domenica 27 settembre 2009

Intervista a Barbara Spinelli

"Berlusconi? Ci ha narcotizzati con un'ideologia simil-comunista"
di Elisabetta Ambrosi
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"Un sogno sciagurato di unanimismo e di abolizione del conflitto, della diversità, delle opposizioni": è l’Italia di Berlusconi, secondo Barbara Spinelli, scrittrice e autorevole voce del giornalismo italiano. Un’Italia che appare assai più vicina al suo vecchio avversario “comunista” di quanto il suo premier non voglia far credere. «La sinistra extraparlamentare era caratterizzata da sprezzo dello Stato, delle istituzioni, della maestà della legge, della costituzione. Bene, da questa atrofizzazione del pensiero non siamo ancora usciti, l’opera di distruzione continua pur essendosi spostata a destra. Ci vorrebbe una rottura di continuità, sia rispetto agli anni ‘70 sia rispetto agli anni Berlusconi, due fenomeni che sono facce apparentemente diverse della stessa medaglia».

Il suo ultimo libro è un elogio del pluralismo, della verità che emerge per contrasto. Secondo lei anche un certo pensiero liberale è attratto dalla tentazione dell’unanimità?
«Alla fine del comunismo, che era un’idea monolitica del mondo, non abbiamo risposto riscoprendo le verità diverse, ma cercandone ancora una volta una unica, intollerante verso le competizioni. L’idea che circolò di una “fine della Storia” pretendeva di rompere con l’ideologia della verità unica e inoppugnabile, ma in realtà la riproduceva tale e quale: la democrazia occidentale aveva vinto, altro spazio non c’era per qualsivoglia idea alternativa. L’Uno era la grande illusione di ieri e lì siamo restati: ancora non abbiamo iniziato a contare almeno fino a due».

Di questa sorta di virus del pensiero unico sembra tuttavia essere affetta anche un’opinione pubblica che appare sempre più silente, assopita. Forse disincantata.
«Più che di disincanto, parlerei di incantamento, di narcosi. E dalle bolle dell’ultimo ventennio - non solo finanziarie ma soprattutto mentali, compresa quella di Berlusconi e della politica spettacolo - solo il disincanto ci salverà, solo se la bolla scoppia apriremo gli occhi a quel che succede. La fedeltà alla Costituzione non produce incanto. È qualcosa di asciutto, di secco, ed è anche una passione, che tanti servitori dello Stato hanno pagato con la vita».

Anche le donne, a suo avviso, sono vittime di questo incanto, come dimostra il loro silenzio, nonostante siano sempre meno rappresentate e sempre più vilipese (come ha mostrato la «faccenda escort»?)
«Non mi sembra che il silenzio femminile sia più accentuato rispetto a quello degli uomini, e in genere non mi piace l’idea di un gruppo – tanto meno un genere – dotato di speciali diritti o obblighi identitari. Mi sembra inoltre sbagliato giudicare i doveri e diritti della protesta con i criteri degli anni ‘70. Certo, rispetto a quell’epoca tutto appare affievolito, depotenziato, ma non dimentichiamo che le idee degli anni ‘70 sono state anche rovinose. Quanto a Berlusconi, infine, forse smetterei di parlare di “faccenda delle escort”. Lo scandalo non sono le escort, ma la natura ormai ibrida di palazzo Grazioli, abitazione privata e al contempo luogo pubblico; e l’idea che Berlusconi si fa delle donne in politica e della vocazione politica in sé: bellezza, seduzione fisica, e soprattutto estrema, incondizionata disponibilità nei confronti del capo».

Come usciamo, allora, dal sortilegio in cui siamo caduti?
«Ricordando Montesquieu: il potere necessariamente tende a dilatarsi abusivamente e per questo sono necessari contropoteri forti, autonomi, che lo frenino. Tende a dilatarsi abusivamente anche il potere della maggioranza e dell’opinione pubblica maggioritaria, che pure fondano la democrazia. Quando Berlusconi denuncia i poteri forti, denuncia in realtà la forza dei contropoteri».

Come la stampa. Che in realtà, più che forte, appare vulnerabile.
«La stampa oggi è in pericolo non solo a causa di Berlusconi; è in pericolo se non fa il suo mestiere, se vive nel sentimento del pericolo. Spesso si ha l’impressione che i giornali italiani si censurino in anticipo, temendo chissà quali ritorsioni. I tedeschi chiamano questo atteggiamento, fortissimo durante il periodo nazista, vorauseilende Gehorsamkeit: l’obbedienza che corre con la fretta di arrivare prima ancora che giunga l’ordine. I giornali tuttavia sono in pericolo comunque, con o senza Berlusconi: ovunque siamo in crisi e perdiamo lettori perché non sappiamo più dare un’informazione diversa qualitativamente da internet e televisione. Non opponendoci ci rendiamo non solo vulnerabili, ma alla lunga anche poco credibili verso i lettori»
27 settembre 2009

martedì 22 settembre 2009

PIccoli Hitler Crescono

[The Times]

Incoraggiati da Silvio Berlusconi, gruppi di vigilantes di estrema destra pattugliano le strade italiane, risollevando la paura di un ritorno al fascismo.

La voce discontinua di Gaetano Saya sale fino a raggiungere un tono quasi isterico mentre punta il dito verso l’alto, indicando insistentemente nella direzione di quattro aquile giganti in marmo dalle ali spiegate che troneggiano sui portici semicircolari nella romana Piazza della Repubblica. “Guardate! Eccole – i simboli del potente Impero Romano. Sono ovunque!”

Saya sembra quasi sputi di rabbia mentre parla. Per la maggior parte del tempo che trascorriamo seduti nel caldo afoso dell’estate, sorseggiando caffè in un bar infilato sotto gli archi della piazza affollata, mantiene la compostezza. Ma quando arriva l’ora di discutere dello scalpore causato dallo stemma scelto per le ronde formate recentemente dal partito neofascista da lui rilanciato – il quale include l’aquila imperiale usata in passato dalle camicie nere mussoliniane – a malapena riesce a contenere la sua rabbia. “Le aquile sul nostro stemma sono simboli di Roma, non del fascismo. Se vengono messi al bando si dovrebbero distruggere le aquile presenti su ogni edificio pubblico in Italia. Fanno parte della nostra storia. Così come Cromwell fa parte della vostra”, declama mentre si strofina i baffi spuntati.

Per la prima volta dopo la II Guerra Mondiale, il consiglio comunale di Roma è guidato da un sindaco di centro destra. Gianni Alemanno non solo è di destra, ma è un ex manifestante di strada neofascista, i cui sostenitori l’hanno salutato col saluto romano durante la parata per festeggiare la vittoria. Alemanno fu eletto sindaco la primavera scorsa sulla scia dell’isteria nazionale che è seguita all’omicidio brutale avvenuto a Roma della moglie di un sottufficiale di marina da parte di un rom d’origine rumena. Il suo assalitore le ha preso le poche monete che aveva nella borsa, ha tentato di stuprarla, e poi l’ha abbandonata pensando fosse morta sulla strada deserta che stava percorrendo per tornare a casa. La faccia dell’insegnante di religione quarantatreenne è stata colpita fino al punto di ridurla in poltiglia, tant’è che la polizia l’ha descritta come di “età indefinita” prima che morisse a causa delle ferite.

In seguito alla campagna sensazionalistica sulla “Bestia di Roma” responsabile della morte di Giovanna Reggiani, i gruppi di vigilantes hanno cercato di vendicarsi. Quattro rumeni che chiedevano l’elemosina nel centro di Roma sono stati picchiati e accoltellati, mentre baraccopoli degli immigrati sono state date alle fiamme in tutta Italia. Da allora il Paese si è ritrovato preso da una crescente ondata di xenofobia, la quale è stata sfruttata in maniera spietata dai politici di destra. Inoltre, gli estremisti come Saya, con il suo rinvigorito partito del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale (MSI-DN), alimentano la paura nei confronti degli immigrati.

Colui che ne ha beneficiato in ultima istanza è stato Silvio Berlusconi, il miliardario settanduenne dalla tintarella perenne che ricopre la carica di Presidente del Consiglio. Usando il potere del suo ampio impero mediatico, ha dichiarato subito che il Paese era nella morsa di “un’emergenza di criminalità rom”. All’epoca degli eventi molti rapporti hanno gonfiato la misura in cui gli immigrati incidevano sulla criminalità in Italia, una testata importante è arrivata perfino a dire che “tutti i rumeni nutrono intenti delittuosi”.

Le cifre complessive sulla criminalità in Italia non salgono da oltre un decennio, eppure più di un terzo dei galeotti sono attualmente stranieri. L’anno scorso gli stranieri sono stati accusati di aver commesso il 68% degli stupri e il 32% dei furti.

La preoccupazione sui livelli di criminalità tra gli immigrati ha aiutato Berlusconi nella sua rielezione lo scorso aprile con una campagna improntata sulla sicurezza. Ha annunciato immediatamente l’adozione di un “pacchetto sicurezza nazionale” che ha visto lo spiegamento di migliaia di soldati in divisa da combattimento mimetica col compito di pattugliare le strade e le piazze italiane. Il pacchetto è stato annunciato come un tentativo di colpire sia la criminalità, sia l’immigrazione illegale, entrambe messe ormai sullo stesso piano in Italia, che secondo Berlusconi non dovrebbe mai diventare una “società multietnica”.

Con tutta l’attenzione focalizzata sulle buffonate da tombeur des femmes dello spumeggiante Premier, questo spregevole sottobosco di razzismo è riuscito a diffondersi senza far rumore e con molta insidia. La decisione da parte di Berlusconi di rendere legali le nuove ronde di vigilantes ha sollevato particolare preoccupazione.

