venerdì 26 novembre 2010

Un grazie a Paolo Flores D'Arcais

Un governo anti-dittatura Ero perfettamente consapevole che un editoriale favorevole a uno schieramento anti-Berlusconi
che coinvolga tutti, ma proprio tutti, da Fini a Vendola (e anzi
Grillo), in presenza dell’attuale sistema elettorale (se cambia, cambia
anche il discorso, ovviamente), avrebbe scatenato un mare di polemiche.
Le più affettuose, sul Web, sono lapidarie: “Vergogna!” e “Chiamate
l’ambulanza”. Provo a rispondere razionalmente.

La mia conclusione si basava su due premesse fondamentali:
1) se Berlusconi vince di nuovo non fa prigionieri e instaura una vera dittatura.
2) Questa dittatura è qualitativamente diversa (in peggio) dal peggior malgoverno tradizionale e anche dall’attuale regime berlusconiano.

Per evitare la mia conclusione bisogna quindi argomentare che almeno
una delle premesse sia falsa. Se non lo si fa è inutile sbudellarsi
negli insulti.

Sulla prima: abbiamo una serie impressionante di evidenze empiriche
che la corroborano. Se vince Berlusconi diventa nel 2013 presidente
della Repubblica, sceglie i due giudici che gli mancano per controllare
la Corte costituzionale (a meno che non gli riesca già prima), elimina
l’autonomia dei magistrati (quel che ne resta), fa chiudere i giornali
che pubblicano notizie scomode, cambia perfino l’articolo 1 (che non è
mai stato realizzato!), la polizia giudiziaria non sarà più sottoposta
ai pm e indagherà secondo i desiderata dell’esecutivo, sindacati come la Fiom saranno distrutti, la tv sarà tutta e solo Minzolini e Corona… Questo per cominciare.

Ecco perché ho definito “letale” questo incombente berlusconismo di domani.
Che mi sembra (e siamo al punto 2) prospettiva agghiacciante anche
rispetto al maleodorante e disgustoso regime di oggi. Un governo di
liberazione da tale incubo potrebbe perpetuare il berlusconismo senza
Berlusconi, ovviamente, ma la differenza continua a sembrarmi abissale:
oggi un regime in cui è ancora possibile combattere legalmente, domani
un criccofascismo, cioè un fascismo vero e proprio
anche se di stile inedito. Naturalmente la differenza viene meno se
qualcuno è convinto che (non pochi) magistrati autonomi, (alcuni)
sindacati ancora liberi, (taluni) giornalisti ancora dediti alle verità
di fatto, siano irrilevanti di fronte al fatto che sempre di
sfruttamento capitalistico si tratta, se non è zuppa è pan bagnato.
Queste equazioni io le lascio volentieri ai Toni Negri e al loro
“pensiero innocuo”.

Ora, se la quarta vittoria di Berlusconi
significa la prospettiva di una dittatura per via legale – e non ho
letto argomenti credibili in contrario – è evidente che sarebbe una
“vergogna”, o un comportamento da “chiamate l’ambulanza”, qualsiasi
scelta che non la impedisca. Ma l’attuale legge elettorale stabilisce
che la lista che arriva prima prende tutto. Ne consegue che per battere
Berlusconi ci vuole una coalizione che ci assicuri di ottenere un voto
più della sua. Può darla una coalizione del solo centrosinistra? Se il
rischio fosse di cinque anni come quelli già passati, sarebbe
prospettiva nauseante ma si potrebbe correrlo. Se il rischio è la
dittatura, invece, non si può correrlo senza essere degli
irresponsabili. La certezza ce la darebbe un’alleanza Pd con Casini (e magari Montezemolo)
come auspicano Chiamparino e Cacciari? Peggio che andar di notte, le
defezioni di elettori che resterebbero a casa si moltiplicherebbero.

Ma la stessa cosa accadrebbe per un’alleanza da Fini a Vendola, obietterà qualcuno. Prendiamo il pallottoliere. Hic stantibus rebus
il fronte B. e B. arriva al 40%, quello contrario al 60%. Per perdere
dovrebbe pagare lo scotto di un voto su tre. Questo sì che è
improbabile. Tanto più che io ho sottolineato come assolutamente
necessaria una lista (o più) di cittadini senza partito, che
incrementerebbero il totale.
Un governo di liberazione potrebbe durare a lungo?
No. Ma l’argomento non può essere questo perché non è questo il
problema. Se con la quarta vittoria di Berlusconi si instaura una
dittatura legale, è necessario un governo che distrugga l’insieme di
poteri anomali che ha consentito la nascita del regime, oltre alla
revoca delle leggi ad personam. Senza di esse, senza la proprietà
bulgara sulle tv, con i vincoli di una legge rigorosa sul conflitto di
interessi, Berlusconi è politicamente finito per sempre, perché
strutturalmente.

Finito con lui l’incubo della dittatura
legalizzata, ci troveremmo ancora di fronte – è evidente – tutti i
problemi di una democrazia malata di ingiustizie gigantesche e delle
macerie, anche antropologiche, che il berlusconismo con Berlusconi
lascia in eredità. E inizierebbe assai presto lo scontro tra berlusconismo senza Berlusconi e democrazia coerente
(passando per tutte le gamme intermedie). Ma la dittatura è un’altra
cosa, il criccofascismo è un’altra cosa. Solo sventando questa
incombente probabilità, si può pensare di ridar vita a una politica di
sinistra, ispirata all’azionismo di “giustizia e libertà”. Se Berlusconi
vince per la quarta volta, invece, nessuno potrà più scrivere programmi a cinque stelle o battersi per gli operai di Pomigliano.
Possibile che sia tanto difficile capirlo? I nostri nonni (per la mia
generazione. Trisnonni per quella dei lettori più giovani) si sono
cullati nelle stesse illusioni con Mussolini. Possibile che il desiderio
di ripetere errori già fatti sia così irresistibile?

Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2010

domenica 22 agosto 2010

Massimo Rispetto :-)

E' una vita ormai che non aggiorno il blog ma questa iniziativa di un privato cittadino, per ora sconosciuto , merita un bel post di ringraziamento.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2010/08/22/foto/striscione-6437954/1/ 


sabato 27 marzo 2010

Il potere del telecomando


Chi pensava che le intercettazioni di Trani avrebbero costretto i cosiddetti 'terzisti' del 'Corriere della sera' a prendere posizione, la prima in vita loro, era un povero illuso. Lunedì, a meno di dieci giorni dalla pubblicazione delle indecenti conversazioni degli 'arbitri' venduti a una delle squadre, Pierluigi Battista ha pubblicato sul 'Corriere' un "memorandum per ossessionati dalla tv". Ce l'aveva col premier, talmente ossessionato dalla tv da trascorrere ore e ore al telefono a complottare contro Santoro? Ce l'aveva con i commissari 'indipendenti' della presunta Authority, così ossessionati dalla tv da organizzare riunioni domestiche e telefoniche con membri del Csm, della Vigilanza, del cda Rai per scovare qualche cavillo che giustificasse la chiusura di 'Annozero'? Macchè.

Battista ce l'aveva con quanti sostengono un'ovvietà nota in tutto il mondo: le tv spostano voti. Lo dimostrano fior di studi specialistici, che calcolano in 5-6 punti percentuali l'effetto-tv sulle elezioni, soprattutto in Italia dove uno dei due candidati a Palazzo Chigi possiede tre canali e ne controlla altri due; dove la diffusione della carta stampata e di Internet è marginale; dove il 60-70 per cento degli elettori (dati Istat) usa il telecomando come unico strumento d'informazione per decidere come e chi votare. E lo dimostra Berlusconi, che appunto passa il suo tempo a occupare anche gli angoli più riposti dell'emittenza.
Ma Battista è peggio di San Tommaso: non crede nemmeno a quel che vede, e sente. Elenca le elezioni vinte dal centrodestra quando la Rai era in mano al centrosinistra, e viceversa: non lo sfiora il dubbio che, quando perde, Berlusconi perderebbe molto più rovinosamente di quanto non gli accada con le tv. E poi nessuno ha mai sostenuto che la tv basta da sola a far vincere questo o quello. Il controllo delle tv serve a "mentire senza timore di smentita" (Giovanni Sartori): e in questo Berlusconi è maestro.

Serve a nascondere i fatti sgraditi, a minimizzare gli scandali, a depistare l'attenzione generale dall'agenda dei problemi veri verso quelle che Sabina Guzzanti chiama le "armi di distrazione di massa". E anche in questo il Cavaliere, protagonista degli scandali più scandalosi del dopoguerra, è un mago. Ma, soprattutto, Battista dimentica un piccolo e trascurabile particolare: nel 1994, senza le sue tv, Berlusconi non avrebbe mai potuto fondare un partito in sei mesi e vincere le elezioni, spacciandosi per l'alfiere del 'nuovo che avanza' mentre era solo il vecchio che era avanzato. Se avesse perso al primo colpo, la sua avventura politica sarebbe finita prim'ancora di cominciare. E oggi non saremmo qui a parlarne. Battista avrebbe potuto cogliere l'occasione per raccontarci come fu che, dopo l'editto bulgaro, 'Il Fatto' di Enzo Biagi fu sostituito da un ex portavoce del Cavaliere, tale Berti, e poi da un certo Battista. Forse perché i berluscones non avevano capito bene la differenza fra Biagi e gli altri due, o perché l'avevano colta benissimo?

martedì 23 marzo 2010

Il Cancro da Estirpare

Uno dei passaggi più raccapriccianti del comizio di Silvio Berlusconi di sabato a Roma, oltre alla menzogna dell’Europa che senza Berlusconi avrebbe liberalizzato la pedofilia (sic) detta e ripetuta da Umberto Bossi, è stato il promettere la cura del cancro. Chi era in piazza descrive la brava gente presente a San Giovanni come un po’ imbarazzata da alcuni passaggi dello show del capo del governo. Mi piace pensare che sia vero in particolare per tale punto.

