cattive intenzioni. Fino alla volta successiva in cui le toccherà il culo.
Prendiamo ad esempio il Lodo Alfano. Lo psiconano ci provò nel 2003. Si chiamava Lodo Schifani, promosso per questa legge presidente del Senato. Allora, la Corte Costituzionale lo bocciò. Un qualunque politico senza l’istinto del puttaniere si sarebbe messo il cuore in pace. Lui, invece, lo ha riproposto agli italiani senza neppure mettersi il preservativo. Napolitano lo ha firmato e, mentre la Corte Costituzionale per ora non si pronuncia, può vivere libero e impunito. La strategia del puttaniere è di avanzare senza porsi troppi problemi e in caso di difficoltà, come per l’Onda degli studenti, retrocedere, per poi, quando gli altri si distraggono, avanzare ancora.
Il perfetto puttaniere è un incompreso, non vuole mandare la polizia nelle scuole, non intende offendere la Costituzione. Chiagne e fotte, come potrebbe essere altrimenti? Un vero puttaniere non vuole farsi processare, è innocente a priori. Non è colpa sua se D’Alema ci stava, se Violante non sa dirgli mai di no o se a Fini piace il kamasutra. E neppure se Mills si è corrotto da solo o se Previti ha corrotto i giudici per l’assegnazione della Mondadori. Il puttaniere non c’entra per definizione e tiene famiglia, di solito più di una. La strategia del puttaniere però, per riuscire, richiede un numero elevato di puttane in circolazione, ma quelle, lui lo sa, non mancano mai. Di rado riceve un rifiuto, in quel caso si comporta da puttaniere di alta scuola italiana. Chi non te la dà diventa una puttana. E lo dice in giro a tutti. Lo confida sconsolato a Fede e a Giordano, a Gasparri e a Cicchitto. Fa girare la voce e le rotative per distruggere una reputazione.
Il puttaniere è un arci italiano, un figlio di mamma, uno che piangeva da piccolo se non aveva il biscotto, che copiava i compiti in classe dai compagni. Per questo ha successo. Siamo una nazione di puttanieri e ci vergogniamo a dirlo. Facciamo outing e andiamo, finalmente, tutti a puttane insieme al Paese.

http://www.beppegrillo.it/2009/02/la_strategia_de.html

lunedì 9 febbraio 2009

domenica 8 febbraio 2009

Cattolici catodici di pronto intervento

Ripugnanti da guardare e da ascoltare, ma pure spettacolo istruttivo assai. Il cattolici da talk-show televisivo che fanno i gradassi sulla vita e sulla morte (degli altri), in onda senza sosta in queste ore, ci danno preciso il ritratto di quel che sono, e di come vorrebbero questo paese: arretratezza, malafede, dogma e ignoranza. Per dirla con la faccia di Roberto Formigoni: cinica cattiveria e incapacità di amore. La chiamata alle armi è generale. Di colpo, tutti hanno un amico in coma che “sta benissimo”, “è vivissimo”, presto si sveglierà e li batterà a tennis. Chi non ha l’amico in coma, bontà sua, legge. La gerarchetta Meloni – pora cocca, che tenerezza! – interviene in consiglio dei ministri per dire che lei ha letto un libro su uno in coma. Però! Altri si inventano scienziati lì per lì: ripetono cose dette da vescovi o cardinali, che a loro volta le hanno orecchiate dai giornali, che a loro volta le hanno riprese da chissàdove, ma lo fanno col piglio di luminari della medicina. A volte (non sempre) in contraddittorio con medici veri, che trasecolano. Falsa coscienza, ma vera cattiveria. Non ce n’è uno, di questi soldatini della fede, che piantando un altro chiodo sulla croce di papà Englaro non gli dica “poverino”, “gli siamo vicini”. E giù un altro chiodo. Ma poi si svelano. Vogliono fortemente, pretendono, che si applichi quella straordinaria specialità cattolica che è l’ipocrisia. Se l’avesse portata a casa… Se l’avesse lasciata andare in silenzio… Insomma, se avesse accettato la tragedia privata senza pretendere di ottenere un diritto pubblico… ecco, sarebbe stato perdonato. E’ proprio sull’odio per chi  reclama diritti che si è saldato l’asse tra le gerarchie cattoliche e il più miscredente di tutti, Silvio Berlusconi. La propaganda di un dogma in ribasso o la volontà di uno scontro istituzionale; gli scarpini rossi di Ratzinger o i mocassini con rialzo di Silvio. I cattolici catodici di pronto intervento sguainano la spada. Purché ad essere calpestate siano le vite degli altri.