Sventolando le mani mentre ostenta una grande soddisfazione di sé, Saya si vanta del fatto che migliaia di italiani fremono per entrare a far parte delle ronde di estrema destra da lui denominate Guardia Nazionale Italiana, fondate dal suo partito nel mese di giugno. Quando la Guardia Nazionale ha svelato le sue divise – berretti neri in stile militare su cui fa mostra l’aquila imperiale, guanti neri, cravatte nere, camicie color cachi e delle fasce col simbolo del sole nero che da sempre vengono associate al nazismo – gli inquirenti italiani hanno aperto un’inchiesta giudiziaria sul gruppo. I simboli di stampo nazista e fascista sono stati messi al bando in Italia dopo la II Guerra Mondiale. Tuttavia, il cinquantaduenne Saya, inquisito in passato per incitamento all’odio razziale, è fiducioso che l’inchiesta verrà archiviata senza fare clamore.

“Siamo soltanto dei fervidi patrioti. Com’è possibile che qualcuno abbia da ridire? Siamo per l’ultranazionalismo. Difendiamo la nostra storia e siamo in marcia”, ha dichiarato. Accusa i “milioni di stranieri che invadono l’Italia”, colpevoli secondo lui della crisi economica, sociale e morale in cui versa l’Italia. “Mussolini è stato un grande uomo ispirato da vero amor di patria. Era un leader legittimo, non un dittatore”.

Saya fa un cenno a un giovane simpatizzante che gironzola lì vicino. Riccardo Lanza è un eloquente operatore di borsa trentatreenne che indossa un elegante completo con una camicia a strisce. Il motivo per cui la divisa paramilitare della Guardia Nazionale è appesa nel suo guardaroba, a suo dire, deriva dal fatto che “gli italiani non controllano più il proprio Paese”. Punta il dito contro la mafia russa e quella cinese accusandole del “caos totale” presente in Italia. “Si sono infiltrate nella nostra economia, nello stesso modo in cui gli stranieri si sono presi le strade. Dobbiamo fermare tutto questo”.

A differenza di molti Paesi europei con un passato coloniale, l’immigrazione di massa è un fenomeno relativamente recente in Italia, tradizionalmente più abituata all’emigrazione costante dei propri cittadini. Le ondate di immigrati – prima dai Paesi dell’ex blocco sovietico come l’Albania e l’ex Jugoslavia sulla scia della caduta del Muro di Berlino, e più recentemente dall’Africa settentrionale e subsahariana – hanno visto circa 3 milioni e mezzo di persone che si sono trasferite in Italia legalmente, e un altro milione e mezzo illegalmente, nel corso degli ultimi vent’anni. Il Paese è alle prese col fatto di non essere più monoculturale. Berlusconi si è lamentato recentemente del fatto che la sua città natale, Milano, “sembra una città africana”.

C’è dell’opportunismo politico dietro la creazione delle ronde. Berlusconi è stato aiutato nel suo ritorno al potere dall’appoggio della Lega Nord, partito di estrema destra originariamente fondato per fare pressione con lo scopo di ottenere la secessione dell’Italia settentrionale dal resto del Paese, ma più di recente si è caratterizzata per la sua opposizione all’immigrazione di massa. Dieci anni fa è stata la Lega Nord a iniziare la creazione di pattuglie non ufficiali contro la criminalità nelle città e nei paesi del nord che vedevano una forte presenza di immigrati. Quando è diventato chiaro che il nuovo partito di Berlusconi, il Popolo della Libertà (un’ampia coalizione tra il suo movimento, Forza Italia, e Alleanza Nazionale, capeggiata dal politico neo-fascista riconvertito Gianfranco Fini ) aveva bisogno del supporto della Lega Nord, questa ha ricevuto delle promesse sulla sicurezza, tra cui quella dell’introduzione delle ronde. Il modo per affrontare l’immigrazione illegale, ha dichiarato Roberto Maroni, un membro di spicco della Lega Nord e in seguito diventato Ministro degli Interni, è quello di “diventare cattivi”.

Il pacchetto sicurezza, introdotto in diversi scaglioni nel corso degli ultimi 12 mesi, comprende anche delle nuove norme molto rigorose, le quali definiscono l’immigrazione clandestina un reato penale punibile con multe che arrivano fino ai €10.000. Ai figli degli immigrati illegali non viene permesso di frequentare le scuole o di ricevere cure mediche, e coloro che consapevolmente danno asilo agli immigrati illegali rischiano fino a tre anni di galera. Queste misure sono state paragonate da alcuni importanti intellettuali e scrittori alle tristemente famose leggi razziali che vietavano agli ebrei di lavorare e di frequentare le scuole. Il Vaticano ha dichiarato che il pacchetto desta “grande preoccupazione” ed “è motivo di tristezza”.

Perfino Berlusconi sembra si sia reso conto subito di essere andato troppo oltre nel dare il suo appoggio alle ronde. Quando i gruppi come la Guardia Nazionale di Saya hanno cominciato a pavoneggiarsi in giro indossando delle divise in stile fascistoide, e dopo che si sono verificati degli scontri violenti tra una ronda di estrema destra ed alcuni oppositori di sinistra nella città balneare di Massa a fine luglio, Maroni ha annunciato che le ronde dovranno rispettare dei criteri molto severi prima che sia concesso loro di pattugliare le strade. Le ronde non dovranno avere più di tre persone, i suoi membri non dovranno indossare divise in stile militare, e dovranno essere armate soltanto di telefonini e walkie-talkie per avvertire le forze dell’ordine su eventuali problemi.

Ma il genio delle bande violente era già stato fatto uscire dalla bottiglia. Ciò è particolarmente evidente tra i sostenitori del gruppo di estrema destra al centro delle violenze scoppiate quest’estate nella cittadina di Massa.

Massa sembra essere la tipica cittadina balneare italiana, con le sue ordinate file di sedie a sdraio e di ombrelloni a strisce. Ma è arroccata sui bordi delle scoscese Alpi Apuane e vanta un orgoglioso passato di resistenza. Durante la Seconda Guerra Mondiale queste montagne sono servite da nascondiglio per svariati partigiani. Alcune delle atrocità più note commesse in Italia dalle SS tedesche si sono verificate nella zona, compreso il massacro di Sant’Anna di Stazzema, un piccolo paese in cui 560 civili, soprattutto donne, vecchi e bambini, sono stati rinchiusi, uccisi e i cui corpri vennero successivamente bruciati.

E’ per questo che quando Stefano Benedetti mi vuole rifilare la storiella su come, a lui e ad altri simpatizzanti di estrema destra di Massa, sia venuto in mente per puro caso il nome per la loro ronda, non posso fare a meno di ridere. Il gruppo si chiama Soccorso Sociale e Sicurezza, e le sue iniziali, SSS, sono viste come altamente provocatorie.

Benedetti, un commesso viaggiatore, ben noto per ascoltare inni fascisti con lo stereo della sua macchina e per avere appeso a casa un ritratto di Mussolini, è l’unico consigliere di destra in un comune controllato dalla sinistra.

“La gente mi chiama nazista e fascista. Ma io faccio solo il mio dovere civico”, sostiene lui, spiegando come le sue ronde SSS hanno iniziato ad agire di notte all’inizio di quest’anno, girando in quelle zone della città frequentate dagli immigrati, in cerca di incidenti.

“Ci sono troppi stranieri nella nostra comunità e si dedicano alla criminalità, rubano macchine, entrano nelle case, diventano violenti.”

Quando i membri delle SSS si sono radunati all’esterno di un bar vicino al luogo dove i membri di un sindacato di sinistra avevano organizzato la manifestazione annuale che si tiene la notte del 25 aprile, gli scontri tra le due fazioni hanno costretto i turisti alla fuga. Tre poliziotti e due manifestanti sono stati ricoverati in ospedale; alcuni dimostranti di sinistra hanno occupato i binari della TAV.

Con la diffusione delle notizie sull’emergere delle SSS tra la piccola comunità di migranti e rom presente nella zona di Massa e provincia, i funzionari locali hanno dichiarato che molti genitori stranieri hanno iniziato a ritirare i loro bambini dai campi estivi. Una visita al fatiscente campo rom localizzato tra Massa e la vicina cittadina di Carrara ci fa capire immediatamente il perché. “Gli italiani ci hanno sempre odiati. Ma fino ad adesso ci hanno quasi sempre lasciato stare”, ha dichiarato un genitore ventitreenne, padre di tre bambini, che ha voluto rivelare soltanto il suo nome, Ercoles. “Queste ronde dicono di volere rendere le strade più sicure . Ma ora abbiamo paura di perdere di vista i nostri figli. Siamo spaventati perché se lasciamo che loro frequentino le piscine o le spiagge, potrebbero essere attaccati”.

“Massa ha la reputazione di essere la sesta città più sicura d’Italia”, spiega il sindaco, Roberto Pucci, visibilmente spossato. “Ma il modo in cui queste ronde di destra operano è quello di creare un falso senso di insicurezza, diffondono la percezione che ci sono più problemi di quelli che in realtà ci sono, e poi si spacciano come gli unici in grado di risolverli”.

“Siamo una democrazia giovane, e quello che succede qui dovrebbe essere preso sul serio,” conclude Pucci. “Non è una situazione piacevole.”

Pucci ha vietato alle SSS di operare a Massa, e molte amministrazioni comunali di sinistra ovunque in Italia seguiranno i suoi passi. Ma Benedetti e i suoi sostenitori promettono che torneranno alle ronde. “Hanno vietato alle SSS di operare. Quindi cambieremo semplicemente il nostro nome e ci riformeremo come un’organizzazione diversa,” dichiara un sostenitore. “Quello che stiamo facendo rispetta i limiti posti dalla nuova legge. Nessuno ci potrà fermare adesso.”

Questo rifiuto viene echeggiato da Gaetano Saya. Anche se la Guardia Nazionale ha ritardato l’avvio delle proprie pattuglie a causa dell’inchiesta giudiziaria, egli afferma che aggireranno le regole vietando le divise e riclassificandosi come “servizio d’ordine”.

