domenica 30 agosto 2009

De Magistris: "Si prepara il colpo di Stato d'autunno"

di Luigi De Magistris

Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica - di ispirazione piduista - tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento - nei prossimi mesi- il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero golpe d’autunno. Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista - di tipo peronista - disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione. Il Parlamento - coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere - ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza. La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il Pm all’iniziativa della polizia giudiziaria e, quindi, del governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cd. microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari per combatterla).

La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura – non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti – ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica. La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del «papi», ossia del padrone che dispensa posti e prebende. Il prossimo Presidente della Repubblica – il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti - dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate (dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati e omosessuali) in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.

Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più, mentre sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari. Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro - pubblico e privato - fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio, in definitiva, della nostra «Storia».

Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato - apparentemente indolore ed a tratti invisibile - reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie, dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale. Un golpe senza armi - ma intriso di violenza morale - con l’utilizzo del diritto illegittimo,della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. È necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.
30 agosto 2009

venerdì 28 agosto 2009

Il Pagliaccio Denuncia Repubblica.

Insabbiare
di EZIO MAURO

Non potendo rispondere, se non con la menzogna, Silvio Berlusconi ha deciso di portare in tribunale le dieci domande di Repubblica, per chiedere ai giudici di fermarle, in modo che non sia più possibile chiedergli conto di vicende che non ha mai saputo chiarire: insabbiando così - almeno in Italia - la pubblica vergogna di comportamenti privati che sono al centro di uno scandalo internazionale e lo perseguitano politicamente.

E' la prima volta, nella memoria di un Paese libero, che un uomo politico fa causa alle domande che gli vengono rivolte. Ed è la misura delle difficoltà e delle paure che popolano l'estate dell'uomo più potente d'Italia. La questione è semplice: poiché è incapace di dire la verità sul "ciarpame politico" che ha creato con le sue stesse mani e che da mesi lo circonda, il Capo del governo chiede alla magistratura di bloccare l'accertamento della verità, impedendo la libera attività giornalistica d'inchiesta, che ha prodotto quelle domande senza risposta.

In questa svolta c'è l'insofferenza per ogni controllo, per qualsiasi critica, per qualunque spazio giornalistico d'indagine che sfugga al dominio proprietario o all'intimidazione di un potere che si concepisce come assoluto, e inattaccabile. Berlusconi, nel suo atto giudiziario contro Repubblica vuole infatti colpire e impedire anche la citazione in Italia delle inchieste dei giornali stranieri, in modo che il Paese resti all'oscuro e sotto controllo. Ognuno vede quanto sia debole un potere che ha paura delle domande, e pensa che basti tenere al buio i concittadini per farla franca.

Tutto questo - la richiesta agli imprenditori di non fare pubblicità sul nostro giornale, l'accusa di eversione, l'attacco ai "delinquenti", la causa alle domande - da parte di un premier che è anche editore, e che usa ogni mezzo contro la libertà di stampa, nel silenzio generale. Altro che calunnie: ormai, dovrebbe essere l'Italia a sentirsi vilipesa dai comportamenti di quest'uomo.

(28 agosto 2009)

giovedì 27 agosto 2009

Ennesima Censura RAI

Anche da Mediaset no allo spot del film che racconta l'ascesa delle tv di Berlusconi
La tv di Stato esigeva un contraddittorio per rispettare il pluralismo

La Rai rifiuta il trailer di Videocracy
"E' un film che critica il governo"

di MARIA PIA FUSCO

ROMA - Nelle televisioni italiane è vietato parlare di tv, vietato dire che c'è una connessione tra il capo del governo e quello che si vede sul piccolo schermo. La Rai ha rifiutato il trailer di Videocracy il film di Erik Gandini che ricostruisce i trent'anni di crescita dei canali Mediaset e del nostro sistema televisivo.