Tecnica di un colpo di Stato

A lui non frega nulla di Eluana. A lui interessa affermare il principio che una sentenza definitiva può essere ribaltata per decreto, o per legge ordinaria, o per legge costituzionale. A lui non frega nulla della vita e della morte. A lui interessa compiacere il Vaticano con un decreto impopolare ma a costo zero, fatto già sapendo che il Quirinale non lo firmerà, dunque senza pagare alcun prezzo di impopolarità. A lui non frega nulla delle questioni etiche. A lui interessa coprire il colpo di mano contro la giustizia e la civiltà: i medici trasformati in questurini e delatori contro i malati clandestini; le ronde illegali legalizzate; le intercettazioni legali proibite; gli avvocati promossi a padroni del processo, che faranno durare decenni convocando migliaia di testimoni inutili per procacciare ai clienti ricchi l'agognata prescrizione; i pm degradati ad «avvocati dell’accusa», come negli stati di polizia, dove appunto la polizia, braccio armato del governo, fa il bello e il cattivo tempo senza controlli della magistratura indipendente; dulcis in fundo, abolito l'appello del pm contro l'assoluzione o la prescrizione in primo grado, ma non quello del condannato (non hai vinto? Ritenta, sarai più fortunato), sempre all'insegna della «parità fra difesa e accusa». Tutte leggi incostituzionali che, dopo il no del Quirinale al decreto contra Eluanam, hanno molte possibilità in più di passare. Per giunta, inosservati. Parlare di colpo di Stato è puro eufemismo. E poi, che sarà mai un colpo di Stato? Se la Costituzione non lo prevede, si cambia la Costituzione.

Adesso, per favore, basta dialogo

Alla fine, buon ultimo, con una quindicina d’anni di ritardo, è arrivato anche il Corriere della sera. Il giornale vicediretto da Pigi Battista, che ancora giovedì sera ad Annozero domandava allibito: “Siamo forse un paese a sovranità limitata?”. Gli ha risposto Antonio Tabucchi, che vivendo tra Parigi e Lisbona riesce a cogliere meglio l’anomalia italiana, e ha ricordato lo spaventoso conflitto d’interessi berlusconiano. Che non dipende soltanto dal possesso di tv, giornali, banche, assicurazioni e tutto il resto. Ma dal fatto che Silvio Berlusconi è incompatibile con la Costituzione. Ieri il Corriere ha scritto che il premier è andato “oltre ogni misura” definendo “sovietica” la Costituzione sulla quale ha giurato. Ma l’aveva già detto a Torino il 12 aprile 2003: solo che all’epoca tutti fecero finta di niente. Come sempre. Come quando, tre mesi dopo, il Cavaliere iniziò a violentare la Carta col lodo Maccanico-Schifani, proseguendo poi col falso in bilancio, col decreto salva-Rete4 (che, come quello contra Eluana, cancellava la sentenza del 2002 della Consulta su Rete4, ma fu frettolosamente firmato dal capo dello Stato), con la legge Pecorella che aboliva l’appello solo per i pm, con la devolution concepita in una baita del Cadore, e ultimamente con il dolo Alfano, con l’ennesima controriforma della giustizia e con la porcata sulle intercettazioni.