“La guardia diventerà il braccio operativo del nostro partito, accompagnando i nostri politici ovunque essi decidano di andare per strada. Non ci possono vietare questo,” dichiara Saya, che dichiara di avere il supporto di un gruppo di ricchi industriali i quali hanno dato i fondi per un elicottero di sorveglianza recentemente acquistato dal gruppo. La prospettiva di avere delle ronde che diventano delle milizie politicizzate, come quelle esistite sotto Mussolini, ha preoccupato molti italiani, soprattutto di fronte a misure governative come la decisione di prendere le impronte digitali dell’intera popolazione rom italiana, pari a 150.000 persone, tra le quali ci sono famiglie presenti in Italia sin dal Medioevo. Il programma di schedatura delle impronte è iniziato subito in alcune città, ma in seguito all’entrata in vigore è stato attenuato e ora i bambini ne sono esclusi in seguito alle proteste da parte dei gruppi per i diritti umani. Questi programmi, tuttavia, hanno avuto un effetto desensibilizzante. I corpi di due giovani sorelle rom, annegate mentre nuotavano in una spiaggia vicino Napoli nell’estate del 2008, sono stati lasciati avvolti con dei teli per ore sulla sabbia, la gente intorno a esse ha continuato a mangiare e a giocare a frisbee.

A Padova, nel cuore dell’area che sostiene la Lega, le autorità locali hanno costruito un muro in acciaio alto tre metri intorno a una comunità di immigrati ritenuta responsabile di aver portato la prostituzione e lo spaccio di droghe nella zona. Il muro è stato eliminato, ma nella vicina città di Ardo il sindaco ha stabilito una taglia di €500 per chiunque denunciasse un immigrato irregolare. In alcune zone del Nord, in cui si attende il fiorire delle ronde, la Lega Nord ha anche proposto che i negozi che vendono kebab e i ristoranti cinesi vengano banditi dai centri storici perché ritenuti “incompatibili con il contesto storico”.

Negli ultimi anni molti italiani si sono sentiti a disagio per via della proliferazione di prostitute africane e dell’Europa dell’est che offrono la loro merce lungo le strade di tutto il Paese. E l’aumento del crimine organizzato e della violenza da parte di bande ha avuto un effetto maggiore. Agli inizi dell’anno i sentimenti contro gli immigrati si sono infiammati dopo che una ventunenne italiana ha subito una violenza di gruppo e che il suo ragazzo è stato brutalmente picchiato da cinque rumeni.

Ma in un Paese che vede il tasso di natalità calare vertiginosamente e la popolazione invecchiare, molti comparti dell’economia avrebbero difficoltà a sopravvivere senza i lavoratori stranieri. L’anno scorso un’informativa del governo sui rapporti con gli immigrati ha mostrato che il 42% degli italiani riconosce che gli immigrati sono fondamentali per l’economia. Ma ciò non è servito a prevenire tutta una serie di attacchi violenti nei confronti degli stranieri negli ultimi 12 mesi. Tra questi c’è l’attacco contro un senza tetto trentacinquenne di origine indiana, picchiato e dato alle fiamme in una cittadina sul litorale romano lo scorso febbraio, e prima di questo caso un immigrato del Burkina Faso è stato pestato a morte con una spranga di ferro da un negoziante milanese il quale ha affermato che aveva rubato un pacchetto di biscotti.

Marco Rovelli, un accademico di Massa che ha scritto sull’immigrazione italiana, attribuisce l’emergere del fenomeno delle ronde e il successo di movimenti politici come la Lega Nord nell’incoraggiare la xenofobia, alla storia stessa del Paese, il quale è stato una nazione povera di emigranti fino alla metà del secolo scorso. “Quando gli italiani vedono degli stranieri che vivono in una povertà simile a quella che essi si sono lasciati alle spalle da poco, provano paura. Per qualcuno è un doloroso ricordo del loro stesso passato e fa sorgere in loro l’ansia di perdere il benessere che sono riusciti ad ottenere.”

Al di là delle manipolazioni governative dell’insicurezza nazionale ci sono altri fini, avverte un altro accademico. James Walston insegna relazioni internazionali all’Università Americana di Roma. “Focalizzando l’attenzione sugli immigrati -ed è quello lo scopo delle ronde, anche se non viene dichiarato esplicitamente – e creando la sensazione che le strade italiane siano insicure, attribuendone la colpa agli stranieri, Berlusconi devia l’attenzione dal vero problema di questo Paese”, ha dichiarato.

Il vero problema, secondo lui, è quello del crimine organizzato e della mafia. “Ma qualsiasi riferimento alla mafia è stato ampiamente lasciato fuori dall’agenda istituzionale, in parte per via dei legami del Presidente del Consiglio con essa.” Walston cita la condanna di Marcello Dell’Utri, uno dei consiglieri più stretti di Berlusconi, colpevole di cospirazione con la mafia siciliana.

In molte parti dell’Italia una buona parte della popolazione paga ancora il pizzo ai gruppi di mafiosi locali ogni giorno. C’è chi teme che, soprattutto nel meridione, le ronde cadano presto sotto il controllo della mafia, consolidando così le loro posizioni e provocando altre stragi. Lo scorso settembre un gruppod ‘attacco del noto clan dei Casalesi ha ucciso a colpi d’arma da fuoco sei africani vicino Napoli in una battaglia per il controllo della prostituzione e lo spaccio di droga sul territorio. Molti mesi dopo l’evento, alcuni teppisti appartenenti alla Camorra hanno scatenato un’ondata di violenza contro i campi rom a Napoli, appiccando il fuoco alle roulotte, malmenando gli occupanti e costringendoli ad abbandonare le loro abitazioni dopo che era girata la voce che una bambina era stata rapita da una donna rom. La risposta del Ministro degli Interni, Maroni, è stata quella di scrollare le spalle e dire: “Questo è quello che capita quando gli zingari rubano i bambini”.

Non c’è da stupirsi, quindi, che la magistratura italiana – tacciata in passato da Berlusconi di essere il “cancro della società” – e i sindacati di polizia siano molto critici nei confronti del nuovo pacchetto sicurezza approvato dalla Presidenza del Consiglio, critiche estese anche alla legalizzazione delle ronde, le quali “creano confusione” e dirottano risorse che dovrebbero essere destinante alle forze dell’ordine.

Le ronde approvate dalle amministrazioni comunali avranno anche diritto ad alcuni fondi. La polizia dichiara che sarà difficile capire chi riceverà in ultima istanza questi soldi; e subito ne abbiamo la conferma in una riunione con due massicci vigilantes avvenuta a Milano.

Vincenzo Scavo non si prende la briga di presentarmi il suo socio dai muscoli imponenti, il quale possiede un cellulare che squilla di continuo sulle note della colonna sonora del Padrino. Scavo è troppo impegnato a lamentarsi.

Fino agli inizi di luglio gestiva un gruppo a Milano denominato i Blue Berets, il quale riceveva un compenso di oltre mezzo milione di euro per condurre alcune ronde anticrimine in determinate zone problematiche come la stazione ferroviaria e la metropolitana. Questo finché non è stato scoperto che Scavo aveva la tessera del partito neofascista MSI-DN gestito da Gaetano Saya. Il contratto è stato sospeso e il sindaco di Milano ha annunciato che ci sarebbe stata un’inchiesta immediata nei confronti dei Blue Berets.

Scavo, una guardia privata tatuata e originario della Sicilia, spiega in tono offeso che l’unico motivo per cui aveva una tessera del partito era perché in passato era stato contattato per fare la guardia privata al partito. Non era mai stato ingaggiato e sostiene di non aver avuto alcun contatto col partito da allora.

“Questo era un buon lavoro, la nostra missione, e adesso è stato bloccato”, si lamenta. Il contratto, insiste, era solo una parte del lavoro dei Blue Berets. “Avevamo anche dei volontari che facevano la spesa per gli anziani nelle aree marginali della città, vicino ai campi rom e alle comunità di immigrati dove gli italiani hanno paura di camminare per strada. Adesso i nostri cittadini affronteranno nuovamente il pericolo e torneranno ad avere paura degli stranieri.”

Se uno si fa un giro in una delle aree che Scavo chiama “zone problematiche”, come Via Padova, a nordest del centro di Milano, è chiaro che quelli che hanno paura sono gli immigrati. “Molti di quelli che partecipano alle ronde sono razzisti e utilizzano questa posizione per essere offensivi nei confronti degli stranieri”, dichiara Isabel Ceveño, una trentanovenne dell’Ecuador, in Italia da 13 anni.

Molti degli immigrati che ho incontrato in questa zona assieme a un gruppo chiamato City Angels, un’organizzazione umanitaria che aiuta i senza tetto, non hanno più il coraggio di parlare delle loro vere preoccupazioni. “Una volta ci parlavano apertamente. Ma ora sono molto più cauti. Alcuni di loro pensano che anche noi siamo una ronda,” dichiara Mario Furlan, fondatore dei City Angels. “Mentre noi andiamo nelle strade cercando persone da aiutare, il rondista tipico è qualcuno che va fuori cercando un nemico”.

“Le ronde creeranno soltanto più disordini nelle strade”, dichiara Jona Qamo, un ventisettenne albanese. “Non sarebbe meglio aiutare gli immigranti piuttosto che spiarli?”

Qamo ha ragione. L’atteggiamento delle autorità italiane su tutti i livelli è stato quello di dare per scontato che gli italiani se la sarebbero cavata alla meno peggio e che avrebbero accettato gli immigrati tra di loro perché, tradizionalmente, gli italiani prendono le cose alla leggera nella vita.

