martedì 30 dicembre 2008

Dwarf on the moon


[The Independent]

Era un’osservazione buttata lì alla fine di una conferenza stampa ma risuona ancora nelle nostre orecchie: Silvio Berlusconi vuole trasformare la forma di governo dell’Italia in una repubblica presidenziale, come quella francese o americana.
Proposta tutto sommato innocua, si potrebbe pensare. Oggi la figura del presidente della repubblica italiana è per lo più cerimoniale. Nessuno potrebbe sostenere che il governo italiano sia il massimo dell’ efficacia. Un comandante in capo potrebbe risollevare le sorti del paese.
Il problema è che nessuno ha dubbi sul candidato preferito di Berlusconi per l’incarico: se stesso.
Da tempo è risaputo che Berlusconi vuole terminare la sua carriera come presidente ma si dava per scontato che si sarebbe accontentato di essere una figura rappresentativa.
La proposta del “presidenzialismo” (in italiano nel testo, N.d.T.) è stata immediatamente silurata sia dagli alleati sia dagli avversari. Ma ha confermato la paura che da 15 anni attanaglia molti italiani: l’uomo che chiamano “Il Cavaliere” non sarà soddisfatto se non con il potere dittatoriale.
E la scomoda verità è che è questa la direzione in cui si sta muovendo, anche senza mettere le mani sulla costituzione. I suoi alleati nella coalizione danno molti meno problemi rispetto all’ultima volta. Il motivo, dicono, è che sono tutti sul suo libro paga. Sono i vantaggi dell’essere un miliardario al potere.
Nel frattempo l’opposizione si trova nel caos più totale, con i politici di centrosinistra di tutto il paese sotto inchiesta per casi di presunta corruzione.
Poi, nel weekend, un improvviso raggio di speranza. Forse Berlusconi preferirebbe invece passare i suoi ultimi anni in un paradiso tropicale come Bettino Craxi, il suo ultimo mentore caduto in disgrazia.
Durante una riunone di giornalisti nel suo appartamento di Roma Berlusconi ha denunciato il debole degli investigatori italiani per le intercettazioni telefoniche. “Se certe mie conversazioni dovessero essere intercettate me ne andrò all’ estero. Era davvero serio?
Un piano “lunatico”
Se lo era, potrebbe spingersi oltre e diventare il primo politico sulla luna. Una compagnia italiana, Team Italia, è in gara per il premio di 30 milioni di dollari messo in palio da Google per la prima azienda privata che riuscirà a mandare sulla luna un veicolo esplorativo e a riportarlo sulla terra. Il turismo spaziale di lusso e alberghi orbitanti sono il passo successivo. Se il Presidente del Consiglio si offrisse volontario per salire a bordo farebbe un gran favore al suo paese.
 
 La risposta zen alle catastrofi
Come comportarsi di fronte a una catastrofe? I monaci tibetani hanno un modo tutto loro. Il centro di meditazione di un importante monastero buddista vicino a Pisa è stato ridotto in cenere da un incendio in cui sono andati distrutti l’altare, testi e icone. Il lama Dagri Rinpoche ha detto semplicemente ai monaci: “Ogni grande monastero ha avuto grandi problemi”.
[Articolo originale di Peter Popham]

martedì 23 dicembre 2008

Il Grande Prestigio Internazionale

The Guardian, 23.12.08

Il playboy settantaduenne del mondo occidentale ha salvato David Beckham ed é ora intenzionato a salvare il suo paese e, come Gordon, il pianeta.