"Come sempre abbiamo mandato i trailer all'AnicaAgis che gestisce gli spazi che la Rai dedica alla promozione del cinema. La risposta è stata che la Rai non avrebbe mai trasmesso i nostri spot perché secondo loro, parrà surreale, si tratta di un messaggio politico, non di un film", dice Domenico Procacci della Fandango che distribuisce il film. Netto rifiuto anche da parte di Mediaset, in questo caso con una comunicazione verbale da Publitalia. "Ci hanno detto che secondo loro film e trailer sono un attacco al sistema tv commerciale, quindi non ritenevano opportuno mandarlo in onda proprio sulle reti Mediaset".

A lasciare perplessi i distributori di Fandango e il regista sono infatti proprio le motivazioni della Rai. Con una lettera in stile legal-burocratese, la tv di Stato spiega che, anche se non siamo in periodo di campagna elettorale, il pluralismo alla Rai è sacro e se nello spot di un film si ravvisa un critica ad una parte politica ci vuole un immediato contraddittorio e dunque deve essere seguito dal messaggio di un film di segno opposto.

"Una delle motivazioni che mi ha colpito di più è quella in cui si dice che lo spot veicola un "inequivocabile messaggio politico di critica al governo" perché proietta alcune scritte con i dati che riguardano il paese alternate ad immagini di Berlusconi", prosegue Procacci "ma quei dati sono statistiche ufficiali, che sò "l'Italia è al 67mo posto nelle pari opportunità"".

A preoccupare la Rai sembra essere questo dato mostrato nel film: "L'80% degli italiani utilizza la tv come principale fonte di informazione". Dice la lettera di censura dello spot: "Attraverso il collegamento tra la titolarità del capo del governo rispetto alla principale società radiotelevisiva privata", non solo viene riproposta la questione del conflitto di interessi, ma, guarda caso, si potrebbe pensare che "attraverso la tv il governo potrebbe orientare subliminalmente le convinzioni dei cittadini influenzandole a proprio favore ed assicurandosene il consenso". "Mi pare chiaro che in Rai Videocracy è visto come un attacco a Berlusconi. In realtà è il racconto di come il nostro paese sia cambiato in questi ultimi trent'anni e del ruolo delle tv commerciali nel cambiamento. Quello che Nanni Moretti definisce "la creazione di un sistema di disvalori"".

Le riprese del film, se pure Villa Certosa si vede, è stato completato prima dei casi "Noemi o D'Addario" e non c'è un collegamento con l'attualità. Ma per assurdo, sottolinea Procacci, il collegamento lo trova la Rai. Nella lettera di rifiuto si scrive che dato il proprietario delle reti e alcuni dei programmi "caratterizzati da immagini di donne prive di abiti e dal contenuto latamente voyeuristico delle medesime si determina un inequivocabile richiamo alle problematiche attualmente all'ordine del giorno riguardo alle attitudini morali dello stesso e al suo rapporto con il sesso femminile formulando illazioni sul fatto che tali caratteristiche personali sarebbero emerse già in passato nel corso dell'attività di imprenditore televisivo".

"Siamo in uno di quei casi in cui si è più realisti del re - dice Procacci - Ci sono stati film assai più duri nei confronti di Berlusconi come "Viva Zapatero" o a "Il caimano", che però hanno avuto i loro spot sulle reti Rai. E il governo era dello stesso segno di oggi. Penso che se questo film è ritenuto così esplosivo vuol dire che davvero l'Italia è cambiata".

(27 agosto 2009)

sabato 22 agosto 2009

Little Italy

Questa intervista pubblicata su Repubblica fotografa bene lo squallore culturale in cui è precipitata l'Italia.
Ragazzette senza nessun titolo che si propongono per un posto in Parlamento senza nessuna vergogna e un popolino ormai assuefatto a qualsiasi cosa.

Il cognome comunque è tutto un programma.