Nel promettere qualunque cosa le persone volessero sentirsi dire, dai cento milioni di alberi al dimezzamento delle tasse, pochi commentatori si sono soffermati sul passaggio della promessa di curare il cancro fatta dal “presidente oncologo” o, meglio, dal “presidente padrepio”. Peccato, perché il passaggio sul cancro avrebbe meritato i titoli dei quotidiani che invece sono stati catturati da un mero problema matematico sul numero dei presenti.

Forse davvero nessuno prende più sul serio le cose che Berlusconi dice. Forse perché davvero l’unica promessa che i berlusconiani (gli italiani) vogliono veder garantita, e Berlusconi è capace indubbiamente di mantenere, è quella del potersi fare i fatti propri. E’ così che dev’essere interpretata la promessa di dimezzare le tasse. La libertà “fai da te” di evadere, garantita per legge dai condoni. Quindi non importa davvero che Berlusconi dimezzi le tasse quanto che permetta di autodimezzarle. Fin qui è tutto chiaro, ma il cancro?

Dalla “cura Di Bella” (pannicello caldo che ha causato molti morti ma cavallo di battaglia per anni della destra) alla “cura Berlusconi” senza mai passare dai luoghi deputati, i laboratori, le biblioteche, le aule, c’è il senso di una società cinica (o stupida) oramai indifferente ai grandi temi, agli ideali, al darsi obbiettivi elevati e altri rispetto al ciclo produzione/consumo, eppure comprensibili a tutti. Berlusconi ha fatto cinicamente appello alla disperazione dei malati e dei loro cari per raccattare qualche voto offrendo una speranza a basso costo oppure l’ha semplicemente buttata lì, una balla come un’altra, magari compiacendosene come quando racconta barzellette sconce agli altri capi di governo?

Purtroppo quanto afferma il capo di governo di un paese di 60 milioni di abitanti va preso sul serio. Soprattutto in uno dei paesi dell’OCSE che meno investe in ricerca scientifica e dove sta per passare una controriforma universitaria (bipartisan). Questa porterà alla chiusura materiale di molte sedi e ad una nuova ondata della cosiddetta “fuga dei cervelli”. Quindi solo un miracolo può permettere alla ricerca italiana di avere i mezzi per contribuire a combattere il cancro. Non è neanche sperabile che la gente dabbene che era sabato al Festivalbar di San Giovanni avesse voglia di riflettere su tali temi. L’ossessione liberista vede nelle università pubbliche proprio un cancro da estirpare, fonte di corruzione e fannullonismo. E’ però da escludere che l’interpretazione autentica delle parole di Berlusconi si riferisse a ciò. Se uno si esprime in un italiano da 150 parole in totale poi non può infarcire il discorso di allusioni (se non pecorecce), metafore, concetti complessi. Quindi proprio al cancro si riferiva. Berlusconi, in un comizio nella campagna elettorale per le amministrative 2010, ha proprio promesso che curerà il cancro. Lo devo compitare per crederci.

La promessa di Silvio Berlusconi mi ha ricordato il dipinto celeberrimo di Frida Khalo, “il marxismo darà la salute agli infermi”. Frida credeva fideisticamente che la Rivoluzione avrebbe dato gli strumenti per lenire la sofferenza umana che lei identificava nel suo stesso corpo malato. Adesso nessuno crede più a niente e Berlusconi può permettersi di promettere la cura del cancro senza che nessuno gli dia importanza né per credergli né per chiedergli il conto politico di tale affermazione. Davanti ai nostri occhi, dobbiamo ammetterlo, la storia si sta ripetendo in farsa.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it

Il Guaritore

di Massimo Gramellini

L’altra sera, girovagando fra i canali, mi sono imbattuto in un volto ispirato che, dal palco di una piazza, inneggiava all’amore e urlava: entro il 2013 vogliamo vincere il cancro. Giuro, diceva proprio così. Vo-glia-mo vin-ce-re il can-cro. Non la disoccupazione. E nemmeno lo scudetto. Il cancro, «che ogni anno colpisce 250 mila italiani». Sulle prime ho sperato fosse il portavoce del professor Veronesi e ci stesse annunciando uno scoop mondiale. Così ho telefonato a uno dei 250 mila, un caro amico che combatte con coraggio la sua battaglia, e gli ho dato la grande notizia. Come no?, ha risposto, adesso però ti devo lasciare perché sono a cena con Vanna Marchi.

Ho degli amici molto spiritosi. Mi auguro che tutti i malati e i loro parenti la prendano allo stesso modo. E anche tutti i medici che in ogni angolo del pianeta si impegnano per raggiungere quell’obiettivo. In Italia con qualche problema in più, dato che il governo che entro tre anni intende vincere il cancro ha ridotto i fondi per la ricerca scientifica. Vorrei sorriderne, come il mio amico. Ma stavolta non ci riesco. Ho perso i genitori e tante persone care a causa di quel male. E allora: passi per le barzellette, le favole e persino le balle. Fa tutto parte del campionario di iperboli del bravo venditore e il pubblico ormai è assuefatto allo show. Ma anche a un’alluvione bisogna mettere un argine. Bene, per me il cancro rappresenta quell’argine. Non è: un milione di posti di lavoro. Non è: meno tasse per tutti. Il cancro è una cosa seria. E lui, che lo ha avuto e lo ha vinto, dovrebbe saperlo.

Una questione di democrazia

di EZIO MAURO

Non è l'aspetto penale (di cui nulla sappiamo) il punto più importante dell'inchiesta dei magistrati di Trani che indaga il presidente del Consiglio, il direttore del Tg1 e un commissario dell'Authority sulle Comunicazioni. L'ipotesi di concussione verrà vagliata dalla giustizia, e certamente il capo del governo avrà modo di difendersi e di far sentire le sue ragioni, o di far pesare le norme che bloccano di fatto ogni accertamento giudiziario sul suo conto, facendone un cittadino diverso da tutti gli altri, uguale soltanto all'immagine equestre che ha di se stesso.

Ma c'è una questione portata alla luce da questa inchiesta che non si può evitare e domina con la sua evidenza eloquente questa fase travagliata di agonia politica in cui si trova il berlusconismo. La questione è l'uso privato dello Stato, dei pubblici servizi creati per la collettività, della presidenza del Consiglio, persino delle Autorità di garanzia, che hanno nel loro statuto l'obbligo alla "lealtà e all'imparzialità", per non determinare "indebiti vantaggi" a qualcuno.

Siamo di fronte a una illegalità che si fa Stato, un abuso che diviene sistema, un disordine che diventa codice di comportamento e di garanzia per chi comanda.

Con la politica espulsa e immiserita a cornice retorica e richiamo ideologico, sostituita com'è nella pratica quotidiana dal comando, che deforma il potere perché cerca il dominio. Questi sono tratti di regime, perché il sovrano prova a mantenere il consenso attraverso la manipolazione dell'informazione di massa, inquinando le Autorità di controllo poste a tutela dei cittadini, con un'azione sistemica di minaccia e di controllo che avviene in forma occulta, all'ombra di un conflitto di interessi già gigantesco e ripugnante ad ogni democrazia. Il controllo padronale e politico sull'universo televisivo (unico caso al mondo per un leader politico) non basta più quando la politica latita e la realtà irrompe. Bisogna andare oltre, deformando là dove non si riesce a governare, calpestando là dove non basta il controllo.

L'ossessione televisiva

di CURZIO MALTESE
La televisione conta poco o nulla nel consenso a Berlusconi? A parlare dei processi e degli scandali che riguardano il premier gli si fa soltanto un favore? Invece di rompere le tasche da anni a noi "antiberlusconiani", i professorini di liberalismo dovrebbero spiegare questi concetti al diretto interessato. Dalle intercettazioni pubblicate da Il Fatto e riprese da tutti, pare infatti che il Cavaliere non si occupi d'altro che di controllare la televisione e i suoi controllori.

Mentre il Pil crolla e i premi Nobel per l'economia pronosticano la bancarotta dello Stato italiano, il presidente del Consiglio trascorre le serate a "concertare" con il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e con altri sottoposti il modo di chiudere Annozero, si sbatte per impedire in futuro l'accesso agli studi Rai a Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro, ordina l'oscuramento perpetuo di Antonio Di Pietro, perde perfino tempo a spiegare a Minzolini che cosa deve dire nell'editoriale del giorno dopo. Tutto purché non passi nel servizio pubblico una mezza informazione sui processi e gli scandali che lo riguardano. Al resto, ci pensano i fidi direttori dei tiggì.