Una guerra quotidiana alla divisione dei poteri, cambiando le leggi a propria immagine e somiglianza. Sono 15 anni che Berlusconi, ogni giorno che Dio manda in terra, va “oltre ogni misura”. E se - come scrive il Corriere - siamo a “uno dei più duri scontri istituzionali del dopoguerra repubblicano”, dipende esclusivamente dal fatto che solo oggi il caudillo di Arcore s’imbatte in un No chiaro e netto del Quirinale. Le altre volte l’han sempre, o quasi, lasciato fare. Per quieto vivere, nella speranza che fosse l’ultima volta. Invece era sempre la penultima. Vedremo se questa sarà finalmente l’ultima. Ma c’è da dubitarne. Nemmeno stavolta il Corriere trae dalla svolta eversiva del premier le dovute conseguenze (quelle tratte da Scalfari, che evoca la svolta autoritaria mussoliniana del 3 gennaio 1925) e torna a indossare i panni del pompiere: “auspica” una “ricucitura”, per “ricreare un clima meno tempestoso tra Palazzo Chigi e Quirinale” e “sanare una grave fattura tra le istituzioni”. Questa maledetto vizio di presentare gli attacchi berlusconiani alla Giustizia e alla Costituzione come “scontro fra poteri” non fa che il gioco di Berlusconi. Perché qui non c’è nessuno “scontro”. Qui c’è un signore che da 15 anni aggredisce e qualcun altro che ogni tanto, troppo raramente, difende le istituzioni aggredite. Berlusconi non fa cose incostituzionali: è lui, ontologicamente, incostituzionale. Un’opposizione degna di questo nome avrebbe già occupato il Parlamento in segno di protesta. E’ troppo chiedere che, almeno, la nostra opposizione abolisca per sempre la parola “dialogo”?

sabato 7 febbraio 2009

Quello che resterà

Quando tutta questa triste vicenda sarà conclusa, quando questa povera ragazza riposerà finalmente in pace, quello che resterà nelle teste di questo popolino ignorante , sarà che il loro pagliaccio preferito ha cercato di salvare una vita mentre Napolitano, i giudici, i comunisti tutti l'hanno uccisa.
Nel frattempo, tra uno spot e un'omelia , l'Italia sarà sprofondata in un regime autoritario in cui l'unica volontà che conta è quella di un sorridente vecchietto, più finto dei suoi capelli.
Ha già vinto, purtroppo , è l'unica cosa che la gente per bene può fare è andarsene lontano , lasciando il popolino delle libertà al suo inevitabile destino.
Spero di trovare il coraggio di farlo, perchè non voglio essere complice di questo scempio.

Eluana e la fine della democrazia


Eluana non c'entra. E' un pretesto per sfiduciare la Presidenza della Repubblica. La sua funzione di controllo e di garante della Costituzione. E' un braccio di ferro, forse un braccio di merda. Lo psiconano non vuole più nessuno che lo intralci nella sua marcia di occupazione delle istituzioni. Napolitano non ha firmato il decreto legge. Il Consiglio dei ministri allora lo scavalca con un disegno di legge identico al decreto. Dovremo ricordarci chi lo ha votato. Un giorno potremmo procedere contro di loro per attentato contro lo Stato.
Il disegno di legge verrà proposto al Parlamento dei burattini di Arcore che lo approverà. Il disegno di legge è incostituzionale? Si cambierà la Costituzione! Nessun primo ministro europeo farebbe, direbbe quello che dice, quello che fa questa bombetta a orologeria della democrazia. Eluana potrebbe procreare? Eluana potrebbe sopravvivere per tre, quattro giorni al digiuno forzato come Pannella? Io sono un comico, ma chi pronuncia queste parole è solo un pover'uomo.
Schifani è stato contingentato in una corsa contro il tempo per l'approvazione del disegno di legge al Senato. Il Presidente del Senato agli ordini dello psiconano. Ma non vi rendete conto che è una farsa? Che Eluana è un'informazione di distrazione di massa? Ogni giorno una nuova, pessima notizia. Non è sufficiente difendersi dal crollo dell'economia, occuparsi dei mille problemi quotidiani. Non basta. Ogni giorno che Dio manda in terra dobbiamo difenderci da una nuova legge, un decreto, un emendamento, un esproprio dei nostri diritti civili.
I nostri dipendenti operano senza sosta per mettersi al sicuro dalla magistratura e dalla resa dei conti. E' spossante e anche umiliante per un cittadino vivere in Italia. In tutto il mondo si cerca di fronteggiare la crisi, questi politicanti, ex fascisti, ex leghisti, piduisti a tempo pieno usano la crisi per rafforzare il loro potere ed eliminare gli altri, dalla magistratura, al Parlamento, alla Corte dei conti, alla presidenza della Repubblica.
Hanno fretta, una maledetta fretta. Sentono gli zoccoli dei bisonti, la cascata del Niagara che aspetta l'Italia. non vogliono fare la fine di Ceaucescu, ma neppure quella di Bottino Craxi. Il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato "prospettive tetre" per l'Italia. Tetre, un termine da Dario Argento, da film dell'orrore. Vogliono mettere l'esercito sul ponte del Titanic e fuggire con le scialuppe di salvataggio.
Loro non molleranno mai (ma gli conviene?).Noi neppure.