Il suo nome è spuntato nell'inchiesta barese su Tarantini e sul giro di ragazze
da portare alle cene di Berlusconi. E ora Graziana Capone parla a Novella 2000
"Mi sento la più vicina a Silvio
Lui come Gesù, io forse la nuova Veronica"
Definisce se stessa "Alice nel Paese delle meraviglie", mentre la D'Addario
è "l'angelo caduto all'inferno". In tarda serata, smentisce tutto

 

Graziana Capone
ROMA - Il nome di Graziana Capone - nota alle cronache anche come "la Angelina Jolie di Bari" - è spuntato a luglio nell'inchiesta pugliese su Gianpaolo Tarantini, e sul suo ruolo di reclutatore di presenze femminili per le cene a Palazzo Grazioli o Villa Certosa. Lei aveva ammesso subito l'"amicizia" col premier, negando però risvolti mercenari: "Non tutti sono in vendita", aveva scritto su Facebook. Ma adesso, intervistata da Novella 2000, Graziana si mostra molto più prodiga di particolari. Raccontando la sua infatuazione per il "presidente", che paragona addirittura a Cristo: come Gesù, spiega, "lui dice 'Lasciate che i fanciulli vengano a me'"...

Per il resto, nella lunga chiacchierata col giornale di gossip, la giovane donna rivendica - come aveva già fatto coi cronisti di Repubblica qualche settimana fa - il suo ruolo di favorita di Papi ("ma io non lo chiamo così", precisa): "Nel posto più vicino al cuore, alle sue cene, lui vuole me". Forse perché, aggiunge "somiglio a Veronica Lario". Un paragone, questo, che sembra non imbarazzare affatto la volitiva ventiquattrenne. Protagonista, secondo quanto emerso a margine dell'inchiesta barese, di un week end al centro Messegué di Todi, chiuso ai clienti "normali", e interamente a disposizione sua, del premier e di altre due ragazze.

E varie settimane dopo queste rivelazioni la linea seguita da Graziana è la stessa: lei e Silvio sono legati da una bella, affettuosa amicizia. Che continua, e che continuerà: "Magari sarò la nuova Veronica", azzarda. Poi spiega: "Quello col presidente è un rapporto assiduo, ci sentiamo moltissimo al telefono". Lei stessa lo definisce "un grande seduttore, eccome se lo é"; anche se, facendo un piccolo passo falso rispetto alla difesa a tutto campo del Cavaliere, ammette di non aver portato alle cene berlusconiane sua sorella più piccola "perché tendo a preservare le persone che amo".

Ma non è solo un gran seduttore, Silvio, nelle parole della Capone. Visto che a un certo punto i suoi toni si fanno quasi mistici: interpellata sul perché lui si circondi sempre di giovani, specie di sesso femminile, spiega che il suo è una sorta di evangelico "lasciate che i fanciulli vengano a me. Il presidente , come Gesù, dà ai giovani un'idea di concretezza, trasmette energia". Segue ulteriore citazione religiosa: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Forse è per quest'aura di santità, di autorevolezza, quasi di infallibilità che la ventiquattrenne confessa candidamente a Novella di aver chiesto a lui il "permesso" di dare l'intervista.

Non con tutti, però, Graziana è così prodiga di belle parole. Ad esempio, passando a Patrizia D'Addario, sembra di precipitare dal paradiso berlusconiano al girone dei peggiori peccatori: "Lei è l'angelo caduto all'inferno, io sono Alice nel Paese delle meraviglie". Anche verso Tarantini non è tenera: "Non mi ha mai convinto". E infine una frecciatina a Manuela Arcuri: "Per la cena di Natale a Palazzo Grazioli Tarantini la chiamò: ma lei faceva la capricciosa, diceva 'non so'... Avrebbe voluto un invito diretto del presidente".

Quanto al futuro, la Capone dice che non le spiacerebbe una nomina a ministro. Ma può anche darsi che finirà a fare l'attrice, il magistrato o l'avvocato: "Ma solo per sostituire Ghedini", puntualizza.

La smentita serale. E dopo le 21, quattordici ore dopo l'arrivo di Novella 2000 nelle edicole e otto ore dopo la pubblicazione dei contenuti sul nostro sito, Graziana Capone ha rilasciato un comunicato attraverso il suo addetto stampa: "Le mie dichiarazioni apparse su Novella 2000 e rilanciate dal sito di Repubblica sono state ampiamente travisate. Mai ho pronunciato alcuna delle frasi riportate, né in particolare mi sono paragonata o proposta a sostituire Veronica Lario. Nè mai, ovviamente, ho paragonato il presidente Berlusconi a Gesù. Si è trattato di una chiacchierata in cui sono stati toccati più argomenti, ma non mi riconosco assolutamente nel contenuto dell'articolo". Ma Candida Morvillo, direttore di Novella 2000, conferma tutto: "Peccato che dall'ampia documentazione audio in nostro possesso si possano ascoltare, dalla viva voce della signorina in questione, le frasi che, forse complice un colpo di sole ferragostano, l'intervistata ritiene di non aver mai pronunciato

mercoledì 19 agosto 2009

Videocracy

[Svenska Dagbladet]