È un concentrato nauseabondo di regime quello che emerge dai dialoghi al telefono. Un padrone ossessivo e dittatoriale che impartisce ordini pazzeschi a un branco di servi contenti. Nel novembre scorso, alla vigilia di una puntata di Santoro dove figura fra gli invitati, Maurizio Belpietro, classico giornalista da riporto, telefona al padrone per informarlo che si parlerà del caso Mills. Berlusconi diventa una furia, chiama il suo uomo all'Autorità delle Comunicazioni, Innocenzi, e gli affida la missione di impedire la messa in onda del programma. Innocenzi chiama il direttore generale della Rai che un po' si lamenta ("nemmeno in Zimbabwe") ma poi illustra allo sprovveduto censore il sistema per bloccare Santoro. In futuro però, perché per impedire la messa in onda la sera stessa bisognerebbe fare un golpe. Ipotesi ancora prematura. Nel frattempo il premier del fare ha già sparso minacce e pressioni per mezza Italia e inviato in missione Letta da Calabrò, presidente dell'Autorità. Un copione simile si rivede ogni volta che Annozero affronta le questioni giudiziarie del premier, per esempio nei giorni della deposizione del pentito Spatuzza. In questo caso scatta anche la rappresaglia sotto forma di editoriale di Minzolini. Quello che teme chi vuole dimezzarne la professionalità. Ponendo un affascinante quesito matematico: si può dimezzare lo zero assoluto?

Ma qui nello Zimba, nemmeno Zimbabwe, si può tutto. Nessuno si scandalizza. Il direttore del Tg1 sostiene che sia normale per un giornalista prendere ordini dal presidente del Consiglio. "Altrimenti che giornalista sarei?". Quando si dice una domanda retorica. I professori di liberalismo invitano, come sempre quando si tratta di persone di rispetto, a non criticare (ovvero: "linciare") nessuno prima che siano provati i reati in maniera definitiva. Quindi, mai. In Italia infatti i processi a potenti da decenni non giungono a sentenza definitiva. In compenso la libera informazione italiana può sempre sfogarsi mettendo alla gogna mediatica qualsiasi anonimo poveraccio incappato in un'indagine su un delitto di periferia, senza suscitare le ire dei garantisti nostrani. Così com'è un costume diffuso in Europa, nel Nord America e finanche in molte democrazie africane e asiatiche, esprimere giudizi etici e politici sui comportamenti delle figure pubbliche addirittura - sebbene alcuni opinionisti indigeni non lo crederanno mai - in assenza di veri e propri reati.

Se dalle intercettazioni e dai comportamenti concreti del commissario Innocenzi e del direttore Minzolini, funzionario e dipendente pubblico, emerge una totale sottomissione a un capo politico, non c'è alcun bisogno di aspettare l'esito dell'inchiesta di Trani per dare un giudizio del loro operato. Almeno se si vuole continuare a fingere di essere un paese normale.

Peraltro, a volte queste cose accadono anche in paesi meno normali. Tanto per rimanere in tema, tre anni fa a Bulawayo l'arcivescovo Pius Ncube, anche in seguito alla protesta dei fedeli, rassegnò le dimissioni per potersi difendere "più liberamente e senza coinvolgere la Chiesa" in un processo per reati sessuali. Bulawayo è nello Zimbabwe.

domenica 14 marzo 2010

L’ultima battaglia del Patriarca

La fine di Berlusconi sembra essere imminente. Paradossalmente, ne potrebbe beneficiare anche la mafia.

Quanto riuscira’ Berlusconi a resistere? Per quanto tempo riuscira’ a rimanere ancora al potere? Queste domande vengono sollevate dopo ogni nuovo scandalo. Storie di sesso, accuse di corruzione, ora anche l’accusa specifica di un pentito mafioso che ha dichiarato che Berlusconi ha avuto contatti fin dal 1993 con Cosa Nostra in Sicilia. Le accuse suonano sempre più drammatiche, gli allarmismi di Berlusconi nei confronti di un “complotto comunista” risuonano sempre piu’ come un disco rotto. Sempre più spesso, Berlusconi minaccia nuove elezioni. La convinzione degli italiani che non vi sia alternativa a lui è la sua ultima speranza di rimanere al potere.

Questa convinzione si sta sgretolando. Anche se il Partito Democratico di centro-sinistra all’opposizione continua a mostrare un quadro triste di se stesso. Per ben otto mesi il Partito Democratico è rimasto senza leader, ovvero proprio al momento in cui le scappatelle sessuali di Berlusconi hanno ridicolizzato l’Italia agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Ma a parte le strutture partitiche dell’opposizione, si e’ creata un’ opposizione extra-parlamentare. Ci sarebbe, in primo luogo, una Chiesa sempre piu’ apertamente contro il Presidente del Consiglio; cio’ rappresenta una novità nella storia del dopoguerra. Ci sarebbero gli intellettuali che sono rimasti in silenzio per troppo tempo. Un appello dello scrittore Roberto Saviano a Berlusconi di affrontare i suoi casi giudiziari e’ già stato firmato da 500.000 cittadini. Migliaia di scolari e studenti hanno protestato ancora una volta questo autunno contro il governo. Sabato a Roma si sono radunati centinaia di migliaia di giovani per un “No Berlusconi-Day” organizzato da blogger. La protesta pacifica organizzata via Internet ha fatto sembrare ancora piu’ vecchio il ferito patriarca Berlusconi. Persino il suo mass-media, la seducente e inebriante televisione, con la quale ha tenuto sotto controllo l’Italia tanto tempo è ormai vecchia.

Le azioni della generazione di Internet mostrano che la cultura della protesta in Italia non è ancora completamente soffocata. Tuttavia, politicamente non è più chiaramente etichettabile come nel passato. Alla manifestazione a Roma si potevano udire cori per Gianfranco Fini. Ironia della sorte Fini, tuttora presidente della camera e vice di Berlusconi, è anche il suo critico più risoluto. Dall’estero, Fini sta ricevendo molto supporto e sostegno. Nel partito viene invece attaccato, di recente è stato anche minacciato di espulsione dal partito. L’uomo che una volta considerava Mussolini come “il più grande statista del 20mo secolo”, si presenta ora come un difensore delle istituzioni democratiche contro il suo primo ministro. Un neo-fascista sdoganato come alfiere della democrazia: questa è l’Italia di oggi. Ed è forse l’unica possibilità del paese.

Il ruolo di Fini non è ancora chiaro: è il suo atteggiamento vero, o fa solo la parte del critico che Berlusconi stesso si e’ scelto? Ci sono forti indicazioni che Fini non voglia attendere altri tre anni per assumere il potere nel partito e il paese. Fini sente che potrebbe essere troppo tardi per lui e il suo progetto: l’abbandono di una cultura del capo che è sia antidemocratica che anacronistica, e la costruzione di un partito conservatore moderno ed europeo.

Perche’ non solo per Berlusconi si sta chiudendo la rete, anche per Italia. Per 15 anni, in questo paese tutto cio’ che accade e’ incentrato solo attorno a Berlusconi, la politica non conosce altri temi, Berlusconi stesso neppure. Lui non conosce limiti, di certo non quelli dettati dalla Costituzione. Quando Berlusconi mina e indebolisce le istituzioni democratiche, fa il gioco della mafia. Questo è il grande pericolo per l’Italia, ed è un pericolo reale. Per salvarsi da possibili condanne giudiziarie, il Premier vuole ora ridurre la durata dei processi e quindi cio’ vale anche per i casi contro la mafia. Cio’ vorrebbe dire consegnare il paese nelle mani dei boss per tutelare gli interessi del capo del governo – sempre ammesso che glielo si lasci fare.

I seguaci di Berlusconi hanno a lungo avuto vantaggi in tutti i modi da lui. Berlusconi ha offerto loro denaro, influenza e potere. Adesso questi si rendono conto di essere finiti in un vicolo cieco. E cercano una via d’uscita. Ma probabilmente l’ultima battaglia del Patriarca lascera’ anche a loro un cumulo di macerie. Il berlusconismo probabilmente non si concluderà in una necessaria pulizia e ricambio interno, ma in sfinimento. Indietro rimarra’ un paese politicamente demoralizzato, che già ha pagato. Perché, a dispetto delle attivita’ dei Blogger e delle manifestazioni studentesche, in questi ultimi anni, tanti giovani laureati hanno voltato le spalle all’Italia come mai prima nel passato era successo. I migliori abbandonano un paese spossato e a pezzi.

sabato 13 marzo 2010

Il potere irresponsabile


di MASSIMO GIANNINI

 

Dall'abuso al "sopruso". Dalle regole violate alle "violenze subite". La vera "lezione" che il presidente del Consiglio ha impartito all'Italia democratica (e non certo alla inesistente "sinistra sovietica") è stata esattamente questa: l'ennesima, rancorosa manipolazione dei fatti, seguita dalla solita, clamorosa inversione dei ruoli. Del disastroso pastrocchio combinato sulle liste elettorali non sono "colpevoli" i dilettanti allo sbaraglio del Pdl che hanno presentato fuori tempo massimo documenti taroccati e incompleti, ma i radicali tafferuglisti e i giudici comunisti che li hanno ostacolati.