http://www.beppegrillo.it/2009/02/eluana_e_la_fine_della_democrazia.html

Attacco allo Stato

Eluana non c'entra. Questo pregio almeno ha avuto la terribile giornata di ieri. Sgombrare il campo da un residuo per quanto improbabile dubbio: che fosse un'umana convinzione o una fede a guidare l'azione del presidente del Consiglio. Non è così. È convenienza. È una spaventosa battaglia di potere che viene giocata sulla carne di una donna in coma. Eluana è un pretesto. È doloroso, quasi impossibile dirlo. Eppure è così. Eluana non c'entra.
Silvio Berlusconi ha sferrato ieri un definitivo assalto al Quirinale, ha aggredito la più alta delle istituzioni repubblicane, ha minacciato di cambiare la Costituzione se essa sarà di ostacolo alla sua volontà, ne ha additato il custode, Giorgio Napolitano, come si fa col responsabile di un delitto. E ha commesso la più ignobile delle mistificazioni: usare la sofferenza di una persona e di una famiglia come leva emotiva e demagogica <per attaccare la più alta carica del Paese e scardinare le regole di uno Stato di diritto: ignorarle, irriderle. Ha trattato come strumenti del suo potere il Vaticano, il governo, il Parlamento. Ha cacciato via con un colpo di mano mesi e mesi di calvario trascorsi da una famiglia tra appelli e ricorsi ad aspettare la decisione definitiva della giustizia. La giustizia ha parlato, ma più forte parla lui. E se qualcuno si oppone, via con un gesto del braccio anche costui, chiunque egli sia.

Non è l'ansia di popolarità che sempre lo guida attraverso il suo strumento-feticcio, i sondaggi, questa volta a muoverlo. I sondaggi dicono: pace per Eluana, rispetto. La maggior parte degli italiani è con Beppino Englaro e condivide la sua pena. La partita è un'altra, molto più grande e decisiva: il potere che lo aspetta, le regole del gioco da scrivere o da riscrivere, la posta in palio il Quirinale. Con qualunque mezzo. Pazienza se la tremenda partita a scacchi di queste ore, una vera corsa contro il tempo, si traduce in un supplizio, in una tortura fisica su un
corpo inerme: la fine dell'alimentazione forzata è stata avviata, l'organismo esanime si sta abituando, domani con una legge potrebbe riprendere, poi magari diminuire di nuovo e poi aumentare ancora. Una manopola che cambia le dosi seguendo i singulti della politica. Orribile. Ha detto, ieri: Eluana potrebbe avere figli. Come, da chi? Ha detto: un'indagine veloce che abbiamo commissionato a un istituto di
ricerca - un sondaggio, sì - ci dice che gli italiani pensano che suo padre dopo 17 anni possa essere stanco. Un fior di sondaggio. E dunque? Dunque il padre si faccia da parte, saranno le suore ad occuparsi di sua figlia. Parole irricevibili, inascoltabili. Ma la partita è altrove, appunto. Questi sono dettagli, è l'occasione che si è presentata per la prova di forza. Lo scontro è definitivo e ci riguarda tutti, ci mette tutti in pericolo di vita: vita democratica. Il capo dello Stato si erge con coraggio, con la forza semplice del richiamo alle leggi, come baluardo di un sistema di convivenza fondato sulle regole di tutti e non sulla parola di uno solo. Viviamo un tempo oscuro di violenza sorda. Siamo tutti con Napolitano. I nomi qui accanto sono i primi di una lunghissima serie di persone che hanno cercato questo giornale, ieri, per dirlo. Siamo con lei. Avanti, presidente.