Il documentario Videocracy di Erik Gandini è riuscito a far parlare di sé ancora prima che qualcuno l’abbia visto. E già il giorno dopo la sua première al festival di Venezia si sa che 30 cinema italiani lo mostreranno a partire dal 4 settembre. E la lista di altri paesi che lo faranno è lunga. Erik Gandini non ha mai vissuto un momento così positivo come regista.

In Italia generalmente i documentari non si vedono in TV o nei cinema. Nel migliore dei casi si possono comprare insieme ad un libro in librerie ben fornite.

- È davvero grandioso che il film venga fatto vedere al cinema. A distribuire il film è la stessa casa di produzione di Gomorra. In effetti io non mi ero neanche sognato di arrivare al pubblico italiano, ma adesso la cosa si è ribaltata, vogliono vedere il mio film a tutti i costi!

Incontriamo Erik Gandini presso la casa di produzione Atmo in Götgatan a Stoccolma. Si presenta in jeans e camicia bianca stropicciata, fresco come una rosa nonostante la sera prima abbia festeggiato i 40 anni della moglie Johanna Westman.

- Credo che l’interesse dipenda dal fatto che il film non è aggressivo. Gli italiani sono così stanchi di tutti gli attacchi a Berlusconi come persona. Oltretutto lui vince sempre tutti i dibattiti perché utilizza argomenti emozionali e fa la vittima. Il mio film lo presenta in un modo diverso.

Chi ha visto la televisione italiana non può evitare di sbalordirsi di fronte ad un fenomeno ricorrente. Che si tratti di sport, politica o intrattenimento, seduti a discutere gli svariati temi ci sono sempre anziani e corpulenti uomini in giacca e cravatta, circondati da donne giovani, slanciate e seminude, che ballano e sorridono senza dire niente. Le cosiddette veline, una specie di donne di servizio.

Nel film di Erik Gandini, Videocracy, una società in cui lo schermo ha il potere, otteniamo finalmente una spiegazione del fenomeno.

Erik Gandini è tanto italiano quanto svedese. Parla svedese con una leggera intonazione italiana, ma non posso stabilire se il suo italiano suoni svedese. È il risultato di un padre italiano e di una madre svedese che vivono ancora a Bergamo, dove Erik è nato.

- È una storia carina, ride Erik Gandini quasi imbarazzato.

- Mia madre Kerstin era scout quando aveva 10 anni, così come lo era la sorella di mio padre, e divennero amiche di penna. La famiglia di mio padre era talmente povera dopo la guerra che persino comprare i francobolli per la Svezia era un sacrificio, ma dato che a mia zia sembrava così divertente avere un’amica di penna in Svezia le veniva concesso il denaro.

Quando mia madre compì 20 anni, andò a Perugia a studiare italiano e cercò la vecchia amica di penna. Così incontrò mio padre Nino, se ne innamorò, si sposò e si trasferì a Bergamo, o qualcosa del genere. Si può aggiungere che la moglie di Erik Gandini, Johanna Westman, presentatrice e scrittrice di libri di cucina, è anche lei appassionata dell’Italia con origini italiane.

- Parla italiano perfettamente, dice orgoglioso Erik Gandini, così fanno del resto anche i loro tre bambini.

Da bambini, Erik Gandini e le sue due sorelle maggiori andavano in Svezia ogni estate. Per il padre di Erik la Svezia era un paradiso, la terra promessa, in comparazione con la corrotta Italia. Dopo il diploma, tutti e tre avrebbero dovuto passare un anno in Svezia. Erik Gandini ci è rimasto, e in seguito è entrato nel programma Media e Comunicazione dell’università di Biskops-Arnö. Grazie alle lezioni di conferenzieri come Stefan Jarl e Peter Watkins, sentì di aver trovato la professione giusta – documentarista.