“Ma la presunzione della tolleranza da parte degli italiani non è sufficiente”, dichiara Walston, “quando la percentuale degli stranieri sul totale della popolazione va dal 5 al 10 %”. Sostiene che c’è bisogno di una “vera leadership” in grado di promuovere l’integrazione. “Ma questo è l’opposto di ciò che sta succedendo”.

Jean Leonard Touadi, nato nella Repubblica del Congo, è il primo parlamentare nero d’origine subsahariana in Italia: “È molto difficile per gli italiani ammettere di essere razzisti poiché essi non associano se stessi con quella parte dell’Europa che ha avuto un lungo passato coloniale”.  

Touadi vive in Italia da trent’anni e ha visto un aumento del razzismo negli ultimi anni. “Non si può dire che viviamo sotto un regime fascista. Ma certe cose che succedono oggi sono molto pericolose. Con tutti i problemi che ha questo Paese, in particolare con la mafia, scegliere gli immigrati come il problema di sicurezza a cui dare la priorità più alta e lasciarli in balia delle ronde vuol dire che è evidente che li stiamo usando da capri espiatori.”

venerdì 18 settembre 2009

Italia, le ragioni di un presente senza libertà

[La Notizia]

La nazione è alle prese con una crisi senza precedenti della libertà di stampa, del sistema istituzionale, e dell’economia. Ma restano poche le reazioni e le critiche.

ROMA – La prima pagina di un sito internet istituzionale, di proprietà di un ministero, il cui scopo è comunicare coi cittadini, svuotata totalmente e utilizzata dalla dirigenza per rispondere perentoriamente alle critiche di una testata giornalistica.

Potrebbe sembrare la descrizione di un fatto avvenuto in un regime paramilitare sudamericano o in una pseudo democrazia mediorentale, e invece è quanto accade nella moderna Italia, da qualche giorno.

La prima pagina del sito del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione è stata totalmente oscurata per far spazio ad una serie di link che rispondono alle critiche del settimanale “L’Espresso”. In alto, al centro, campeggia la scritta “Il Bluff de L’Espresso”, in rosso.

Subito sotto una serie di link, il primo all’inchiesta del settimanale, poi la replica “punto per punto” del ministro, poi un comunicato video, quindi un dossier sul buon operato del ministero, infine il link a un forum istituzionale già noto per la rigidità di moderazione.

Che le critiche siano o meno fondate è poco importante (il settimanale ha a sua volta risposto alla replica del ministro), molto più allarmante è la gestione della critica che il ministero ha messo in atto. Pubblicare la risposta alle critiche in una sezione del sito sarebbe stato contestabile ma anche comprensibile, ben più preoccupante se fatto con questi modi.

Prima pagina oscurata e link al sito vero e proprio collocato a fondo pagina, in piccolo, grigio su bianco. Una vera coercizione anche dal punto di vista dell’accessibilità per i disabili, tra l’altro obbligatoria secondo la locale “Legge Stanca”, e di cui il ministero dell’innovazione dovrebbe essere primo promotore.

Tutto ciò mentre solo poche ore fa il presidente del consiglio Silvio Berlusconi occupava la prima serata del primo canale televisivo nazionale per presentare i propri buoni risultati e le proprie “promesse mantenute” nella gestione del dopo terremoto dell’Abruzzo. Sostanzialmente senza critica e senza contraddittorio. Che le “case” inaugurate fossero prefabbricati in legno, nessun cronista l’ha contestato, così come che gli edifici in muratura in arrivo non saranno per tutti, come invece dichiarato.

La diretta dall’Abruzzo aveva anche causato la modifica dei palinsesti delle altre due reti pubbliche, RaiDue e RaiTre, in modo da non concorrere con gli annunci trionfali della prima rete.

Queste le evidenze più palesi di ciò che solo pochi mesi fa aveva spinto la Freedom House a collocare l’Italia tra i paesi semi-liberi per quanto concerne la libertà di informazione, insieme con dittature e pseudo-democrazie. La situazione nel paese è da mesi, infatti, particolarmente critica.

Le direzioni dei principali quotidiani e telegiornali hanno subito nelle settimane scorse varie modifiche e sostituzioni che molti commentatori hanno criticato severamente, denunciando ingerenze governative.

Inoltre, la recente decisione di Berlusconi di denunciare per diffamazione i quotidiani La Repubblica e L’Unità per un totale di 4 milioni di euro, certifica il proseguire di una strategia dell’intimidazione iniziata già molti anni fa contro i giornalisti Biagi, Santoro e Luttazzi, epurati dalle reti pubbliche a causa delle loro idee politiche. Strategia proseguita nell’infinita pletora di provvedimenti legislativi ad personam o palesemente contrastanti con la libertà di stampa come l’ultimo “ddl intercettazioni”.

L’opinione pubblica sembra percepire solo in modo superficiale questa crisi, e giudica spesso come “pessimiste”, o “esagerate” le descrizioni di quanto avviene. Le ragioni di questa mancata consapevolezza sono da ricercare nella crisi stessa. Quel poco che giunge arriva grazie a commentatori indipendenti e ad Internet, ma la scarsa diffusione delle nuove tecnologie (solo la metà della popolazione le usa con costanza, tra le ultime in Europa) è un notevole ostacolo.

Questa “non percezione” si è inoltre incancrenita in un fenomeno particolare: il giornalista o il personaggio pubblico non sempre subisce dirette e palesi forme di costrizione, ma il timore di inimicare il potente ne spinge buona parte a pericolose forme di autocensura. Non sempre consapevolmente. In un clima auto-mafioso che colpisce più strati della popolazione. Questo avviene anche a livelli più bassi, nel rapporto tra direttore e cronista, e nei più semplici rapporti tra subalterni.

Noto fu il caso della conduttrice Lorena Bianchetti che a seguito di una innocua battuta del mago Silvan sul presidente del consiglio decise di concludere il numero “dissociandosi pubblicamente” in diretta televisiva. Mostrando una palese paura, più che corruzione o malaffare.

La corruzione è, d’altronde, un problema sempre più urgente nel sistema italiano. Di fatto nelle classifiche internazionali sul fenomeno il paese compare sempre agli ultimi posti. Il peso economico di tale prassi sulle tasche degli italiani, secondo il rapporto 2009 del SAeT (Servizio anticorruzione e trasparenza), arriva addirittura a 55 miliardi di euro l’anno. Ovvero una “tassa” occulta da 1′000 euro l’anno per ciascun italiano, inclusi i neonati.

Ad acuire i problemi nazionali del paese v’è infine la recente crisi economica, che secondo l’economista italiano Tito Boeri starebbe severamente colpendo una nazione che non è stata in grado – tra le pochissime nel mondo – di reagire con prontezza. L’economista prevede, inoltre, una grave crisi sul mercato del lavoro interno, criticando gli appelli all’ottimismo di facciata. Poco utili a un paese che più osservatori internazionali non hanno esitato a definire in declino.

In un tale contesto torna d’attualità quella dichiarazione che lo stesso presidente del consiglio Sivlio Berlusconi fece durante il suo precedente governo, nel 2002, causando l’epurazione dei succitati giornalisti: «l’uso che hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso, e io credo che sia un preciso dovere da parte della dirigenza di non permettere più che questo avvenga».

Difficile affermare che abbia mantenuto la promessa.

mercoledì 16 settembre 2009

Monologo con insulti e menzogne nel salotto del servizio pubblico

Berlusconi a "Porta a porta" torna all'attacco della stampa
Tre ore di spot governativo senza alcun contraddittorio

Monologo con insulti e menzogne
nel salotto del servizio pubblico

di CURZIO MALTESE

C'è poco da commentare sulla puntata di "Porta a Porta" di ieri sera. Bisogna passare ai fatti. Registrare tutto e inviarlo al resto del mondo, via Internet, con una sola parola d'accompagnamento: "aiuto!". Tre ore di spot governativo, con il miglior presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, autoproclamatosi "superiore a De Gasperi", senza alcun contraddittorio, non soltanto in studio, ma nell'etere intero. Che ne penseranno nei paesi democratici?

Il Presidente Ingegnere, come scriveva Augusto Minzolini prima d'essere premiato con la direzione del Tg1, che consegna le prime case ai terremotati abruzzesi, è l'ultima versione dell'Uomo della Provvidenza. Bruno Vespa lo prende sottobraccio, da vecchio amico, fin dalla prima scena. A spasso fra le macerie dell'Aquila e della democrazia italiana. I commenti del conduttore spaziano fra "ma questo è un record!" a "un altro record!", fino a sfociare "è un miracolo!". Ma Onna, i terremotati e il loro dolore, la ricostruzione dell'Aquila, ancora di là da venire, sono soltanto pretesti.

Dopo mezzora si capisce qual è il vero scopo della trasmissione a reti unificate. Un attacco frontale alla stampa, anzi per dirla tutta a Repubblica. Noi giornalisti di Repubblica siamo "delinquenti", "farabutti" che ci ostiniamo a fargli domande alle quali il premier non risponde da mesi. Se non con questo impasto di minacce e menzogne, come la favola della "perdita di lettori e copie": un'affermazione smentita dalle vendite del giornale in edicola che sono in costante ascesa.

Ecco lo scopo di non avere un Ballarò e neppure un Matrix fra i piedi. Non tanto e non solo per disturbare il "vi piace il presepe?" allestito sulla tragedia del terremoto. Quanto per non rischiare un contraddittorio durante la fase di pestaggio.

Vespa non ci ha neppure provato, a parte il minimo sindacale ("Nessuno di Repubblica è presente"). Lasciamo perdere gli altri figuranti. Nessuno, nell'affrontare il problema dei rapporti con Fini, ha chiesto al Cavaliere un giudizio sui dossier a luci rosse contro il presidente della Camera sventolati come arma di ricatto da Vittorio Feltri, direttore del giornale di famiglia.