Del pericoloso pasticciaccio deflagrato sul decreto legge di sanatoria non deve rispondere il governo che l'ha varato, ma i legulei "formalisti" del Tar che l'hanno ignorato, i parrucconi costituzionalisti che l'hanno bocciato e i bugiardi giornalisti che l'hanno criticato. Ancora una volta, come succede dal 1994 ad oggi, lo "statista" Berlusconi evita accuratamente di assumersi le sue responsabilità di fronte al Paese. La sua conferenza stampa riassume ed amplifica la strategia della manipolazione politica e semantica sulla quale si fonda l'intero fenomeno berlusconiano: schismogenesi (provocazione del nemico) e mitopoiesi (idealizzazione di sé).

Non solo il premier non chiede scusa agli elettori per le cose che ha fatto, ma accusa gli avversari per cose che non hanno fatto. Così, nel rituale gioco di specchi in cui l'apparenza si sostituisce alla realtà e la ragione si sovrappone ai torti, il Cavaliere celebra di nuovo la sua magica metamorfosi: il vero carnefice si trasforma nella finta vittima, il persecutore autoritario si tramuta nel perseguitato legalitario. L'importante è mischiare le carte, e confondere l'opinione pubblica. Nella logica berlusconiana lo Stato di diritto è un inutile intralcio: molto meglio lo stato di confusione.



Declinata in termini pratici, la sortita del premier è un indice di oggettiva difficoltà. Stavolta alla sua comprovata "arte della contraffazione" manca un elemento essenziale: l'inverificabilità degli eventi, teorizzata a suo tempo da Karl Popper. Nel caos delle liste, per sventura del Cavaliere, gli eventi sono verificabili. A dispetto delle nove, puntigliose cartelle con le quali ha ricostruito la sua originalissima "versione dei fatti" (che ovviamente scagiona gli eroici "militi azzurri" e naturalmente condanna la "gazzarra radicale") stanno due documenti ufficiali. Le motivazioni con le quali il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato il ricorso del
Pdl nel Lazio, e i verbali redatti dai Carabinieri del Comando di Roma. Basta leggerli, per conoscere la verità.

Non è vero che i responsabili del partito di maggioranza hanno depositato la documentazione "entro le ore 12 del 27 febbraio 2010". Non solo la famosa "scatola rossa" con le firme è stata "riscontrata" solo alle ore 18 e 30. Ma all'interno di quel vero e proprio "pacco", come scrive il Tar, "non erano presenti i documenti necessari prescritti dalla legge". Né "l'atto principale della dichiarazione di presentazione della lista provinciale dei candidati del Pdl, né la dichiarazione di accettazione della candidatura da parte di ciascun candidato, né la dichiarazione di collegamento della lista provinciale con una delle liste regionali, né la copia di un'analoga dichiarazione resa dai delegati alla presentazione della lista regionale, né i certificati elettorali dei candidati, né il modello del contrassegno della lista provinciale, né l'indicazione di due delegati autorizzati a designare i rappresentanti della lista...".

E così via, una manchevolezza dietro l'altra. "Formalismo giudiziario"? "Giurisdizionalismo che prevale sulla democrazia", come gridava il Foglio qualche giorno fa? Può darsi. Ma queste sono le regole. E la democrazia vive di regole. Si possono non rispettare, ma poi se ne pagano le conseguenze. Quello che certamente non si può fare (e che invece il premier ha fatto) è negare, contro l'evidenza, la propria negligenza. Peggio ancora, gridare a propria volta alla "violazione della legge", alla "penalizzazione ingiusta", addirittura al "sopruso violento". E infine puntare il dito contro soggetti terzi, che avrebbero impedito il regolare espletamento di un diritto democratico: se il j'accuse ai radicali fosse fondato, il premier dovrebbe come minimo sporgere una denuncia penale contro i presunti "sabotatori". I presupposti, se l'accusa fosse vera, ci sarebbero tutti. Perché non lo fa? Forse perché sta mentendo: è il minimo che si possa pensare.

Letta in chiave politica, la sceneggiata di Via dell'Umiltà è un segnale di oggettiva debolezza. La reazione livida del presidente del Consiglio contro il free-lance che fa domande scomode, sommata all'aggressione fisica di cui si è reso protagonista il ministro La Russa, tradiscono un evidente stato di tensione. Il presidente del Consiglio si muove su un terreno non suo. La battaglia campale combattuta sulle regole non gli appartiene, la campagna elettorale giocata sulle carte bollate non gli si addice. Tra il malcelato nervosismo scaricato contro il cronista "villano e spettinato" e il malmostoso vittimismo riversato contro la "sinistra antidemocratica", lui stesso deve ammettere che "i cittadini sono stanchi" di queste diatribe. È un altro modo per riconoscere in pubblico ciò che ammette in privato: i sondaggi vanno male. Spera nel controricorso al Consiglio di Stato, ma annuncia comunque che il Pdl è pronto fin d'ora a "gettare il cuore oltre l'ostacolo", e a tuffarsi armi e bagagli nella contesa sulle regionali. Di più: con un annuncio da capo fazione, più che da capo di governo, chiama il suo popolo in piazza per il prossimo 20 marzo. In questi slanci estremi e prossimi all'arditismo, tipici dell'uomo di Arcore che non sa essere uomo di Stato, si coglie il tentativo di rispondere all'appello formulato a più voci sulla stampa "cognata": quello di lasciar perdere i cavilli della procedura e di rimettersi in sella ai cavalli della politica.

È una scelta obbligata, ma gravemente tardiva. Comunque vada il voto del 28 marzo, il presidente del Consiglio che abbiamo visto ieri non appare più in grado (posto che lo sia mai stato) di riprendere il cammino delle riforme necessarie, e di riportare il Paese su un sentiero di crescita economica, di equità fiscale e di modernizzazione sociale. L'intera politica berlusconiana, ormai, si distribuisce e si esaurisce in pochi, nevrili sussulti emergenziali: esibizioni strumentali su urgenze di scala nazionale (i rifiuti, il terremoto) e forzature parlamentari su esigenze di tipo personale (processo breve, legittimo impedimento). Per il resto, da mesi l'azione di governo è svilita, svuotata e votata alla pura sopravvivenza. Immaginare altri tre anni così, per un Paese sfibrato come l'Italia, fa venire i brividi. Ha detto bene Bersani, due giorni fa, all'assemblea dei radicali: Berlusconi è ancora troppo forte per essere finito, ma è ormai troppo sfinito per essere forte. Giustissimo. Ci vorrebbe un'alternativa seria e credibile a questa rovinosa legislatura di galleggiamento. Toccherebbe al Pd costruirla, se solo ne fosse capace.



mercoledì 10 marzo 2010

Per non dimenticare

E' un po' che non scrivo niente sul blog , il disgusto per il pagliaccio e la sua corte è talmente grande che a volte è più conveniente cercare di non pensarci ma quello che sta succedendo in questi giorni con il gran casino delle liste Polverini e Formigoni non deve in nessun modo essere dimenticato.
Ormai siamo talmente abituati al peggio da considerarlo parte del paesaggio ma temo che questi giorni segneranno un punto di non ritorno dal baratro verso cui stiamo precipitando.
Un governo che interviene nottetempo con un decreto che nelle intenzioni doveva riammettere alle elezioni delle liste irregolari non è assolutamente normale e tantomeno accettabile.
Le incredibili ballle che il pagliaccio ha raccontato oggi al suo popolino , "ci hanno impedito di presentare le liste, la colpa è dei giudici e dei comunisti" non possono passare inosservate e non possono essere taciute.
Il fatto che i suoi telegiornali le prendano supinamente per buone senza spiegare come sono andate le cose è il sintomo più evidente di un regime in disfacimento continuo .
L'italia è sempre di più la barzelletta d'occidente, basta dare un'occhiata alla rassegna stampa internazionale per rendersene conto  e fugare ogni dubbio.
Non so come andranno a finire le elezioni, oggi mi è capitato di parlare con un elettore leghista il quale si è detto schifato da quello che ha fatto Berlusconi, ma non credo che tutto questo gli impedirà di votare ancora per la Lega sua alleata .
Con tutte le televisioni in mano sua non sarà troppo difficile far passare le sua menzogne per verità e l'italiano medio non è in grado di rendersi conto che lo stanno prendendo in giro per l'ennesima volta.
L'idea che mi sono fatto io è che tutto questo caos sia stato creato ad arte, mi è difficile credere che le liste siano state presentate in ritardo per un disguido e che il governo non si sia reso conto che il decreto legge non avrebbe potuto riammettere la lista del Pdl nel Lazio.
Mi sembra più probabile che lo abbiano fatto apposta per sovraeccitare gli animi , per poter gridare al complotto comunista e giustizialista e per crearsi un alibi.
La repubblica di Weimar è agli sgoccioli , quello che verrà dopo lo scopriremo nei prossimi mesi.

sabato 20 febbraio 2010

Visti da Fuori

The Independent: altro che veline, i veri guai del premier si chiamano Bertolaso



Ronald Reagan si era guadagnato il nomignolo di presidente “Teflon”, ma la capacità di Berlusconi di scrollarsi di dosso le disgrazie fa impallidire la metafora dedicata al presidente americano. Dieci mesi fa, mentre mi preparavo a partire da Roma, Berlusconi sembrava in pieno declino. A metterlo all’angolo era stata la moglie Veronica: lo scorso aprile l’annuncio che intendeva divorziare sembrò aver spezzato l’incantesimo che aveva ipnotizzato il Paese per anni. D’improvviso si ebbe l’impressione che la gente cominciasse a vederlo per quello che era. I commenti di Veronica – una donna che gli era stata stoicamente accanto per 30 anni - sulla sua abitudine di frequentare minorenni, la sua condanna del “ciarpame” – le showgirl prosperose – che voleva candidare alle elezioni europee, il suo accenno criptico secondo cui «mio marito non sta bene», gettarono una luce nuova e sinistra su Berlusconi. Sarà pure super-ricco, brillante, pieno di energia, carismatico – ma che schifo! Con che personaggio squallido siamo alle prese! E a quali orrori alludeva la frase di Veronica «non sta bene»? Di quali sfoghi di megalomania, sadismo o psicosi sarà stata al corrente la sciagurata Veronica?