- Fu allora che scoprii che cosa potevano essere i documentari, dice gesticolando con entusiasmo.

- Ricordo come una rivelazione quando nell’autunno dell’86 la televisione svedese trasmise Shoa di Claude Lansmann due sere di fila. Scoprii un modo completamente nuovo di relazionarsi alla realtà. Che con la macchina da presa si potesse davvero creare la piena sensazione di essere altrove. Io avevo visto come la televisione banale era esplosa in Italia, in un modo che già allora era preoccupante. Infatti è stato proprio durante gli anni ’80 che Berlusconi ha costruito Mediaset dal nulla.

Torniamo adesso agli eleganti signori e alle ragazze seminude della televisione italiana.

Ciò che vediamo è insomma, secondo Erik Gandini, il risultato del gusto personale di Silvio Berlusconi. La TV deve intrattenere, e che cosa può intrattenere meglio di ragazze giovani e belle? Che lui la pensi così d’altronde non è un segreto. ”Divertirsi” è il suo mantra. Ma tutto il popolo italiano dovrebbe pensarla allo stesso modo?

Secondo il film di Erik Gandini, tutto cominciò una sera del 1976 quando una stazione televisiva locale trasmise un gioco a quiz in cui gli spettatori potevano chiamare e rispondere alle domande. Alcune casalinghe erano state convinte a lasciare cadere indumento dopo indumento in diretta, ad ogni risposta esatta. Il gioco a quiz ottenne un successo tale da far fermare le fabbriche.

Allora nessuno poteva sospettare che quello show in bianco e nero sarebbe stato l’inizio di una rivoluzione televisiva guidata da Silvio Berlusconi, che oggi possiede l’azienda Mediaset, composta da tre canali TV nazionali che hanno circa la metà degli spettatori del paese. Oggi, per l’80 per cento degli italiani la televisione rappresenta la fonte primaria di informazione e di ispirazione nella loro vita.

Il contenuto dei canali di Berlusconi è stato gestito con molta consapevolezza, con l’intenzione di creare celebrità prendendole tra la gente comune. Il risultato è stato che la giovane generazione di italiani ha l’obiettivo di apparire in TV. È anche il grande obiettivo del tornitore Ricky. Videocracy lo segue mentre lui con ogni mezzo cerca di entrare in uno show della TV, che secondo lui sarà l’inizio di una nuova vita da celebrità. Ma per le ragazzine è più facile far carriera. Vengono scelte tra chi si fa avanti ai concorsi per veline che continuamente si organizzano nei centri commerciali in giro per l’Italia.

- Allora ridevamo di quei programmi, ma oggi non più. Se qualcuno ci avesse detto che quello era l’inizio di una nuova era, non gli avremmo mai creduto.

Il più visto della TV italiana è ancora il Grande Fratello e le celebrità che questo programma crea mantengono un’enorme industria di cronaca rosa, posseduta da Berlusconi. Tra i protagonisti che Erik Gandini ha seguito in Videocracy c’è il superpaparazzo Corona, che si è fatto strada fino a diventare una celebrità, a volte pubblicando e a volte ricattando le persone con le sue foto. Dopo essere stato in prigione, adesso ha lanciato la sua marca di mutande, ha pubblicato un disco e scritto un libro. Forse sarà il successore di Berlusconi.

Erik Gandini ha anche incontrato il superagente Lele Mora, vicino di Berlusconi in Sardegna e suo procacciatore di ragazze. Mora si è arricchito prendendo il 30 per cento degli introiti delle sue celebrità. Erik Gandini lo paragona ad un ecosistema al cui vertice c’è Berlusconi.

Come sei entrato nella vita di queste persone?

- Sono incredibilmente egocentriche e vogliono farsi vedere. Non sanno neanche cosa sia un documentario. È bastato che dicessi che facevo un film per la televisione svedese. Suona bene ed è esotico. Ho potuto essere un osservatore che nessuno notava. Si tratta di un mondo che non è così inaccessibile come si crede, dato che nessuno lo mette in questione. Tutti lo trovano normalissimo tranne me!