Già una volta il presidente del Consiglio era andato nel cosiddetto "salotto principe" della televisione, a "chiarire le vicende di Noemi e il resto", senza chiarire un bel nulla e con i giornalisti presenti, fra i quali il solito Sansonetti, il quale non poteva mancare neppure ieri sera, tutti ben contenti di non rivolgergli mezza domanda sul caso specifico. Stavolta però si è polverizzato davvero ogni primato d'inciviltà. Ma che razza di servizio pubblico è quello che organizza simili agguati? E' un'altra domanda che probabilmente non avrà mai risposta. Non da Berlusconi e tanto meno dai sottostanti vertici della Rai. Il meno che si possa dire è che la puntata di "Porta a Porta" ha dato ragione a tutte le critiche della vigilia. Anzi, è andata molto oltre le peggiori aspettative. Ed è tuttavia interessante notare l'evoluzione del caso Berlusconi. Che senso ha attaccare la stampa indipendente al cospetto di una platea televisiva che poco o nulla sa delle inchieste di Repubblica e degli scandali del premier, dello stesso discredito internazionale che circonda ormai la figura di Berlusconi in tutto il mondo libero? E' davvero singolare che sia proprio Berlusconi a parlarne. Da solo, visto che i prudenti giornalisti chiamati a fargli ogni volta da corte, astutamente si guardano bene dal citare questi fatti. Per capirlo, ci vorrebbe uno psicoanalista, di quelli bravi. Alla fine, a parte lo scempio d'informazione, cui ormai si è quasi abituati, indigna più di tutto la strumentalizzazione del dolore della gente abruzzese. La diretta in prima serata e l'oscuramento della concorrenza era stato giustificato dalla Rai con l'urgenza dell'evento, la consegna dei primi novantaquattro appartamenti agli sfollati del terremoto. Chiunque abbia seguito la serata ha potuto constatare come questo fosse appena un miserabile espediente, liquidato in pochi minuti, con qualche frase di circostanza e commozione da attori. Per poi passare al regolamento di conti con chiunque osi criticare il presidente del Consiglio. Ce la potevano risparmiare, questa serata di veleni e sciacalli.

La strategia del ragno

IL COMMENTO

La strategia del ragno

di CURZIO MALTESE

C'è qualcosa che gli italiani non sanno, ma soprattutto non debbono sapere, dietro la violenza dell'assalto finale di Silvio Berlusconi al valore di cui s'è sempre orwellianamente riempito la bocca, la libertà.

La libertà d'informazione e di critica del giornalismo, perfino la semplice libertà di scelta degli spettatori televisivi. C'è, deve esserci una disperata ragione se il premier, già osservato speciale delle opinioni pubbliche di mezzo mondo, invece di rientrare (lui sì) nei ranghi del gioco democratico, continua a sparare bordate contro le riserve indiane che ancora sfuggono al suo controllo.

L'ultimo episodio, l'oscuramento di Ballarò su Raitre, e ora anche di Matrix su Canale 5, per concentrare tutta l'audience di oggi sulla puntata celebrativa di Porta a Porta per la consegna alle vittime del terremoto abruzzese delle prime case, aggiunge un ulteriore tocco "coreano" al disegno dell'egemone. Volenti o nolenti, milioni di spettatori sono chiamati stasera all'appello, da bravi soldatini, per plaudire al "miglior presidente del Consiglio in 150 anni", che si esibisce nell'ennesimo spettacolare sfruttamento del dolore, fra le lodi dei ciambellani. Si ha un bel dire che ci vuole prudenza nell'adoperare certe parole, ma queste cose si vedono soltanto nei regimi. Più spesso, alla fine dei regimi, quando l'egemone è parecchio in là con gli anni e con l'incontinenza egolatrica.

La vicenda è grave in sé, come ha subito commentato Sergio Zavoli, presidente della Commissione parlamentare di vigilanza e memoria storica della Rai. E lascia perplessi che invece il presidente di garanzia della Rai la riduca a scompenso organizzativo. Si tratta quantomeno di un eufemismo. Ma l'affare Ballarò diventa ancora più inquietante perché s'inserisce in una strategia del ragno governativa per intimidire o tappare direttamente la bocca all'informazione critica.


Le denunce e le minacce contro Repubblica e Unità e perfino la stampa estera, il pestaggio mediatico di questo o quel giornalista, gli avvertimenti mafiosi a questo o quel conduttore perché si pieghino alle censure o dicano addio ai loro programmi, questi sono i metodi. Non si può neppure dire che si tratti di una trama occulta. Gli obiettivi sono palesi, dichiarati, in qualche caso rivendicati. Berlusconi sta usando tutto il suo potere di premier, primo editore e uomo più ricco d'Italia, per strangolare economicamente la stampa d'opposizione, epurare i pochi programmi d'informazione degna di un servizio pubblico, a cominciare da Annozero di Santoro, Report di Gabanelli e Che tempo che fa di Fazio, infine destituire l'unico direttore di rete televisiva, Paolo Ruffini di RaiTre, che non obbedisce agli ordini.

Non sappiamo se tutto questo si possa definire "l'agonia di una democrazia", come ha scritto Le Monde. Ma certo gli assomiglia moltissimo. Del quotidiano francese si può condividere anche il conciso titolo del commento: "Basta!". Nella speranza che siano in molti ormai in Italia a voler dire "basta!", non tanto, non più per convinzione politica, ma per buon senso, decenza e amor di patria. Lo si vedrà anche alla manifestazione di piazza del Popolo il prossimo sabato.

Al giornalismo libero rimane il compito di chiarire il mistero dietro l'offensiva finale di Berlusconi contro la libertà d'informazione. Oltre a quanto già gli italiani sanno, o almeno la minoranza che non si limita a bersi i telegiornali. E cioè il terrore governativo per il calo (reale) di consensi, l'incombere degli effetti autunnali della crisi sempre negata, il dilatarsi dei noti scandali di escort e minorenni, l'avvicinarsi di una sentenza della Consulta che potrebbe restituire Berlusconi alle proprie responsabilità davanti alla legge. E poi forse ci sarà dell'altro da nascondere, che all'informazione indipendente spetta d'indagare. Salvo che il potere impedisca ai giornalisti di fare il proprio lavoro. Come sta accadendo in Italia, con questa guerra preventiva, sotto gli occhi di tutto il mondo.

sabato 12 settembre 2009

I precari e la prostata

I precari e la prostata Abbiamo detto, in riunione di redazione: sì, d'accordo, Zapatero tace per «rispetto e cortesia istituzionale» che è come dire non posso parlare. Sì, è vero: Dell'Utri e Schifani a due giorni dal suo comando - ricordate l'attacco alle procure di Milano e Palermo dell'altro ieri? - hanno cominciato la difesa preventiva dalle sentenze di mafia imminenti e temute. Certo, sì: il procacciatore di «escort in cambio di affari» Tarantini (o Tarantino, come dice il Capo fingendo di non ricordarne il nome) si esibisce ai fotografi dicendo: «Temo per la mia vita» come fosse uno Zappadu qualunque. Però proviamo a far finta, per un giorno soltanto, che Berlusconi non esista: che non sia la sua presenza alla guida del Paese - le sue gaffes le sue minacce le sue ossessioni, le conseguenze delle sue parole - quel che ci impone ogni giorno la scansione dei titoli e delle pagine. Ignoriamolo. Parliamo del paese reale, quello dove viviamo tutti noi. Eccolo, ve lo mostriamo in cinque istantanee, dalla base ai vertici, in altrettante pagine di primo piano del giornale di oggi. Gli operai della Stanic di Livorno incatenati ai cancelli. I precari della scuola accampati in una specie di campo rom davanti al Ministero. Nella televisione pubblica sotto assedio Rai tre, l'unica rete non omologata. I magistrati sotto attacco costante. La credibilità internazionale dell'Italia azzerata al punto che per le nomine imminenti il nostro Paese, lo racconta Umberto De Giovannangeli, è tagliata fuori dai giochi. Il lavoro, l'istruzione, l'informazione, la giustizia, l'Europa. Dovremmo parlare di questo, ai vertici internazionali come sui giornali: noi lo facciamo ogni giorno, molto di più potremmo farlo se l'agenda non la dettasse ora per ora il problema principale: Silvio Berlusconi e la sua opera quotidiana di distrazione di massa. Al vertice internazionale dell'altro ieri lo abbiamo sentito parlare di sesso a pagamento, di come conquistare le donne, di «cosa fanno i maschi». Questi i suoi argomenti: la stampa registra, prende atto, eventualmente domanda chiarimenti. In proposito lasciamo l'ultima parte del Filo rosso alle parole di quello che sua figlia Marina ha definito ieri «un fuoriclasse, esempio assoluto di giornalismo libero». Eccolo. «Il Cavaliere è accusato di fare ciò che dubito possa fare: dedicarsi instancabilmente a una sfrenata attività sessuale, al punto che, per soddisfarsi, sarebbe indotto a ricorrere alle prestazioni remunerate delle squillo di pronto intervento. Fantasie. Frequento da alcuni anni gli urologi. Questioni di prostata, data l'età. I medici spiegano. Se la prostata è ingrossata si può intervenire chirurgicamente per ridurne il volume. Dopo di che rischi l'impotenza, ma non è detto, anzi. Se invece hai un cancrone proprio lì, la prostata deve essere eliminata insieme al tumore. E allora, addio rapporti. Facendo strame della privacy, affermo che Silvio nel '96 fu operato di cancro alla prostata al San Raffaele di Milano. Non racconto balle se dico buonanotte al sesso. Berlusconi ha 73 anni, non ha più la prostata. La scienza fa miracoli tranne uno: quello. Ma vi sono quotidiani che hanno sprezzo del ridicolo e insistono. Fossi in Silvio avrei la tentazione di andare in tv a sbandierare il certificato del dottore». Vittorio Feltri, «Libero», 19 giugno 2009
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giovedì 10 settembre 2009