Sono tornato in Italia sei mesi dopo e tutto era cambiato: il Vaticano in ambasce per lo scandalo Boffo, Veronica costretta alla difensiva con Berlusconi che minacciava di darle lo sfratto e un gran parlare di Berlusconi nei panni della vittima cui si voleva togliere il potere a causa delle sue birichinate sessuali.

Ora si stanno nuovamente accumulando brutte notizie per Berlusconi – alla vigilia delle regionali, come egli stesso sottolinea. L’accusa di aver corrotto David Mills inducendolo a mentire ai giudici sulle sue società offshore e sui fondi neri sarà discussa la settimana prossima dinanzi a due tribunali e Berlusconi ha dichiarato che sarà presente al processo quando verrà ripreso a Milano, anche se non ci scommetterei. Nel frattempo sono arrivati guai seri da un’altra direzione.

Guido Bertolaso è stata la grande scoperta di Berlusconi dopo la vittoria elettorale del 2008. Personaggio vigoroso, riflessivo, perennemente accigliato, Bertolaso, capo della Protezione Civile, incarnava alla perfezione la promessa del primo ministro di non farsi intralciare dalle pastoie della burocrazia e di affrontare i problemi più difficili del Paese.
Accanto a Berlusconi a Napoli due anni fa, subito dopo le elezioni, c’era Bertolaso pronto a promettere di far sparire la montagna di rifiuti che soffocava la città – e mantenne la promessa. È stato Bertolaso lo scorso aprile ad accompagnare il primo ministro ripetute volte a L’Aquila dopo il terremoto promettendo alle vittime del disastro una casa in tempi brevissimi e la ricostruzione della città in tempi record e senza cedimenti alla corruzione.

Berlusconi ha venduto Bertolaso all’opinione pubblica descrivendolo come estremamente onesto, lavoratore e affidabile, un puritano tutto d’un pezzo in grado di essere complementare rispetto al più estroso Cavaliere. E grazie al favore del primo ministro, la Protezione Civile è diventata l’istituzione più rispettata e privilegiata del panorama nazionale tanto che la maggioranza ha presentato un disegno di legge per privatizzarla.
Il signor “Perfettino”, però, non era come sembrava. Dopo aver intercettato il telefono di Bertolaso e di un certo numero di imprenditori amici suoi, i magistrati di Firenze hanno dichiarato che in base alle registrazioni – le cui trascrizioni hanno riempito le pagine dei quotidiani italiani – si è portati a ritenere che Bertolaso sia stato da sempre in combutta con imprenditori di dubbia moralità che gonfiavano i costi in ragione di decine di milioni di euro e compensavano l’uomo di Berlusconi per la sua discrezione mettendo a sua disposizione una prostituta brasiliana “di alta classe” di nome Monica.

Il progetto di privatizzazione della Protezione Civile diretta da Bertolaso è stato bloccato e lo stesso Bertolaso è sull’orlo del baratro. Ma il suo protettore non sembra aver patito danni particolari a causa dei guai del suo fidato luogotenente. Dall’opposizione nessuno chiede che il primo ministro assumendosi le sue responsabilità spieghi come e perché il suo protetto ha fatto questa rapida e strabiliante carriera.

Berlusconi ha incarnato lo Stato italiano per quasi tutti gli ultimi 15 anni – ma secondo Curzio Maltese è stato in realtà il tenace nemico dello Stato tacitamente impegnato ad aiutare chi si arricchiva o chi voleva arricchirsi evitando di pagare le tasse. È questa una convincente spiegazione della sua popolarità, una popolarità che resiste ai suoi infortuni politici e al deplorevole stato dell’economia italiana. Ogni qual volta viene alla luce una accusa di illegalità, per gli evasori fiscali altro non è che la conferma che Berlusconi è il loro uomo. Ogni qual volta l’economia fa segnare un arretramento, quanti sono riusciti a non farsi beccare dalla Guardia di Finanza ringraziano la loro buona stella per il fatto che Berlusconi sta dalla loro parte.

Oggi l’Italia sta divorando se stessa. Ricchezza privata e miseria pubblica; continui tagli di spesa che colpiscono senza pietà scuole, università, ospedali e musei mentre le gerontocrazie chiuse nel loro bunker non vengono nemmeno sfiorate; un numero sempre crescente di giovani intraprendenti e di talento che scappano all’estero per studiare e lavorare mentre i loro coetanei meno avventurosi faticano a sbarcare il lunario con lavori insicuri e miseramente retribuiti; una criminalità organizzata che non fa che estendere la sua sfera di influenza; paura e odio per gli immigranti, sentimenti cinicamente incoraggiati dai politici del governo: questa è la deprimente eredità di Berlusconi.

Tra gli altri “Grandi Eventi” affidati a Guido Bertolaso, braccio destro di Berlusconi nella Protezione Civile, c’erano le stravaganze previste per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Forse si farebbe meglio ad annullare tutto. Uno dei padri fondatori dell’Italia ebbe ad osservare: «abbiamo fatto l’Italia, ora bisogna fare gli italiani». Si era appena a metà dell’opera quando Berlusconi ha contribuito a disfare buona parte del tessuto dell’identità nazionale. Se essere cittadini significa in misura considerevole dare a Cesare quel che è di Cesare, non è stato solamente l’erario a patire le conseguenze della generosità di Silvio nei confronti degli evasori. È stato mortificato anche lo spirito della nazione.
© The Independent

mercoledì 17 febbraio 2010

L’Italia di Berlusconi, un paese sulla via dell’imbarbarimento

Libération


L’Italia è un paese normale? L’anomalia che rappresenta Berlusconi – il fatto che concentri su di sé il potere politico e mediatico, che utilizzi il Parlamento come “fabbrica” per produrre leggi atte a salvarlo dai tribunali, che getti fango sulla magistratura, che critichi senza sosta la Costituzione, che riduca la politica in barzellette e dichiarazioni istrioniche, che si trascini dietro i resti dei suoi scandali sessuali – indurrebbe a rispondere di no.

Ma c’è di più. Ciò che colpisce, ad esempio, è che dopo essere stata giudicata come laboratorio all’avanguardia d’Europa, l’Italia, oggi, regredisce ad uno stato “provinciale”. La sua stessa classe politica è provinciale, viaggia poco, raramente parla inglese. Il ruolo centrale ancora attribuito alla televisione rimane [tipico degli, N.d.T.] “anni ‘80″. Si va “in” televisione tutti in ghingheri, tutto è intrattenimento, pubblicità, talk show dominati dalle urla, sederi e pizzi, le trasmissioni d’inchiesta sono rarissime, quelle, di approfondimento, alle quali parteciperebbero filosofi, storici, sociologhi, psicanalisti o scienziati praticamente non esistono.

Una sera su due, su Rai Uno, condotto da un inamovibile giornalista sdolcinato e servile, c’è Porta a porta, una sorta di messa alla quale partecipano sempre gli stessi politici, e che non è lontano dal rimpiazzare Camera e Senato. Molto raramente, nel pubblico delle trasmissioni politiche, sportive o di varietà, si vede un nero o un mulatto.

Nuova provincia, L’Italia perde punti un po’ in tutte le classifiche, che riguardino la scuola, la sanità, l’ecologia, i diritti, la cultura (budget massacrato) e persino la tecnologia. Ancora recentemente, dopo Bob Geldof, che rimproverava al governo di far quadrare i conti a scapito dei poveri, è Bill Gates in persona ad essere intervenuto per accusare Berlusconi (”I ricchi spendono molti più soldi per risolvere i propri problemi personali, come la calvizie, di quanti ne spendano per combattere la malaria”) di dimezzare gli aiuti pubblici allo sviluppo promessi davanti alle telvisioni, facendo dell’Italia “il paese europeo più avaro”.

Stessa regressione a livello informatico. Sapete che, a causa del decreto Pisanu, per la connessione senza fili ad internet nei luoghi pubblici, un aeroporto o un internet-caffè, è necessaria la carta d’identità? Che gli stanziamenti per lo sviluppo della banda larga sono bloccati dal 2008, che nei ranghi della maggioranza, si levano voci che chiedono il controllo dei social network come Facebook? Che si firmano petizioni ovunque, chiedendo al governo di “emancipare internet” da norme legislative che penalizzano il futuro del Paese, il quale, per l’accesso alla rete, è già “arretrato e sotto-sviluppato rispetto al resto dell’Europa”? È vero che Berlusconi è un uomo della televisione vecchio stile, per il quale Internet è pericoloso, in quanto “fluido”, incontrollabile – al di fuori del suo impero.