Alla Atmo, la casa di produzione di Erik Gandini, lavora anche Tarik Saleh, anche lui presente a Venezia con il suo film Metropia. Gandini e Saleh si sono conosciuti nel programma TV Elbyl, uniti dall’interesse comune nel nostro tempo ma anche da quello di trovare nuovi modi di descrivere cose che sono già state descritte tante volte. Insieme hanno fatto i documentari Sacrificio: chi ha tradito Che Guevara e Gitmo, sulla base di Guantanamo a Cuba.

L’Italia però Erik Gandini l’aveva evitata a lungo. Videocracy è il suo primo film su questo paese.

- Quando andavo in Italia rimanevo deluso soprattutto perché il mio modo di esprimermi là non funzionava. Quando dicevo che facevo documentari replicavano: ah, fai film sulla natura.

Ma da qualche parte cominciava a punzecchiarlo l’idea di riprendersi il suo paese. Racconta dei cosiddetti film Mondo, fatti dagli italiani che viaggiavano in giro per il mondo e filmavano luoghi esotici, tra cui la Svezia in Svezia inferno o paradiso.

- Cominciavo a pensare che fosse venuta l’ora di saldare i conti, ridacchia Erik Gandini. - Di raccontare qualcosa dell’Italia che loro stessi non vedevano. Che il mondo venisse in Italia e di far vedere fino a che punto si è arrivati. È questo genere di cose che dà il la al mio lavoro. Rovesciare le prospettive. Non è necessario essere un regista aggressivo, può essere sufficiente lasciare che le persone raccontino. Io non cerco immagini diffamatorie.

- Ero sconvolto sul serio vedendo gli effetti di questo mondo. I miei amici italiani parlano tutti della TV come di un mostro. Io ho dato la mia versione di questo mostro. Ciò che mi spinge è la volontà di riconquistare la realtà. È così facile rivivere tutto attraverso le immagini degli altri. La realtà però ti sfugge dalle mani. Io invece le cose le voglio vivere di persona. Berlusconi ha creato un mostro che nemmeno lui riesce più a controllare. Il risultato è che l’Italia si trova nella parte bassa della classifica mondiale della parità tra i sessi e della libertà di espressione.

Adesso spera che nasca un dibattito vero sulla televisione in Italia e che il suo film mostri la realtà dietro le promesse di felicità e godimento.

Perché l’Italia di Berlusconi non è qualcosa di cui ridere, si dovrebbe piangere piuttosto – ”non c’è niente da ridere, solo da piangere”, dice.



Speranze Inglesi

[The Guardian]

Silvio Berlusconi ha cominciato le vacanze estive scagliando una serie di feroci attacchi contro i media italiani. Tutto ha avuto inizio venerdì scorso, con questa replica ad una innocua domanda sui gasdotti russi, posta da un giornalista del notiziario della terza rete nazionale, il TG3, a cui ha risposto: “Lei appartiene ad una testata che ieri ha dato quattro notizie, tutte negative e tutte contro il governo. Credo che sia una cosa che non dobbiamo e non possiamo più sopportare: una televisione finanziata con denaro pubblico che critica il governo”.

Gli attacchi sul “giornalismo deviato” de La Repubblica si sono trascinati fino a questa settimana, dopo che il quotidiano aveva pubblicato l’intervista al Presidente della regione Puglia, nonché attivista di spicco per i diritti gay, Nichi Vendola.

Le accuse di Berlusconi al TG3 sono state scatenate da una serie di notizie che mettevano in dubbio l’immagine dell’Italia come paese ricco e di successo, governato da un leader carismatico e popolare. Le notizie comprendevano servizi su: dati che denunciavano un declino della produzione industriale al 20%; aggiornamenti sulle proteste presso l’azienda milanese Innse, dove quattro operai manifestavano con un sit-in cima ad una gru; la reazione dei sindaci italiani nei confronti dell’introduzione delle ronde a difesa delle città; la congestione del traffico di inizio estate nelle strade e negli aeroporti.