Altrachiesa Berlusconi, io ti ripudio

Il mio nome è Paolo Farinella, prete della Chiesa cattolica residente nella diocesi di Genova. Come cittadino della Repubblica Italiana, riconosco la legittimità formale del suo governo, pur pensando che lei abbia manipolato l'adesione della maggioranza dei pensionati e delle casalinghe che si formano un'idea di voto solo attraverso le tv, di cui lei ha fatto un uso spregiudicato e illegittimo. Lei in Italia possiede tre tv e comanda quelle pubbliche nelle quali ha piazzato uomini della sua azienda o a lei devoti e proni. Nel mese di agosto 2009 ha inaugurato una nuova tv africana, Nessma, a cui ha fatto pubblicità sfruttando illecitamente la sua posizione di presidente del consiglio e dove ha detto il contrario di quello che opera in politica e con le leggi varate dal suo governo in materi di immigrazione. Se lei è pronto a smentire, come è suo solito, ecco, si guardi il seguente filmato e giudichi da lei perché potrebbe trattarsi di Veronica Lario travestita da lei: Faccia vedere il video ai suoi amici leghisti e nel frattempo ascolti cosa dice il sindaco di Treviso, lo sceriffo Giancarlo Gentilini del partito di Bossi, ad un raduno del suo partito xenofobo dove ha esposto «Il vangelo secondo Gentilini» con chiarezza diabolica: «Voglio la rivoluzione contro gli extracomunitari ... Voglio la rivoluzione contro i bambini degli immigrati ... Ho distrutto due campi di nomadi e ne vado orgoglioso. Voglio la rivoluzione contro coloro che vogliono le moschee: i musulmani se vogliono pregare devono andare nel deserto, ecc. ecc. Questo è il Vangelo secondo Giancarlo Gentilini (sindaco di Treviso): "Tutto a noi e se avanza qualcosa agli altri, ma non avanzerà niente"». Questo il link con la sua voce in diretta; si prepari ad ascoltare il demonio in persona: Legittimità elettorale e dignità etica Riconoscere la legittimità del suo governo, con riserva etico-giuridica, non significa riconoscere anche la sua legittimità morale a governare il Paese perché lei non ha alcuna cultura dello Stato e delle sue Istituzioni, ma solo quella di difendere se stesso dalla Giustizia e i suoi interessi patrimoniali che sotto i suoi governi prosperano alacremente. Il conflitto di interessi pesa come un macigno sulla Nazione e la sua economia, ma lei è bravo ad imbrogliare le carte, facendolo derubricare nella coscienza della maggioranza che ne paga le conseguenze economiche e democratiche. Cornuti e mazziati dicono a Napoli. Quando la sua maggioranza si sveglierà dall'oppio che lei ha diffuso a piene mani sarà troppo tardi e intanto il Paese paga il conto dei suoi avvocati, nominati da lei senatori, cioè stipendiati con soldi pubblici. Allo stesso modo stiamo pagando i condoni fiscali che lei si è fatto su misura sua e della sua azienda, sottraendo denaro al popolo italiano. In morale questo viene definito come doppio furto. Da quando lei «è sceso in campo», l'Italia ha iniziato un degrado inesorabile e costante che perdura ancora oggi, codificato nel termine «berlusconismo» che è la sintesi delle maledizioni che hanno colpito l'Italia sia sul piano economico (mai l'economia è stata così disastrata come sotto i suoi governi), su quello sociale (mai si sono avuti tanti poveri, disoccupati e precari come sotto i suoi governi), e su quello civile (mai come sotto i suoi governi è sorta la categoria del «nemico» da odiare e da abbattere). Lei, infatti, usa la menzogna come verità e la calunnia come metodo, presentandosi come modello di furbizia e di utilizzatore finale di leggi immorali e antidemocratiche come tutte quelle «ad personam». Nei confronti dell'ultima illegalità, che grida giustizia al cospetto di Dio, il decreto 733-B/2009, che segna una pietra miliare nel cammino di inciviltà e di negazione di quelle radici cristiane di cui la sua maggioranza ama fare i gargarismi, sappia che siamo cento, mille, diecimila, milioni che faremo obiezione di coscienza all'ignobile e illegale decreto, pomposamente detto «decreto sicurezza»: diventeremo tutti clandestini e sostenitori dei cittadini di altri Paesi, specialmente africani, in quanto «persone», anche se clandestini, a costo della nostra vita. Dobbiamo ubbidire alla nostra coscienza piuttosto che alle sue leggi razziali e disumane. La legge che definisce l'immigrazione come illegalità è un insulto a tutte le Carte internazioni e nazionali sui «diritti», un vulnus alla dottrina sociale della Chiesa e colloca l'Italia tra le nazioni responsabili delle stragi degli innocenti, perseguitati e titolari del diritto di asilo. Essere «alto» ed essere »grande» Lei non è e non sarà mai uno «statista» se sente il bisogno di fare vedere alle sue donnine i filmati che lo ritraggono tra i «grandi». Per essere «grande», non basta rialzare le suole delle scarpe, ma occorre avere una visione oltre se stesso, una visione «politica» che a lei è estranea del tutto, incapace come è di vedere oltre i suoi interessi. Per potere emergere dallo squallore in cui lei è maestro, ha profuso a piene mani il virus dell'antipolitica, il qualunquismo populista, trasformando la «polis» da luogo di convergenza di ideali e di interessi a mercato di convenienza e di sopraffazione. Lei, da esperto di vecchio pelo, ha indotto i cittadini ad evadere il fisco che in uno Stato democratico è prevalentemente un dovere civile di solidarietà e per un cristiano un obbligo di coscienza perché strumento di condivisione per servizi essenziali alla corretta e ordinata convivenza civile e sociale. Durante il suo governo le tasse sono aumentate perché incapace di porre un freno alla spesa pubblica che anzi galoppa come non si è mai visto. Non faccia confusione tra «essere alto» e «essere grande», come insegna Napoleone che lei ben volentieri scimmiotta, senza riuscire ad eguagliare l'ombra del dittatore. Lei non può negare di essere stato piduista (tessera n. 1816) e forse di esserlo ancora, se come sembra, con il suo governo cerca di realizzare la strategia descritta nei documenti sequestrati al gran maestro Licio Gelli, a Castiglion Fibocchi (Comunicato Ansa del 17 marzo 1981 ore 12:18, da cui emerge il suo numero di tesserato; cf intervista di Licio Gelli su Repubblica.it del 28-09-2003). La maledizione italiana A lei nulla importa dei valori religiosi, etici e sociali, che usa come stracci a suo comodo esclusivo, senza esimere di vantarsi di essere ossequioso degli insegnamenti etici e sociali della Chiesa cattolica, di cui si è sempre servito per averne l'appoggio e il sostegno. Partecipa convinto al «Family-Day» in difesa della famiglia tradizionale, monogamica formata da maschio e femmina e poi ce lo ritroviamo con prostitute a pagamento che registrano la sua voce nel letto di Putin; oppure spogliarelliste che lei ha nominato ministre: è lecito chiedersi, in cambio di cosa? Come concilia questo suo comportamento con le sue dichiarazioni di adesione agli insegnamenti della Chiesa cattolica? La «corrispondenza d'amorosi sensi» tra lei, il Vaticano e la gerarchia cattolica è la maledizione piombata sull'Italia ed una delle cause del progressivo e costante allontanamento dalla Chiesa delle persone migliori. I prelati, come sempre nella storia, fanno gli affari loro e lei che di affari se ne intende si è lasciato usare ed ha usato senza scrupoli offrendo la sua collaborazione e cercando quella della cosiddetta «finanza cattolica» legata a doppia mandata con il Vaticano. Se volesse avere la documentazione di legga il molto istruttivo saggio di Ferruccio Pinotti e Udo Gümpel, «L'unto del Signore», BUR, Rizzoli, Milano 2009. Gli ecclesiastici, da perfetti «uomini di mondo, hanno capito che con lei al governo potevano imporre al parlamento leggi e decreti di loro interesse, utilizzandolo quindi come braccio secolare. Per questo obiettivo, devono però rinunciare alla loro religiosità e adeguarsi alla paganità del potere che esige la contropartita. Lei, infatti, è sostenuto dall'Opus Dei, da Comunione e Liberazione e da tutte le organizzazioni e sètte cattoliche che si lasciano manovrare a piacimento con lo spauracchio dei «comunisti» e con l'odore satanico dei soldi. Il Vaticano e i vescovi, non essendo profeti, ma esercenti gestori di una ditta pagana, non hanno saputo o voluto cogliere le conseguenze nefaste che sarebbero derivate al Paese da questo connubio incestuoso; di fatto sono caduti nella trappola che essi stessi e lei avevate preparato. L'incidente di Vittorio Feltri, da lei, tramite la famiglia, nominato direttore del suo «Il Giornale» con cui uccide sulla pubblica piazza Dino Boffo, direttore di «Avvenire» portavoce della Cei, va oltre le vostre intenzioni e come un granellino si sabbia inceppa il motore. Oppure, secondo l'altra vulgata, tutto sarebbe stato progettato da lei e Bertone per permettere a questi di mettere le mani sulla Cei e a lei di fare tacere un sussurro appena modulato di critica sui suoi comportamenti disgustosi. Senza volersi arrampicare sugli specchi forse si è verificato un combinato disposto, non nei tempi e nelle forme da voi progettato. Il giorno 7 agosto 2009, in un colloquio riservato con il cardinale Angelo Bagnasco, lo misi in guardia: «Stia attento - gli dissi - e si prepari alla guerra d'autunno perché con la nomina di Feltri al Giornale di Berlusconi (20-07-2009), la guerra sarà totale e senza esclusione di colpi. Berlusconi non può rispondere alle domande di la Repubblica e non può andare in tv a dare spiegazioni. Può continuare a negare sulle piazze per gli allocchi, ma nemmeno lui, menzognero di professione potrebbe negare davanti a domande precise e contestazioni puntuali. Per questo non lo farà mai, tanto meno in Parlamento. Non ha che un mezzo: sguazzare nel fango facendolo schizzare su tutti e su tutto, in base al principio che se tutto è infangato, nessuno è infangato». Il cardinale mi guardò come stupito e incredulo, reputando impossibile la mia previsione. Credo che ora si