Ma è a livello della società che la regressione è più marcata. Berlusconi mobilita talmente l’attenzione che all’estero non si capisce molto bene che l’effetto maggiore è piuttosto una deriva della società verso le posizioni della Lega Nord, deriva che porta con sè un degrado morale e civico, ossia un “imbarbarimento” dell’Italia. La Lega Nord di Umberto Bossi – il cui organo, La Padania, scriveva: “Quando ci libererete dai negri, dalle puttane, dai ladri extracomunitari, dagli stupratori color nocciola e dagli zingari che infestano le nostre case, le nostre spiagge, le nostre vite, le nostre menti? Buttateli fuori, questi maledetti!” -, alleata fondamentale del partito di Berlusconi, ha fatto eleggere i suoi uomini, di cui molti sono ministri, in un numero considerevole di amministrazioni, ha diffuso ovunque i suoi valori ed il suo linguaggio, ha sdoganato e reso normale l’atteggiamento xenofobo.

Ci vorrebbe una biblioteca vaticana per enumerare i discorsi d’incitazione all’odio razziale, [discorsi] di omofobia, di “anti-meridionalismo”, pronunciati dai suoi esponenti. Che si guardino su YouTube dei video del signor Mario Borghezio, o che si ascoltino alcuni estratti delle trasmissioni di Radio Padania: in nessun paese verrebbe tollerato un tale scatenarsi d’odio, e di stupidità, xenofobo! Si difendono i valori cristiani, la famiglia, il lavoro, si vuole la croce sul tricolore ed il crocefisso nelle scuole, ma il ministro dell’Istruzione prevede d’imporre un limite agli stranieri nelle classi, il ministro dell’Interno ha voluto istituire ronde di sorveglianza (fiasco colossale, fortunatamente, nessuno si è presentato per costituirle), ha stabilito che il solo fatto di essere un candestino costituisce reato.

Una piccola star della politica, capo d’impresa alla destra dell’estrema destra, indicata quale futuro sotto-segretario al Welfare in quanto ben voluta da Berlusconi (a proposito del quale aveva detto: “è ossessionato da me, tanto non gliela do “, o “a lui piacciono solo le donne in posizione orizzontale”), si è distinta finemente dichiarando che “Maometto era un pedofilo”. Un fanatico (un eletto) ci teneva a disinfettare i treni presi dai Nigeriani, un altro (anch’egli eletto) voleva “eliminare tutti i bambini (rom) che derubano gli anziani” e, interrotto dagli applausi del “popolo della Padania”, invitava i musulmani a “pisciare nelle loro moschee”.

Altri ancora hanno appiccato incendi a baracche d’immigrati, proposto vetture dei treni o linee autobus separate per italiani e stranieri…

Discriminazioni di ogni genere, aggressioni, spedizioni punitive [di matrice etnica, N.d.T.], a volte crimini, strisconi e grida razziste nei raduni della Lega, vera e propria caccia all’uomo nero, con bastoni e fucili, che evoca, per la stampa internazionale, il Ku Klux Klan, e che, al ministro dell’Interno, fa dire: “Noi abbiamo dimostrato troppa tolleranza verso gli immigrati.”

Ciò suscita poche reazioni in Europa. Ed è senza dubbio in questo senso che l’Italia è la più “provincializzata”: la si guarda da lontano e dall’alto, amandola al contempo per la sua cucina, la sua arte ed i suoi paesaggi, non la si prende troppo sul serio, né nel bene, né nel male. Si provi ad immaginare cosa succederebbe nelle strade di Londra, Parigi, Berlino o altrove se la Lega Nord fosse un partito, diciamo, austriaco, o francese, e se Umberto Bossi si chiamasse Jörg Haider!



martedì 26 gennaio 2010

L’imperatore che governa con il telecomando

[Dagens Nyheter - Svezia]


Ha il controllo di cinque canali tivù, imprese edili, giornali, la squadra di calcio AC Milan e oltretutto è il capo del governo italiano. Le accuse di corruzione e le ragazze escort, gli scandali vanno e vengono ma Silvio Berlusconi sembra rimanere, e governa il suo paese anche e soprattutto attraverso la tivù.

Quando andai a vivere in Italia per la prima volta nel 1982, ricordo lo shock che provai vedendo che c’erano centinaia di canali televisivi. La pubblica RAI ne aveva già tre, mentre Silvio Berlusconi solo due – Canale 5 e Italia 1 – avremmo dovuto aspettare fino al 1984 prima che si accaparrasse Rete 4. Un enorme frastorno mediatico per un giovane studentello malnutrito come me, abituato alle repliche della SVT, ripetute fino alla nausea, e all’assenza della pubblicità.
Facevo uno zapping selvaggio con il telecomando e guardavo un film dietro l’altro. Su di un canale trovavo signore truccatissime che facevano l’oroscopo e i tarocchi a spettatori che telefonavano, e nel seguente mi imbattevo in casalinghe di mezz’età che a metà pomeriggio facevano lo spogliarello.

Quando i miei genitori una volta vennero a trovarmi, il padrone di casa diede a mio padre il telecomando, spiegando che come ospite d’onore poteva scegliere il canale che avremmo guardato mentre cenavamo. Un gesto di grande benevolenza e il massimo dell’ospitalità per Vincenzo Casagrande, un tappezziere 60enne la cui televisione, così come quella della maggioranza degli italiani, era sempre accesa.

In Italia, in nove case su dieci la televisione è posizionata in modo tale da poterla vedere dal tavolo da pranzo. Alla fine, se non si ha il buon senso di spegnerla, l’indottrinamento diventa totale. I tanti spot e i giochi a premi si susseguono uno dopo l’altro. E se i conduttori sono sempre più anziani e stempiati, le signorine dei programmi hanno sempre meno vestiti addosso. Saltano, si dimenano, ballano e soprattutto hanno il compito di invogliare lo spettatore a non cambiare canale quando ad esempio arriva la pubblicità. Vengono chiamate “veline” – difficile da tradurre, ma all’ultimo festival di Venezia io e altri colleghi siamo stati d’accordo sul fatto che l’unica parola svedese corretta sia kuttersmycke (n.d.t. ragazza “da esibire”).

Durante i miei anni in Italia, Berlusconi ha cambiato tanto la scena politica quanto il mondo della televisione. Egli è prima di tutto un piazzista. Sui suoi canali commerciali, allo stesso modo in cui ha venduto case, pannoloni e olio di oliva, vende adesso politica con successo. La parola successo si basa sulla sua attuale maggioranza parlamentare da record, anche se in effetti ha pesantemente manipolato le leggi elettorali che gli hanno dato premi di maggioranza spropositati. L’uomo che ha costruito il suo impero televisivo è lo stesso che ha costruito il suo partito, Forza Italia, chiamato adesso Partito della Libertà (come se l’Italia non fosse un paese libero?). Si chiama Marcello Dell’Utri, ha 68 anni ed è stato rieletto senatore nel 2008, nonostante sia già stato condannato a nove anni di carcere per collusione con la mafia siciliana. Un dettaglio insignificante che pesa quanto una piuma in una campagna elettorale italiana.

Da 15 anni la televisione e la politica hanno il medesimo linguaggio autocratico e spesso anche la stessa obsoleta concezione della donna: ragazze prosperose che ricordano le pin-up degli anni ’60, di cui l’attuale ministro delle pari opportunità Mara Carfagna, 34 anni e un passato da modella, rappresenta uno degli elementi più sobri.

Lo scrittore ed ex-professore di lingue slave all’università di Roma Predrag Matvejevic, che adesso vive a Zagabria, ha diverse volte in scritti e dibattiti chiamato l’Italia di oggi “democratura”. E non è difficile vedere come si sta svuotando la democrazia italiana della sua linfa. Il parlamento ha ormai come unico compito quello di far passare decreti che entrano immediatamente in vigore. Questioni importanti, come il piano finanziario del governo, vengono decise con un frettoloso voto di fiducia. Il dibattito parlamentare è stato troncato o ridotto al minimo per lasciare spazio a decisioni rapide. Un fatto che ha spinto persino Gianfranco Fini, alleato fraterno e presidente della camera, a stigmatizzare il comportamento del primo ministro definito “atteggiamento da Cesare”.

Uno dei nuovi arrivati al parlamento dominato da Berlusconi è Gianrico Carofiglio. Alle spalle, una lunga carriera da giudice e anche diversi libri, tra cui gialli che spesso si svolgono nella sua Bari, nell’Italia del sud. Da un anno e mezzo è al senato con i Democratici dell’opposizione.
- Un’esperienza stimolante, anche se dal punto di vista democratico la sensazione è piuttosto cupa – mi dice quando lo incontro nel suo ufficio proprio dietro il senato.
- Oggi il parlamento è un’istituzione fortemente indebolita. Sul posto si ha la netta sensazione che il processo decisionale sia stato trasferito altrove.

Non si tratta solo dei molti decreti del governo. La maggior parte delle proposte di legge vengono dal governo e non da singoli parlamentari. Carofiglio dà senza esitazione la colpa di ciò a Berlusconi e ai suoi alleati, il partito anti-immigrati Lega Nord.
- Sono due partiti fortemente populistici cui le regole parlamentari non interessano granché. Il loro ragionamento, in parole povere, è “se le regole ci vanno bene le rispettiamo, sennò ce ne freghiamo o le cambiamo con ogni strumento a disposizione”.