[articolo originale di David Gow ]
Gordon Brown ha salvato il mondo, Angela Merkel il suo budget federale, Jose Manuel Barroso il suo incarico per un secondo termine - e Nicolas Sarkozy ha salvato l'Europa. Ora, mentre un orribile anno di previsioni economiche ancora piú nere si avvicina per l'UE, viene avanti Silvio Berlusconi.
Ha salvato David Beckham dall'oscuritá di Los Angeles aiutandolo ad essere preso in prestito per 10 settimane dalla sua squadra di calcio, l'AC Milan - garantendogli accordi con sponsor piú remunerativi e apparizioni su molti canali TV del suo impero Mediaset. Missione compiuta, ora é il momento di salvare l'Italia e, come Gordon, il pianeta.
L'1 gennaio, il giorno in cui Sarko smetterá ufficialmente di essere presidente dell'UE, il presidente del consiglio italiano gli subentrerá e, con complessi di superioritá da togliere il respiro, é giá indaffarato a preparare un summit tra Barack Obama e il russo Dmitri Medvedev.
Per marzo, quando l'economia europea dovrebbe essere in pieno declino, sta pianificando un summit G14 - idea originariamente di Sarko per coinvolgere le economie emergenti - sulla "dimensione umana" della crisi finanziaria.
Presumibilmente, questo é il linguaggio diplomatico per crescita dei debiti personali, povertá, disoccupazione, disperazione e tutte le cose che comporterá, potenzialmente, la depressione di metá inverno portata dalla peggiore recessione dai tempi della seconda guerra mondiale. Specialmente nel suo paese, che é stato in recessione per due quadrimestri, si trova ad affrontare un'impennata della disoccupazione, vede la casa automobilistica Fiat cercare un partner che la compri risolvendo i suoi problemi e che, senza l'Euro e la Banca Centrale Europea che disprezza, sarebbe giá in bancarotta.
Berlusconi, uomo da 10 miliardi di dollari ed architetto seriale di riforme giudiziarie per garantirsi l'immunitá dalla giustizia, é il leader politico che ha chiamato Obama "abbronzato" e un membro tedesco del parlamento europeo "Kapó".
Il suo contributo al programma di recupero economico dell'UE - un incentivo da 200 miliardi di euro del valore del 1.5% del PIL - sembra essere un taglio alle tasse dei suoi sostenitori politici in piccoli affari e ha ridotto le punizioni per gli evasori fiscali - che valgono l' 1% del PIL, secondo politici dell'opposizione in Italia. Il pacchetto é talmente ridicolo che molti analisti ritengono che potrebbe comportare un ulteriore riduzione delle entrate fiscali.
Ora il playboy settantaduenne del mondo occidentale vuole diventare presidente della repubblica, succedendo all'ex comunista Giorgio Napolitano, uomo di grande integritá, dopo il 2013. Presumibilmente, in stile Mugabe, vita natural durante e, in stile Chirac, con immunitá perpetua dai processi.
Questa, in tutta serietá, é la persona che per rotazione presedierá il G8 l'anno prossimo, quando probabilmente ci sará un bagno di sangue nell'economia di tutto il mondo.
E' venuto il momento di finire questo stupido processo e, come previsto per l'UE dal trattato di Lisbona, scegliere un presidente di vera statura e visione per prendere le redini in questo lungo viaggio. Soprattutto siamo tutti d'accordo che, come il consiglio di sicurezza dell'ONU e il Fondo Monetario Internazionale, ci vorrebbe una riforma permanente per includere la Cina, l'India e altri paesi tra le economie emergenti.
E' giá abbastanza che l'eurotossico Vaclav Klaus, presidente della repubblica Ceca, diventi il capo titolare dell'UE dopo il primo gennaio (OK, il suo primo ministro presiederá i meeting). Questo articolo preferirebbe vedere Sarko coronare la sua ambizione a diventare presidente a lungo termine dell'eurogruppo e leader de facto dell'UE dopo il suo successo iperattivo alla guida dell'UE nei sei mesi scorsi.
Forse potrebbe anche incaricarsi del G8/G14 per il resto del suo mandato all'Eliseo, che sará sicuramente esteso dopo il 2012 per altri 5 anni.
Or give it to Tony Blair. Anyone but the ill-suited Berlusconi, the undisputed president of Tangentopoli 2, or bribery city, that his native country has yet again become.
O datelo a Tony Blair. Tutti tranne l'inadatto Berlusconi, presidente indiscusso di questa Tangentopoli 2, o "cittá della corruzione", che il suo paese é diventato ancora una volta.

lunedì 22 dicembre 2008

Passaparola del 22 Dicembre 2008

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Il silenzio delle sentinelle

  di GIUSEPPE D'AVANZO

Dovremmo aver imparato in questi quindici anni che, nonostante l'abitudine alla menzogna, Berlusconi non nasconde mai i suoi appetiti. Il sermone di fine anno ci ricorda che la sua bulimia non conosce argini.