morda le labbra. Eppure credo anche che lei sia finito: per la finanza internazionale e per gli interessi di coloro che lo hanno sostenuto, Vaticano compreso, lei ora è ingombrante e impresentabile e deve essere sostituito, ma lei non cadrà indenne, farà più danni che potrà, un nuovo Sansone in miniatura. Lei sa che deve andarsene, ma sa anche che passerà alla storia non come quel «grande, immenso» presidente che è stato lei, ma come «l'utilizzatore finale di prostitute che altri pagavano per conto suo». Non c'è che dire: lei è un grande in bassezza e amoralità. Spergiuro Nella trappola non è caduto il popolo di Dio, formato da «cristiani adulti» che tanto dispiacciano al papa «pro tempore» Benedetto XVI: lei non potrà mai manipolarli come non potrà mai possedere le coscienze dei non credenti austeri, cultori della laicità dello Stato che lei vilipende e svende, sempre e comunque, per suo inverecondo interesse. Lei ha la presunzione ossessiva di definirsi liberale, ma non sa cosa sia il liberismo, mentre è l'ultima caricatura di promettente e decadente comunista sovietico di stampo breshnieviano, capace di usare il popolo per affermare la propria ingordigia patologica di potere. D'altronde il suo amico per la pelle non è l'ex «kgb» Vladimir Vladimirovič Putin, nella cui dacia è ospitato secondo la migliore tradizione comunista italiana? Dal punto di vista della morale cattolica, lei è uno spergiuro perché ha giurato sulla testa dei suoi figli, senza pudore e alcuni giorni dopo il «ratto di Noemi», ha dato dello stesso fatto diverse versioni differenti, condannando se stesso e la testa dei suoi figli alla pena dello spergiuro che già Cicerone condannava con la «rovina» e l'esposizione all'umana infamia: «Periurii poena divina exitium, humana dedecus - La pena divina dello spergiuro è la rovina e l'infamia/il disprezzo degli uomini» (De legibus, II, 10, 23; cf anche De officis, III, 29, 104;in Cicerone, Opere politiche e filosofiche, a c. di Leonardo Ferrero e Nevio Zorzetti, vol. I, UTET, Torino, 1974, risp. p. 489 e p. 823). Anche il Diritto Canonico, per sua informazione, riserva allo spergiuro «una giusta pena» (CJC, can. 1368), demandata all'Autorità, in questo caso il papa, che avrebbe dovuto comminarle la pena canonica, invece di indirizzarle una lettera diplomatica per il g8 e i suoi «deferenti saluti». Non ci può essere deferenza, tanto meno papale, per un uomo che ha toccato il fondo della dignità politica e morale. Gli ultimi fatti di Villa Certosa e Palazzo Grazioli hanno sprofondato lei (non era difficile), ma anche l'Istituto Presidenza del Consiglio in un letamaio senza precedenti. Mai l'Italia è stata derisa nel mondo intero (ormai da quattro mesi continui) a causa di un suo presidente del consiglio che, su denuncia della moglie, frequenta le minorenni e sempre per ammissione della moglie che lo frequenta da oltre trent'anni, per cui si presume lo conosca bene, è malato e come un dio d'altri tempi esige per la sua perversione, sacrifici di giovani vergini per nascondere a se stesso i problemi del tempo che inesorabilmente passa, nonostante il trucco abbondante. Affari privati o deriva di Stato? Lei dice di volere difendere la sua privacy, ma non c'è privacy per uno che ha portato i suoi fatti «privati» in tv attaccando indecorosamente la sua stessa moglie che ha intrapreso la strada del divorzio. Forse lei ha dimenticato che sull'immagine della sua «felice famiglia italiana» lei ha costruito se stesso e la sua fortuna politica ed economica. Lei si comporta per quello che è: uno spaccone che in piazza si vanta di tutto ciò che non ha mai fatto e poi pretende che nessuno ne parli. Se lei mette il segreto di Stato sulle sue ville, queste diventano ipso facto «affare politico» perché lei le usa anche per incontri istituzionali e quindi fanno parte dell'Istituzione della presidenza del consiglio. Lei non ha diritto alla vita privata, quando si comporta da uomo pubblico e promette carriere tv o posti in parlamento a donnine compiacenti che la sollazzano nel suo «privato». Non è lei che ha detto in una intercettazione, parlando con Saccà che «le donne più son cattoliche più son troie»? Può spiegare, di grazia, il significato di queste parole altamente religiose e rispettose delle donne e indicarci a chi si riferiva? C'entrano le due donne che siedono nel suo governo e che si vantano di essere cattoliche: la Carfagna e la Gelmini? Lei e suoi paraninfi continuate a dire che si tratta di questioni private senza rilevanza pubblica, sapendo di mentire ancora e senza pudore. Sarebbero affari privati se Silvio Berlusconi non fosse presidente del consiglio che alle donnine che gli accompagnano anche a pagamento, non promettesse incarichi in aziende pubbliche (tv) o posti in parlamento se non addirittura al governo. Vorrei chiederle per curiosità: quali sono i meriti e le benemerenze delle ministre Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini per essere assurte, non ancora quarantenni, a posti di rilievo nel suo governo? Perché Mara Carfagna posava nuda o la Gelmini prendeva l'abilitazione in Calabria? Le sue ville sono ancora sotto la tutela del segreto di Stato e quindi guardate a vista da polizia, carabinieri, esercito? A spese di chi? Può ancora dire che sono residenze private? Fu lei in persona ad andare dal suo devoto suddito Bruno Vespa a rispondere pubblicamente a suo moglie, Veroni Lario, rendendo pubblici i fatti che la riguardavano e attaccando sua moglie senza alcuna pietà, facendo pubblicare dal suo «killer mediatico» le foto di sua moglie a seno nudo di quando faceva l'attrice. Non credo che lei possa dire che le sue vicende sono private perché ci riguardano tutti, come cittadini e come suoi «sovrani» costituzionali perché una cosa è certa: noi non abdicheremo mai alla nostra dignità di cittadini sovrani figli orgogliosi della nostra insuperabile Costituzione. Noi non permetteremo mai che lei diventi il «padrone» della nostra dignità. Per lei è cominciato l'inizio della fine perché il suo declino è iniziato nel momento stesso in cui è andato nella tv di Stato compiacente e, senza contraddittorio, alla presenza del solo cerimoniere e maggiordomo fidato, ha cominciato a farfugliare bugie, contraddizioni, falsità che non hanno retto l'urto dei fatti crudi. Se lei fosse onesto, anche solo per una parte infinitesimale, dovrebbe rassegnare le dimissioni, come aveva promesso nel suddetto, compiacente recital. Strategie convergenti Lei può fare affari col Vaticano e chiudere nel cassetto morale e dignità, ma sappia che il Vaticano non è la Chiesa, per nostra fortuna e per sua e vostra disgrazia. Noi, uomini e donne semplici, vogliamo onorare e difendere la nostra dignità e la nostra fede, contro ogni tentativo di manipolazione e di incesto tra altare e politica. Purtroppo lei, supportato da parte della gerarchia, ha fatto scadere la «politica» da arte a servizio del bene comune a mercimonio di malaffare e a sentina maleodorante. Le istituzioni cattoliche che lo hanno appoggiato ne portano, con lei, la responsabilità morale, in base al principio giuridico della complicità. Strana accoppiata: i difensori della moralità ufficiale, costretti a tacere per mesi di fronte a comportamenti indegni e a leggi inique, perché lautamente ricompensati o in vista della mancia promessa. Trattasi solo di un baratto di cui i responsabili dovranno rendere conto. I vescovi hanno ritrovato la parola quando si sono visti attaccare, inaspettatamente, da lei con avvertimenti di stampo mafioso (per interposta persona). La gerarchia, in genere felpata e compassata, in questo frangette è risorta come un sol uomo, arruolando anche il papa alla bisogna, ma cogliendo anche l'occasione per dare corpo alle vendette interne e regolare i conti tra ruiniani e bertoniani. Come insegna l'amabile Andreotti «la vendetta è un piatto che si gusta freddo». Strategie convergenti che hanno sprigionato il disgusto del popolo cattolico e dei cittadini che ancora pensano con la propria testa. Ripudio Io, Paolo Farinella, prete mi vergogno della sua presidenza, per me e la mia Nazione e, mi creda, in Italia siamo la maggioranza che non è quella elettorale, ottenuta da una «legge porcata» che ben esprime l'identità della sua maggioranza e del governo e di lei che lo presiede (o lo possiede?). Lei potrà avere il sostegno del Vaticano (uno Stato estero) e della Cei che con il loro silenzio e le loro arti diplomatiche condannano se stessi come complici di ingiustizia e di immoralità. Per questi motivi, per quanto mi concerne in forza del mio diritto di cittadino sovrano, non voglio più essere rappresentato da lei in Italia e all'Estero, io la ripudio come politico e come presidente del consiglio: lei non può rappresentarmi né in Italia e tanto meno all'estero perché lei è la negazione evidente di tutto quello in cui credo e spero di vedere realizzato per il mio Paese. sia perché non mi rappresenta sia perché è indegno di rappresentare il buon nome dell'Italia seria, laboriosa e civile e legale che amo e per la quale lotto e impegno la mia vita. Non importa che lei abbia la maggioranza parlamentare, a me interessa molto di più che non abbia la mia coscienza Io, Paolo Farinella, prete ripudio lei, Silvio Berlusconi, presidente pro tempore del consiglio dei ministri e tutto quello che rappresenta insieme a coloro che l'adulano, lo ingannano, lo manipolano e lo sorreggono: li/vi ripudio dal profondo del cuore. in nome della politica, dell'etica e della fede cattolica. La ripudio e prego Dio che liberi l'Italia dal flagello nefasto della sua presenza. Genova 09 settembre 2009

http://temi.repubblica.it/micromega-online/berlusconi-io-ti-ripudio/



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lunedì 7 settembre 2009

L’abisso tra Berlusconi e la realtà

[The Times]

Un momento è comico, quello dopo megalomane. Ma questo non aiuterà la sofferente economia italiana.