Carofiglio è un degli 80 senatori che hanno firmato una mozione in difesa della costituzione del paese. Spiega che la considera minacciata, non da ultimo per via di tutte le leggi su misura che il governo ha presentato. La più importante di esse, quella che avrebbe dato a Berlusconi l’immunità, è stata bocciata quest’autunno dalla corte costituzionale. Il fatto che l’avvocato difensore di Berlusconi Niccolò Ghedini sia anche parlamentare e oltretutto sia presente in commissione di giustizia costituisce secondo Carofiglio una situazione senza senso. “Un giorno è in tribunale e difende il suo cliente, per poi trovarsi il giorno dopo in parlamento ad elaborare leggi che possano fermare i processi.” L’ultima proposta di Ghedini di porre un limite massimo di sei anni per ogni processo (dalla prima istanza fino al Tribunale superiore) è come cambiare le regole del gioco nel bel mezzo della partita. Per Carofiglio è come essere in vantaggio 1 a 0 a fine primo tempo e fischiare subito la fine per non rischiare di perdere nel secondo tempo.

- Il fatto che Berlusconi sia il primo ad infrangere le regole a tutti i livelli è qualcosa di molto pericoloso che avvelena la vita pubblica del nostro paese. Quando chi ha il diritto di correggerlo (ad esempio la corte costituzionale) lo fa, il primo ministro sommerge tale istituzione di odio e disprezzo.
- La democrazia sta male e potrebbe anche peggiorare. Ci vorrà molto tempo per curare le ferite.
Alcuni mesi fa, Carofiglio ha scritto su La Repubblica a proposito della capacità di provare vergogna. O, per meglio dire, dell’incapacità degli italiani di provare vergogna.
- Se provo dolore, capisco che c’è qualcosa che non va e cerco di curarlo. Se mi vergogno, mi rendo conto di aver fatto qualcosa di sbagliato e forse di aver contravvenuto ad accordi sociali della collettività. Ma se perdo la capacità di provare vergogna, allora la mia vergogna si tramuta in superbia e presunzione.

- Questo potrebbe essere l’inizio di malattie gravi che verranno poi scoperte troppo tardi, dice Carofiglio riferendosi a Berlusconi che negli ultimi anni ha frequentato sia minorenni che prostitute.
Al momento dell’intervista, il quarto romanzo di Carofiglio sull’avvocato Guido Guerrieri non era ancora stato pubblicato. ”Le perfezioni provvisorie” è uscito solo giovedì scorso. Ma Carofiglio nega che la sua nuova vita da parlamentare abbia ispirato questo giallo. Non è il Bo Balderson del parlamento italiano, insomma.
- La storia l’avevo pronta già all’inizio del 2009, ma mentre la completavo e riscrivevo durante l’estate ecco che scoppia un intricato caso di droga e prostituzione. Uno dei protagonisti del libro è Nadia, un’ex prostituta di Bari, che del resto era già presente in uno dei miei libri precedenti.

Per sicurezza, Carofiglio ha scelto di provvedere il libro di una precisazione in cui spiega che tutto è finzione, dato che la storia sembra avere parecchie cose in comune con le indagini dell’estate scorsa su droga e prostituzione, che coinvolgevano anche Berlusconi per via dei suoi contatti con Gianpaolo Tarantini. Quest’ultimo è l’uomo che ha presentato a Berlusconi la prostituta Patrizia D’Addario, la quale non solo ha passato la notte nella residenza istituzionale del governo, ma ha anche registrato Berlusconi che diceva: “Aspettami nel lettone di Putin” – e ovviamente è di Bari!
Il conflitto di interessi tra l’imprenditore e il politico Silvio Berlusconi è il problema principale dell’Italia di oggi. Un problema che però non viene mai discusso. Il conflitto non è mai stato risolto e diversi governi di sinistra hanno lasciato la questione da parte, per paura di perdere voti e di essere tacciati per sempre da Berlusconi di essere comunisti.

Per sicurezza, Carofiglio ha scelto di provvedere il libro di una precisazione in cui spiega che tutto è finzione, dato che la storia sembra avere parecchie cose in comune con le indagini dell’estate scorsa su droga e prostituzione, che coinvolgevano anche Berlusconi per via dei suoi contatti con Gianpaolo Tarantini. Quest’ultimo è l’uomo che ha presentato a Berlusconi la prostituta Patrizia D’Addario, la quale non solo ha passato la notte nella residenza istituzionale del governo, ma ha anche registrato Berlusconi che diceva: “Aspettami nel lettone di Putin” – e ovviamente è di Bari!
Il conflitto di interessi tra l’imprenditore e il politico Silvio Berlusconi è il problema principale dell’Italia di oggi. Un problema che però non viene mai discusso. Il conflitto non è mai stato risolto e diversi governi di sinistra hanno lasciato la questione da parte, per paura di perdere voti e di essere tacciati per sempre da Berlusconi di essere comunisti.

Berlusconi guarda ai suoi elettori come se fossero un pubblico televisivo, e in effetti lo sono in larga misura. Nei 16 anni di politica attiva di Berlusconi, è cresciuta una nuova generazione che adesso ha diritto di voto.
- Non hanno la più pallida idea di che cosa sia la divisione dei poteri e il conflitto di interessi. Continuo ad arrabbiarmi ogni giorno, ma ormai sono rimasto quasi solo io, dice il giornalista televisivo Santo Della Volpe, che ha lavorato 28 anni al TG 3 del terzo canale pubblico della RAI. Uno dei pochi programmi di informazione che non sono stati trasformati in megafoni del governo.

- Io difendo il servizio pubblico. Noi di RAI 3 siamo sempre stati una voce indipendente e cerchiamo di continuare ad esserlo.
Berlusconi controlla cinque canali tivù nazionali, principalmente i suoi tre: Rete 4, Canale 5 e Italia 1. La sua ampia maggioranza parlamentare fa sì che possa esercitare anche un’influenza forte e diretta sia sulla dirigenza della RAI che sulla nomina dei direttori delle reti e dei telegiornali. Ne sono stati cambiati diversi durante il 2009. Una delle scelte più discusse è stata quella di Augusto Minzolini come nuovo direttore del TG 1, il telegiornale più importante. Berlusconi ha insomma piazzato un altro dei suoi giornalisti-lacchè. Minzolini appare sullo schermo solo per esporre i propri commenti personali. In uno di essi, Minzolini ha dichiarato che le affermazioni sulle frequentazioni di Berlusconi con prostitute erano “solo gossip”, ragion per cui il TG 1 non ne avrebbe parlato nei suoi servizi.

Le epurazioni di Berlusconi sono passate anche da RAI 3. Cambio di direttore generale e di quello del TG. Dopo una lunga battaglia, la conduttrice della redazione Bianca Berlinguer è stata nominata direttrice. È determinata e indipendente, e da diversi decenni dimostra che sta in RAI per meriti propri e che non è soltanto la figlia maggiore dello storico leader del partito comunista italiano, Enrico Berlinguer.
La scelta non è certamente stata una correzione verso destra, ma comunque un modo per Berlusconi di dimostrare il suo potere e la sua influenza su di un canale che egli considera un avversario politico.

Tutte le apparizioni di Berlusconi sono accuratamente adattate alle esigenze televisive. Dopo l’attacco di dicembre, la sua popolarità è cresciuta. Il 13 dicembre un uomo gli ha lanciato in faccia un modellino del duomo di Milano, causandogli la rottura del naso e di alcuni denti. Le immagini di un sanguinante primo ministro hanno poi fatto il giro del mondo.
- Qualcosa dev’essere andato storto. Berlusconi sembra aver scelto di fare la parte del martire. La polizia è andata via con il primo ministro solo dopo che questi era uscito di nuovo dalla macchina e aveva mostrato a tutto il mondo il suo volto sanguinante, dice Santo Della Volpe.

Il regista Marco Tullio Giordana ha una relazione semplice ed incontroversa con la tivù. Non la guarda. Nella sua casa di campagna, dove scrive le sue sceneggiature, la tivù non c’è. Eppure ha arricchito la televisione italiana, con il magnifico affresco “La meglio gioventù”, in cui attraverso una grande famiglia si rappresentano 40 anni di dopoguerra italiano.

Prima parliamo del suo nuovo progetto mastodontico: “Piazza Fontana”. Un film su ciò che fu l’inizio degli anni del terrorismo italiano, cioè lo scoppio, nel 1969, di una bomba presso la banca dell’agricoltura nel centro di Milano. Oggi si sa che quell’azione fu manovrata da gruppi neofascisti con il probabile coinvolgimento dei servizi segreti italiani. Dopo ben sette processi nessuno è ancora stato condannato. Il materiale raccolto è talmente ampio che, oltre al film, Giordana pensa di fare anche una serie di programmi televisivi che analizzeranno in modo critico il materiale stesso.

Un po’ controvoglia, Giordana accetta di passare alla situazione politica attuale.
- È imbarazzante. Prima di tutto io sono un patriota. Non c’è un solo festival del cinema cui vada senza ricevere domande su Berlusconi. Normalmente evito di parlare di lui. Ho la sensazione che lui ottenga le royalties ogni volta che menziono il suo nome e io non voglio contribuire oltre.
La domanda che più spesso gli viene posta è com’è possibile che siano in così tanti a votare per Berlusconi.
- I voti in una democrazia sono sempre il risultato di una sorta di incantamento e seduzione. Non è che voti per una persona perché ha presentato un programma che tu hai studiato e approfondito.