http://concita.blog.unita.it//Attacco_allo_Stato_190.shtml

venerdì 6 febbraio 2009

La cosa che fa più rabbia è che al pagliaccio preferito dagli italiani non gliene frega nulla della vita di questa povera ragazza e del dolore di questo immenso padre.
A lui interessa aprire uno scontro istituzionale, dimostrare che può approvare una legge in tre giorni, cambiare la costituzione e riformare la giustizia.
Eluana è una fiction sentimentale costruita appositamente per nascondere il vero obiettivo.

La cosa che fa più tristezza è sapere che tutto questo accade per volontà degli italiani.
Perchè questo pagliaccio è stato votato e applaudito per 15 anni dalla maggioranza, più o meno uno, del nostro popolo, sempre più popolino.
E non ci sono scusanti che tengano, le liti della sinistra, le tasse di Prodi, Mastella e Pecoraro, "ma anche" Veltroni, l'immondizia di Napoli e le tangenti rosse.
Non ci sono scuse, sta accadendo quello che gli Italiani hanno, più o meno consapevolmente , voluto e chiesto.

Portatelo via

Questo blog non si occupa di Eluana Englaro perché ha troppo rispetto per i misteri del dolore, della vita e della morte. Ma non possiamo non occuparci, ancora una volta, di un governo indecente e di un premier fuori controllo che ieri, dopo la bocciatura del suo demenziale decreto incostituzionale e vergognoso, ha sostenuto che Eluana sta benissimo, tanto che potrebbe persino avere figli. In attesa che ci racconti una barzelletta sui malati terminali in coma vegetativo, sulla scia di quelle sull’Olocausto e sulle ragazze stuprate, sarebbe il caso che qualcuno provvedesse a un Tso (trattamento sanitario obbligatorio). In un paese perlomeno decente, in casi come questo arrivano due infermieri e portano via il soggetto in ambulanza, per sottoporlo ad accurati accertamenti. Quanto poi a quel che è accaduto in queste ultime ore tra il Quirinale e Palazzo Chigi, prepariamoci a leggere le “indiscrezioni” dei “retroscenisti” che, a seconda degli schieramenti, faranno apparire il capo dello Stato o il capo del governo come eroi della resistenza. Io preferisco guardare al risultato finale. Berlusconi ha ottenuto ciò che voleva: dimostrare al Vaticano di aver fatto tutto il possibile per compiacere le gerarchie ecclesiastiche (si spera non tutte) e i loro seguaci più ottusi. Napolitano ha ottenuto ciò che voleva: dimostrare che, almeno una volta nella vita, ha avuto il coraggio di rimandare indietro una legge vergogna, altrettanto incostituzionale quanto il lodo Alfano o la schedatura ai bambini rom o l’aggravante razziale per gli immigrati clandestini o il decreto sui rifiuti in Campania. In più, se c’era qualche speranza che il Quirinale bocciasse la legge-porcata sulle intercettazioni o la controriforma della giustizia varata ieri dal Consiglio dei ministri o il nuovo pacchetto sicurezza che legalizza le ronde padane e impone ai medici di denunciare i malati clandestini, ora quelle possibilità si riducono al lumicino: un intero esercito di pompieri si scatenerà per spegnere i fuochi di questo “scontro fra Napolitano e Berlusconi” e per riportare la pace tra i due palazzi. Così Berlusconi uscirà, ancora una volta, vincitore: a lui, di Eluana, non frega nulla. A lui interessa distruggere la Giustizia. E da stasera ha qualche chance in più di farcela.