Questa non è la prima volta che Berlusconi ha attaccato la stampa italiana. Ma in precedenza aveva rivolto le sue ire nei confronti di quei quotidiani che lo avevano accusato di aver avuto relazioni con giovani donne e prostitute o che comunque cercavano di orientare le opinioni a sinistra. La differenza, in questo caso, è che Berlusconi ha incriminato il TG3 solo perché aveva dato delle notizie.

Ma l’aspetto che condfonde della storia è: perché Berlusconi dovrebbe attaccare questi mezzi, quando ha praticamente il controllo assoluto su tutti gli altri? Perché mai non lascia che un canale e un quotidiano continuino a fornire notizie, anche solo per dare l’idea della libertà di stampa?

Dopotutto, la resistenza di Berlusconi dopo mesi di rivelazioni scandalose sulla sua vita sessuale, può solo testimoniare l’efficace manipolazione dei media italiani da parte sua. Sebbene tanto inchiostro sia stato versato per descrivere in modo talvolta anche morboso, i dettagli sulla relazione tra Berlusconi e Patrizia D’Addario, la maggioranza degli italiani continua a preferire le notizie trasmesse dalla televisione. In Tv, Berlusconi è il re.

Nonostante la perseveranza del TG3, Berlusconi è riuscito ad esercitare un efficace controllo sulle altre due reti pubbliche e possiede tre delle quattro restanti reti private. Immaginatevi lo scandalo delle spese di ministri pubblicato solo sul Telegraph, con il solo passaggio di riferimenti a “pettegolezzi e accuse sui rimborsi spese dei Ministri manovrate politicamente” in TV e sugli altri quotidiani. Questo è quello che sta accadendo oggi in Italia, l’unica differenza è la natura dello scandalo.

La risposta potrebbe consistere nel fatto che Berlusconi sappia che la fine è probabilmente vicina. Pare che il Presidente del Consiglio abbia confessato ai suoi più intimi collaboratori di temere un tentativo di detronizzazione in autunno, e abbia già cominciato a preparare la sua “campagna d’autunno”.

I leader di sinistra ritengono che la vera portata degli effetti della crisi economica globale si riveleranno in autunno, con Antonio di Pietro, leader dell’Italia dei Valori, che dichiara a Libero lo scorso martedì: “Se non sarà l’apocalisse, ci andrà molto vicino”.

Se l’intenzione di Berlusconi era di vincere la guerra dell’etere prima della battaglia d’autunno, i suoi commenti sul TG3 potrebbero aver superato il limite pericolosamente, giacché hanno ottenuto ciò che né a lui né a nessun altro era mai riuscito prima, una reazione compatta da parte dell’opposizione.

Dario Franceschini, leader della più grande coalizione all’opposizione, il Partito Democratico, ha minacciato di organizzare una manifestazione a Settembre, se Berlusconi non fa marcia indietro, per proteggere la libertà di informazione in Italia, un’affermazione condivisa da tutti i componenti delle varie fazioni interne. Tutti gli altri partiti di opposizione hanno lanciato forti espressioni di condanna nei confronti dei commenti del Presidente del Consiglio.

Una sinistra compatta, riunitasi su una base di libertà civili e riforme costituzionali, potrebbe essere quella forza potente che l’Italia non è mai riuscita a produrre in epoca Berlusconi. Per la politica italiana si prospetta davvero un “autunno rovente”, ma per l’assediato Premier italiano, sarà forse l’ultimo?





mercoledì 5 agosto 2009

Pacco dono per Mediaset

di GIOVANNI VALENTINI

 

Stupito, irritato, amareggiato. Il Capo dello Stato ha tutto il diritto di esprimere la propria delusione sulla "rottura annunciata" fra la Rai e Sky che priverà l'azienda pubblica di un ricavo di oltre cinquanta milioni di euro all'anno, in seguito al trasferimento dei canali Raisat su una nuova piattaforma satellitare. E in particolare, ha ragione Giorgio Napolitano a lamentarsi delle modalità con cui è maturato il fallimento della trattativa: una decisione per così dire unilaterale che la direzione generale ha praticamente imposto - come un diktat - a tutto il Consiglio di amministrazione.