Marco Tullio Giordana racconta della profonda impressione avuta quando Berlusconi, al momento di entrare in politica, fece stampare e distribuire gratis quel delizioso e allegro libro: “Una storia italiana”, che mostrava la sua vita e il suo successo.
- Si mise in mostra di fronte agli elettori. Il messaggio era evidente: “Guarda cosa ho fatto, come ho creato la mia impresa e un sacco di posti di lavoro. Guarda come sono simpatico. Il mio successo non mi ha fatto diventare uno snob come la famiglia Agnelli. Mi piacerebbe giocare a carte con voi. Mi piacciono le belle donne, proprio come a voi. Sono uno di voi.”

In 16 anni, l’opposizione non è mai riuscita a rappresentare un’alternativa credibile a Berlusconi. Romano Prodi lo ha fronteggiato due volte uscendo vincitore in entrambe le occasioni. Ma in entrambe le occasioni, gli alleati di Prodi non l’hanno lasciato governare, continua Giordana che è fortemente deluso dalla politica.
- Oggi come oggi è molto difficile simpatizzare con la sinistra.
Giordana non è mai stato iscritto a un partito politico ed è tra quelli che pensano che gli artisti debbano rimanere fuori dalla politica.
- Era più facile quando la sinistra era “condannata” ad un’eterna opposizione e poteva rivolgere senza paura le sue critiche anche contro la propria concezione ideologica, così come fece Pasolini. Per me, lui rimane l’esempio di come deve essere l’artista: libero e indipendente.

All’ultima domanda, se la democrazia in Italia è minacciata, Giordana risponde senza esitare di sì. È un processo che va avanti da molto tempo.
- Molto prima che la democrazia cominciasse a dare segni di profondo cedimento, il buon gusto e il buon giudizio di questo paese sono andati persi. Il benessere e la felicità degli italiani si sono sempre basati su un tenore di vita modesto. Non erano mai frustrati, nemmeno dopo la guerra con tutta quella povertà. Perché sapevano di vivere in un paese meraviglioso, circondati da un’incredibile bellezza e che nella loro chiesa c’era un dipinto di Caravaggio, Giorgione o Duccio di Boninsegna. Allora, quando erano poveri, non avevano complessi di inferiorità. Ce li hanno invece oggi, ricchi e frustrati.

- La mia risposta dev’essere: per un popolo che oggi è così infelice, che ruolo e che significato ha la democrazia? Nessuno!
- Ricordiamoci che in Italia solo una minoranza combatté per la democrazia. È chiaro che non viviamo in una dittatura, ma sono in pochi oggi a vedere il valore della democrazia.



martedì 19 gennaio 2010

Little Italy

Questo articolo letto sull'Unità fotografa perfettamente lo squallore totale in cui è sprofondato questo ridicolo paese.

Il pagliaccio preferito dagli italiani ormai arriva anche ad usare i bambini dell'Aquila per i suoi viscidi disegni propagandistici, la cosa che però fa più tristezza sono gli adulti che fanno finta di non capire quello che sta succedendo da ormai troppo tempo.

Per quanto tempo ancora dovrò vergognarmi di essere italiano ?


Berlusconi all'Aquila: "Bimbi vi piaccio?"

Tabelline, piccoli quesiti di matematica, ma anche la domanda se Silvio Berlusconi sia un buon presidente del Consiglio. Il premier visita la scuola primaria  "Mariele Ventre", un prefabbricato costruito per ospitare i bambini dell'Aquila dopo il terremoto, e fa un piccolo show con gli alunni.

Prima entra in qualche classe, chiede ai bambini se sono bravi, se studiano, se c'è qualcuno che tifa per il Milan. Poi, in sala mensa, c'è anche un microfono e il presidente del Consiglio inizia a scherzare con i bambini: «Vediamo se nella nuova scuola avete imparato le tabelline», dice ridendo. «Qual è la capitale d'Italia», chiede ancora ricevendo la risposta in coro dai bambini. E poi chiede: «Pensate che Silvio Berlusconi sia un buon presidente del Consiglio?». I bambini in coro rispondono «sì» e allora il premier replica: «Allora daremo il voto anche ai bambini sopra i cinque anni...».

Berlusconi affida poi ai bambini un messaggio per i loro genitori: «Dite a mamma e papà che Berlusconi è venuto qui, che manderà tanti bei libri nuovi per la vostra scuola, duemila bastano? E fate a loro tanti auguri affinchè i sogni che portano nel cuore per il vostro futuro si avverino. Ma perchè sia così - aggiunge - dovete studiare».

Berlusconi chiede poi ai bambini se ci sia qualcuno che vuole fare il medico, l'avvocato, l'ingegnere e poi fa anche una domanda «rischiosa: qualcuno di voi vuole fare il politico?». I sì sono molti e allora il premier dà un «consiglio: cercate prima di diventare medici, avvocati e ingegneri e poi, magari interessatevi alle cose che servono per la vostra città e per il vostro paese». Berlusconi continua poi con gli scherzi: «Quante dita ha una mano?», chiede ai bambini che rispondono cinque. «Quante dita hanno due mani?», e la risposta è dieci. E poi «una domanda più difficile: quante dita hanno dieci mani». I bambini in coro rispondono "cento" e Berlusconi dice: «Bravi, rispondono tutti cinquanta, voi invece avete dato subito la risposta giusta», dice Berlusconi lasciando il dubbio tra i giornalisti se scherzasse o meno.

All'uscita dalla scuola ci sono ancora abitanti dell'Aquila che vogliono salutare Berlusconi. Qualcuno gli chiede: «Venga a trovarci ancora». Il premier risponde: «Ormai non ce n'è bisogno, siete a posto», ma qualcuno risponde: «Mica tanto...». Ci sono anche dei giovani sostenitori di Berlusconi, con indosso la maglietta "L'Aquila con Silvio". Il premier si avvicina, gli viene consegnata una maglietta e i giovani lo ringraziano così: «Grazie presidente, ci ha garantito un terremoto di lusso».



giovedì 24 dicembre 2009

Visti Da Fuori

Dagbladet Information


Le conseguenze dell’aggressione a Berlusconi sono imprevedibili. Prima dell’incidente di domenica scorsa a Milano, Berlusconi sembrava un uomo finito. Il malcontento nelle file del PDL per le costanti accuse da parte del presidente contro i giudici e contro altre istituzioni dello Stato era notevole. Il presidente della Camera dei Deputati. L’ex-missino Gianfranco Fini, era sull’orlo di raggruppare le proprie truppe ed abbandonare il partito. Pier Ferdinando Casini, leader dei cristianodemocratici di centro UDC, aveva auspicato la formazione di un’alleanza democratica con la sinistra per frenare il tentativo del governo di modificare la Costituzione. Si prospettava quindi una maggioranza alternativa ma l’episodio di violenza potrebbe rivelarsi come un salasso rigeneratore per l’attuale maggioranza.

La forza del fascino carismatico di Berlusconi è la narrazione della ricchezza e del successo, che si accentra nel suo aspetto fisico. È un fisico che emana energia, ottimismo, temperamento, fortuna e sicurezza, ma anche odio per il nemico, disprezzo per le regole e disinteresse per le idee altrui. Per 15 anni Berlusconi ha proiettato i suoi istinti autoritari contro una sinistra ”comunista”, che esiste solo nella sua fantasia. Ha sistematicamente svuotato la democrazia italiana di contenuti, sia nelle istituzioni pubbliche che nelle teste dei cittadini.

L’odio per Berlusconi è quindi pienamente comprensibile. Erigendo il carisma a fattore determinante per la legittimazione del potere politico, Berlusconi ha oltrepassato la linea di demarcazione della democrazia: la democrazia si basa su argomenti, non su sentimenti. Ma Berlusconi ha consapevolmente accentrato l’attenzione sulla propria persona e perciò provoca reazioni come odio e amore. Che un psicolabile – per definizione non in grado di autocontrollo emotivo – commetta violenza nei confronti del presidente è una conseguenza della natura del berlusconismo. Negli attimi successivi all’aggressione, sul viso di Berlusconi era dipinto il panico, ma poi sfidando istintivamente il pericolo si è mostrato alla folla come un martire sanguinante. È proprio questo il contenuto del patto che lui ha stretto con i suoi elettori. Ma l’aggressione rivela anche l’ombra negativa del potere carismatico: la sacralizzazione del viso di Berlusconi sugli schermi TV alimenta infatti la spinta alla desacralizzazione.

Il tentativo di trasformare la desacralizzazione in martirio mostra quanto l’Italia sia distante da una normale dialettica democratica. L’opposizione e parte della stampa sono stati accusati di essere i ”mandanti morali”. Adesso Berlusconi tenterà il tutto per tutto per limitare i poteri dei giudici e del presidente. Ancora una volta ha avuto successo nel semplificare la vita politica. Ma ad un certo punto la bolla scoppierà ed il passaggio ad una nuova epoca non sarà indolore. L’avventura politica di Berlusconi cominciò nel 1992-93 con le bombe della mafia contro giudici e monumenti e può terminare con altre bombe ed un collasso economico.