giovedì 5 febbraio 2009

Cane morde uomo

Prima che fosse abolita la logica, nelle scuole di giornalismo si insegnava che se un cane morde un uomo, non è una notizia; lo è se l’uomo morde il cane. Poi ci siamo bevuti il cervello. Lunedì l’Unità ha scritto che Berlusconi - non un passante, il presidente del Consiglio - è uscito dall’unico processo in corso a suo carico: quello in cui era sospettato di aver danneggiato la carriera a un agente dei servizi su pressione dell’ex moglie di quest’ultimo, con la quale il premier aveva «intrecciato una relazione».
C’era da attendersi il solito pianto greco sulla fine della persecuzione giudiziaria e sul crollo dell’ennesimo teorema. Invece niente. Nessun giornale (a parte la Repubblica) e tg ha ripreso la notizia. Un tempo si censuravano le condanne dei potenti.
Ora pure le assoluzioni. Almeno quelle imbarazzanti per l’immagine del noto difensore della Sacra Famiglia. In compenso ampio spazio all’indagine su Di Pietro per vilipendio del Quirinale, cioè per un reato di opinione. E prime pagine mobilitate per la dammatica fine della love story tra il ministro Frattini e la dermatologa Chantal. Decisamente meno interessante il rinvio a giudizio di Raffaele Fitto - non un passante, un ministro - per turbativa d’asta e interesse privato: ormai l’espressione «ministro imputato» è pura tautologia. Mica siamo in America, dove Obama ha fatto fuori tre membri della sua amministrazione per conflitto d’interessi (Bill Richardson), evasione fiscale (Tom Daschle) e mancato pagamento dei contributi alla colf (Nancy Killefer). Pare che Obama lo faccia apposta per sputtanarci. Quel maledetto abbronzato

Nani e Giganti

Soru risponde all'offensiva del presidente del Consiglio
"Ma non siamo alla pari perché lui può dire le cose più terribili"
"Alla sua età si dovrebbe essere più saggi
invece Berlusconi si comporta come Caligola"
di SEBASTIANO MESSINA

 

Renato Soru
ROMA - Berlusconi contro Soru, Soru contro Berlusconi. E' un duello, certo, ma non è ad armi pari. Se il premier pesca a piene mani nell'audience delle sue tv per accusare l'avversario di essere "un fallito", il governatore della Sardegna gli risponde davanti a uno sparuto drappello di giornalisti. Ma anche lui ci va giù duro: "Mi fa una pena infinita, quest'uomo alle soglie della vecchiaia. Ormai mi ricorda Caligola, l'imperatore che nominò senatore il suo cavallo".

Ha sentito, presidente? Berlusconi dice che lui, al suo posto, non si sarebbe mai ripresentato...
"Ma cosa si può rispondere a un presidente del Consiglio che si è ricandidato alle elezioni dopo essere stato amnistiato, dopo aver cancellato con una legge il reato di cui era accusato, dopo essere uscito da un processo solo grazie alla prescrizione?".

Però lui l'ha bollata in tv come "un fallito": Soru, ha detto, come imprenditore ha accumulato 3,3 miliardi di perdite, ha licenziato 250 persone e ha fatto crollare il valore delle azioni della sua azienda, Tiscali. A queste accuse vorrà rispondere, o no?
"Non sono accuse, sono falsità allo stato puro. Non so da dove li abbia presi, quei dati. Premesso che io non gestisco la società da cinque anni, da quando sono stato eletto, dico solo che Tiscali non li ha mai visti, 3,3 miliardi: come potrebbe averli perduti?".