In quanto custode e garante della Costituzione, il presidente della Repubblica non può evidentemente disinteressarsi di quel servizio pubblico su cui s'imperniano nel nostro Paese principi fondamentali come il pluralismo e la libertà d'informazione, sanciti solennemente dall'articolo 21. Anzi, con tutto il rispetto che si deve alla sua figura e alla sua persona, è lecito pensare che un intervento più tempestivo sarebbe valso forse a impedire o magari a prevenire un tale esito.

Danno emergente e lucro cessante, avevamo avvertito su questo giornale nelle settimane scorse, mentre già si preparava la rottura. Danno emergente: perché il prossimo bilancio della Rai s'impoverirà di questa cospicua entrata finanziaria e staremo a vedere che cosa avrà da eccepire in proposito la Corte dei Conti. Lucro cessante: perché, oltre a perdere l'audience e quindi la pubblicità raccolta attraverso la pay-tv, ora l'azienda di viale Mazzini dovrà sostenere "pro quota" l'onere della nuova piattaforma di Tivùsat. E tutto ciò, in buona sostanza, per fare un favore o un regalo a Mediaset nella sfida della concorrenza con Sky, come ha riconosciuto - tardivamente - perfino il presidente della Commissione parlamentare di Vigilanza, Sergio Zavoli.


Si dà il caso, così, che l'ex segretario generale della presidenza del Consiglio, appena trasferito alla direzione della televisione pubblica, non trovi di meglio che confezionare subito un pacco-dono per l'azienda televisiva privata che fa capo allo stesso presidente del Consiglio. Un voto di scambio o una partita di giro, si potrebbe anche dire. Naturalmente, a spese del cittadino contribuente, telespettatore e abbonato alla Rai. Come già a suo carico era stata la multa di oltre 14 milioni di euro inflitta dall'Autorità sulle comunicazioni a viale Mazzini per la nomina dell'ex direttore generale, Alfredo Meocci, insediato alla guida dell'azienda dal centrodestra nonostante la palese incompatibilità con il precedente mandato di commissario nella medesima Authority.

Con buona pace del presidente Garimberti e dei consiglieri di minoranza, siamo dunque alla definitiva subordinazione della Rai agli interessi e alle convenienze di Mediaset. Un'azienda di Stato, la più grande azienda culturale del Paese, che via via si trasforma in una filiale, una succursale, una dépendance del Biscione. Già omologata al ribasso sul modello della tv commerciale, quella della volgarità e della violenza, delle veline e dei reality fasulli, adesso la tv pubblica si allea e si associa con il suo principale concorrente sotto il cielo tecnologico della tv satellitare.

Sarà verosimilmente proprio di fronte a questo scempio che il centrosinistra, risvegliandosi da un lungo e ingiustificabile letargo, s'è deciso finalmente a riproporre con forza la questione irrisolta del conflitto d'interessi: prima, con una dichiarazione di guerra del segretario reggente del Pd, Dario Franceschini, il quale ha annunciato bellicosamente che su questa materia (e speriamo anche su altre) il suo partito non resterà più fermo e silente; poi, addirittura, con una proposta di legge presentata da Walter Veltroni e sottoscritta da tutte le opposizioni, sostenuta dal contributo di un esperto costituzionalista come l'ex presidente della Rai, Roberto Zaccaria. Meglio tardi che mai, dobbiamo ripetere. Ma che cosa avevano fatto nel frattempo Veltroni e Franceschini per risolvere l'anomalia di un presidente del Consiglio che controlla direttamente tre reti televisive private e indirettamente anche le tre reti pubbliche? E pensare che c'è ancora qualche illustre professore che esorta il Pd a emanciparsi dall'influenza di "alcuni giornali" (quanti e quali?), mentre una maggioranza di governo condiziona impunemente giornali, telegiornali e giornali radio.
Nel regno del conflitto d'interessi, la rottura fra la Rai e Sky diventa la prova regina di un'occupazione "manu militari" di tutto il sistema dell'informazione. Un attentato al pluralismo, alla libertà d'opinione. E anche questa, purtroppo, si rischia di apprezzarla solo quando la si perde.