Questa volta Silvio Berlusconi sembra essersi spinto troppo oltre; la scorsa settimana ha sguinzagliato i suoi pitbull di corte nel tentativo di imbavagliare gli ultimi mezzi d’informazione dell’opposizione. Ma l’offensiva autunnale ha avuto una brutta partenza dal momento che sembra che i mastini e il loro padrone abbiano dato un morso più grande di quanto possano masticare. La Chiesa Cattolica Romana e una coalizione di giornali italiani e stranieri sono troppo anche per l’ego smisurato di Berlusconi. Ecco un quadro delle debolezze personali e politiche del Presidente del Consiglio italiano.

L’attacco è cominciato quando il Commissione parlamentare per i servizi radiotelevisivi ha cercato di cambiare alcuni dei vertici dell’emittente pubblica RAI. E’ capitato che lavorassero tutti per programmi che criticano Berlusconi. Questo succedeva un mese dopo l’episodio in cui il Premier aveva attaccato un giornalista RAI, dicendo come fosse “intollerabile che un programma del servizio pubblico, pagato dai contribuenti, possa criticare il governo”.  Questo fu detto a denti stretti e con la mascella serrata. La rabbia reale e visibile tradiva la mancanza di autocontrollo.

Il secondo attacco è arrivato quando Niccolò Ghedini,avvocato e primo pitbull di Berlusconi, ha dichiarato che avrebbero fatto causa a La Repubblica per diffamazione. Il giornale ha fatto una lista di dieci domande per Berlusconi fin da giugno. Ghedini obietta che fare quelle domande è diffamatorio e chiede milioni di euro di danni. Ha anche affermato che faranno causa a giornali stranieri. Tutto ciò ha causato una pioggia di critiche da ogni parte. All’estero le reazioni hanno spaziato dalle risate all’indignazione; non dovrebbe essere il compito dei giornali porre domande?

L’altro attacco è guidato da Vittorio Feltri, direttore di una delle testate della famiglia Berlusconi, Il Giornale. La sua strategia è quella di andare dritto sull’uomo, non sulla la palla. Feltri è finito in acque pericolosamente alte da quando si è scagliato contro Dino Boffo, direttore dell’Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale Italiana. Per alcune settimane l’Avvenire ha criticato il modo di vivere di Berlusconi. Feltri ha dichiarato che il Signor Boffo ha patteggiato la sua uscita dal processo per molestie e ha avuto una relazione gay: di conseguenza non dovrebbe giudicare la vita sessuale del Signor Berlusconi.

Gli effetti non sono stati quelli che avrebbe voluto il Presidente del Consiglio; dopo più di un mese di paziente diplomazia, il proprio staff aveva negoziato una cena con il Cardinal Bertone, Segretario dello Stato Vaticano, da tenersi durante la cerimonia della Perdonanza. Berlusconi era sul punto di essere assolto dalla Chiesa, ma il cardinale ha annullato la cena e la separazione tra il Governo e la Chiesa è diventata un abisso.

Il messaggio è semplice; Berlusconi ha bisogno della Chiesa molto più di quanto la Chiesa abbia bisogno di lui. Il suo attacco a Boffo ha mostrato che la sua rabbia annebbia il suo raziocinio politico. Queste mosse arrivano dopo mesi di rivelazioni a proposito di corruzione e possibili crimini, e dalla frase di sua moglie secondo la quale lui “non sta bene”. In un mondo più semplice e franco, lui si sarebbe dimesso molto tempo fa. Ma Silvio Berlusconi non è ne’ semplice ne’ franco — eccezion fatta per il suo opinione secondo cui la maggior parte degli Italiani ha votato per lui e quindi puó fare ció che vuole.

Dopo la sua prima vittoria nel 1994, ha proclamato se stesso “unto dal popolo”,  cosa che implica che egli abbia gli stessi poteri di un monarca divino e giusto, incoronato da Dio. Quindici anni dopo è ancora più convinto del suo stesso destino. E’ la risposta europea a Hugo Chávez in Venezuela, un populista che alterna bullismo e fascino sulla sua via al potere e allo smantellamento di tutte le opposizioni.

Ma come resta popolare? Il supporto elettorale e i sondaggi di approvazione sono veri, anche se sfuggenti. Il controllo dei media gli garantisce ovviamente un gigantesco vantaggio, ma la sua immagine e il suo programma sono divenuti popolari mentre l’opposizione si è disastrosamente divisa, senza leader e programma. L’idea di avere più capelli, più donne e meno rughe mentre invecchi attrae molti uomini, non solo italiani, e molte donne cedono all’odore di fascino e Rolex. Da quando è ritornato al potere le scorso anno, Berlusconi si è fornito l’immunità parlamentare ed ha scomodato i poteri del Presidente Napolitano per controllare la costituzionalità delle leggi.

L’opposizione istituzionale, come le camere ed il Presidente, sono stato legate come un cappone pronto per il forno e molti dei media sono direttamente o indirettamente controllati dal Premier. Se qualcuno osa squittire è minacciato direttamente. La sua politica estera  aspira a muoversi tra il comico e la megalomania. La sua impazienza e senso di onnipotenza negli affari continua nella sua vita politica, che ora gli consente di ignorare la realtà e di crearsene una sua.

Oggi, tuttavia, agisce come un uomo fuori controllo. Anche se è uno degli uomini più ricchi e tra i leader politici del mondo, sembra deluso e frustrato. Nessun ammontare di ricchezze può più farlo tornare giovane e bello, forzare il Vaticano ad accettarlo e dargli il carisma di Brown, di Sarkozy o della Merkel, e nemmeno tributargli lo status di

affermata ricchezza come quella degli Agnelli. Quindi reagisce in modo sproporzionato ad ogni critica. Ma il divario tra la sua realtà e quella di chiunque altro si sta ampliando. Le varie medicine potrebbero chiedere il loro tributo e il suo sorriso compiaciuto potrebbe non nascondere a lungo la rabbia che bolle fino alla superficie quando è contrastato.

Le minorenni e le prostitute ne hanno rotto l’immagine ma, se cadrà, sarà perché nulla può nascondere la sua cattiva amministrazione economica. La disoccupazione e le avversità che gli italiani probabilmente affronteranno questo autunno, delle quali lui è largamente responsabile, saranno lo scacco della realtà che conta.

mercoledì 2 settembre 2009

Berlusconi vuole chiudere l'Unità

Comunicato della Direzione de l'Unità

Le argomentazioni contenute nei due atti di citazione (nelle foto: le copertine dei due numeri del giornale "incriminati") sono formalmente dirette a dimostrare che l’Unità ha colpito la reputazione di Berlusconi, ma nella sostanza delineano un illecito non previsto dal nostro ordinamento, quello di lesa maestà.

Il legale del presidente del Consiglio contesta le nostre opinioni politiche, le nostre valutazioni (peraltro condivise da opinionisti di altri giornali nazionali e internazionali e comunque attinenti alla libera manifestazione del pensiero tutelata dall’articolo 21 della Costituzione) sui rapporti tra la maggioranza e il Vaticano. O i giudizi sui comportamenti privati del premier e sulla loro compatibilità col suo ruolo pubblico.

Viene addirittura qualificato lesivo della onorabilità del premier il fatto di aver riportato giudizi espressi pubblicamente da Veronica Lario attorno alle sue condizioni e alle sue frequentazioni con minorenni. Persino l’opinione di una scrittrice come Silvia Ballestra viene inserita nell’elenco delle affermazioni non pubblicabili.

Un passo dell’atto prodotto dal legale del premier riassume bene il senso complessivo dell’iniziativa. “Si è scritto, spacciandolo per vero, che ‘tutto’ sarebbe stato ‘nascosto ‘ manipolando l’informazione attraverso le televisioni. E che il dottor Berlusconi non solo avrebbe tale controllo ma addirittura ne avrebbe abusato e continuerebbe ad abusarne in danno del servizio pubblico Rai e per i suoi interessi personali (che sarebbero una sorta di guerra contro Sky). Il che, come quant’altro divulgato dall’Unità, è mera invenzione”.

In definitiva, è “diffamatorio” anche dire che Berlusconi controlla l’informazione in Italia.

Viene contestata la “illiceità” di due interi numeri del giornale in tutte le loro parti che si riferiscono al presidente del Consiglio e, attraverso il combinato disposto di articoli e commenti, diventa “diffamatoria” una linea politica e una visione del mondo.

Non è possibile, nei due atti di citazione, trovare nulla che riguardi il merito delle affermazioni contestate. Né, quindi, ci viene data la possibilità di dimostrare che esse sono fondate su dichiarazioni pubbliche (addirittura fatte da parlamentari della Repubblica un tempo legatissimi al premier, come Paolo Guzzanti) o su dichiarazioni già acquisite dall’autorità giudiziaria (come quelle della D’Addario) e diffuse da tutta la stampa mondiale.

E questo chiarisce le ragioni della scelta della sede civile e la richiesta di un risarcimento esorbitante. E’ evidente che Silvio Berlusconi, come già il fascismo, vuole chiudere il giornale fondato da Antonio Gramsci.

Faremo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per impedirlo. Lanciamo, ai nostri lettori e a tutti i democratici, un appello perché si mobilitino a difesa della libertà di stampa.