Ma i 250 licenziamenti?
"Questa storia se l'è inventata Il Giornale: abbiamo chiesto inutilmente una rettifica, domani ci rivolgeremo al Tribunale per ottenerla. Ci sono stati 70 esodi volontari incentivati, punto. Non un solo licenziamento. E senza neanche un'ora di cassa integrazione. Ma la cosa che più mi indigna è un'altra".

E cioè?
"Che per denigrare me, proprietario oggi solo del 20 per cento di Tiscali, Berlusconi sta danneggiando una società che produce ricchezza e lavoro, sta danneggiando l'80 per cento dei suoi azionisti che non c'entrano nulla e soprattutto sta danneggiando i suoi lavoratori. In un momento di crisi che riguarda tutti, compresa Mediaset che in due anni ha perso più del 60 per cento del valore, il presidente del Consiglio crea panico e fa delle affermazioni su una società quotata in borsa che sono al limite dell'aggiotaggio. Ma tanto lui è un impunito".

Nel senso che ha l'impunità?
"Guardi, l'altro giorno sono andato in Procura a denunciarlo, e ho potuto toccare con mano in che repubblica stiamo vivendo. Il presidente del Consiglio può dire di ciascuno di noi le cose più terribili, ma noi siamo assolutamente nudi e indifesi perché lui è protetto dal lodo Alfano".

Ma perché ce l'ha tanto con lei? C'è stato uno scontro, un diverbio, una lite?
"No, le nostre vite non si sono mai incrociate. Io l'ho incontrato a Palazzo Chigi, per ragioni istituzionali, nei pochi minuti che mi ha dedicato. Non c'è nulla di personale, credo. Solo bulimia di potere: vuole conquistare la Sardegna. Ora sa che sta per perdere e dunque è disposto a fare qualunque cosa per evitarlo".

Che effetto le fa, accendere la tv e vedere il presidente del Consiglio che parla male di lei?
"Guardi, all'inizio mi sono un po' arrabbiato. Adesso ho un senso di pena per quest'uomo di 73 anni, ormai alle soglie della vecchiaia. Ci si aspetta che una persona a quell'età migliori, che diventi più matura e più saggia. E magari si spera nella "grazia di Stato", che la renda più adeguata al ruolo che ricopre. Purtroppo con Berlusconi tutto questo non è successo. Nemmeno in vecchiaia, nemmeno come presidente del Consiglio, quest'uomo riesce a essere serio. Lui vuole prevaricare su tutto e su tutti. Perciò mi ricorda Caligola".

Vuol dire che Cappellacci, il suo sfidante, è il cavallo che Berlusconi vuol fare senatore?
"Non voglio dire questo. Però è evidente che la campagna elettorale la sta facendo Berlusconi. Persino sulla scheda elettorale ci sarà il simbolo "Berlusconi presidente". Il suo messaggio è chiaro: l'unico che conta sono io, gli altri non contano nulla. E' una volontà di imperio che va al di là del bene e del male. Per fortuna la storia ha risolto questioni ben più difficili di questa. Alla fine il tempo di Caligola finisce. Dopo Caligola viene Traiano, e poi Adriano. I tempi migliori di Roma sono venuti dopo i tempi peggiori. La stessa cosa capiterà all'Italia, ne sono certo. E Berlusconi, certo, passerà alla storia: ma come Caligola".

La partita della Sardegna si chiude tra dieci giorni. Il 15 febbraio sapremo chi l'avrà vinta. Se vince Cappellacci, vince anche Berlusconi. Ma se lei riesce a farsi rieleggere, c'è chi dice che Veltroni dovrà cominciare a preoccuparsi, perché lei diventerebbe un vincitore un po' troppo ingombrante. E' così?
"Se Soru vince, Veltroni sarà felice. Perché sarà una vittoria mia, del centrosinistra e del Partito democratico. E infatti Veltroni sta lavorando, insieme a tutti gli altri, perché vinca io".

(5 febbraio 2009)