Vuole il presidenzialismo come il compimento della sua biografia personale. Non si accontenta di avere in pugno due poteri su tre. Dopo aver asservito il Parlamento al governo, pretende ora che evapori l'autonomia della magistratura. Dice che la riforma della giustizia è pronta e sarà battezzata al primo Consiglio dei ministri del 2009. Anticipa quel che ci sarà scritto: i pubblici ministeri se le scordino le indagini. Diventeranno lavoro esclusivo delle polizie subalterne al ministro dell'Interno, quindi affar suo che governa in nome del popolo. I pubblici ministeri, ammonisce, diventeranno soltanto "avvocati dell'accusa". Andranno in aula "con il cappello in mano" davanti al giudice a rappresentare come notai, o come burocrati più o meno sapienti, le ragioni del poliziotto. Dunque, del governo. Con un colpo solo, si liquidano l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge (art. 3 della Costituzione, "Tutti i cittadini sono eguali davanti alla legge"); l'indipendenza della magistratura (art. 104, "La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"); l'unicità dell'ordine giudiziario (art. 107, "I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni"); l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112 "Il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale"); la dipendenza della polizia giudiziaria dal pm (art. 109, "L'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria").

Soltanto un effetto autoinibitorio può impedire di udire, nelle "novità" di Berlusconi, una vibrazione conosciuta e cupissima. Anche a rischio di indispettire il suo alleato decisivo (Bossi), il mago di Arcore rimuove ? per il momento ? il federalismo dalle priorità del 2009 per rilanciare il castigo delle toghe e la nascita della repubblica presidenziale. Sarà un gaffeur o un arrogante, sarà per ingenuità o per superbia, Berlusconi propone la necessità di una riforma costituzionale con le stesse parole - e per le stesse ragioni - di Licio Gelli. Se non lo si ricorda, davvero "le memorie deperiscono e i fatti fluttuano", come ripete nel deserto Franco Cordero.

Appena il 4 dicembre il "maestro venerabile" della P2, intervistato da Klaus Davi, ha detto: "Nel mio piano di rinascita prevedevo la creazione di una repubblica presidenziale, perché dà più responsabilità e potere a chi guida il Paese, cosa che nella repubblica parlamentare manca". Berlusconi, 20 dicembre: "Sono convinto che il presidenzialismo sia la formula costituzionale che può portare al migliore risultato per il governo del paese. L'architettura attuale non permette di prendere decisioni tempestive e non dà poteri al premier".

Fa venire freddo alle ossa il farfuglio dell'opposizione di fronte a questo funesto programma da realizzare presto (si annotano soltanto parole che dicono d'altro). E' un silenzio che lascia temere o lo stato confusionale di opposizioni ormai assuefatte al peggio o un'altra letale tentazione di quella commedia bicamerale che, senza sfiorare il conflitto di interessi, concesse al mago di Arcore l'impero mediatico e, in nome del primato della politica sulla giustizia, la vendetta sulla magistratura. Dio non voglia che, con il prepotente ritorno al proscenio di qualche campione di quel tempo, la stagione si rinnovi. In una giornata di sconcerto, sono così un balsamo le parole di Giuseppe Dossetti, padre della Costituzione e dello Stato poi fattosi monaco (le ha ricordate ieri Filippo Ceccarelli). Vale la pena tornarci ancora su.

In memoria del suo grande amico Giuseppe Lazzati, e in coincidenza della prima vittoria delle destre, Dossetti pronuncia un discorso famoso. Il titolo lo ricava da un salmo di Isaia (21,11) "Sentinella, quanto resta della notte?". In quei giorni del 1994, egli vede affiorare un male diagnosticato con molti anni di anticipo: la supremazia di una concezione individualistica, in cui il diritto costituzionale regredisce a diritto commerciale (il primato del contratto, l'eclissi del patto di fedeltà); il dissolversi di ogni legame comunitario, mascherato dietro l'appello al "federalismo" (il "politico" diventa pura contrattazione economica); il rifiuto esplicito di una responsabilità collettiva in ordine alla promozione del bene comune (la comunità è fratturata sotto un martello che la sbriciola in componenti sempre più piccole sino alla riduzione al singolo individuo). Non si può sperare, dice Dossetti e parla ai cattolici, che si possa uscire dalla "nostra notte" "rinunziando a un giudizio severo nei confronti dell'attuale governo in cambio di un atteggiamento rispettoso verso la Chiesa o di una qualche concessione accattivante in questo o quel campo (la politica familiare, la politica scolastica)".

Dossetti non nega la necessità di cambiamenti. Elenca: riforma della pubblica amministrazione; contrasto alle degenerazioni dello Stato sociale; lotta alla criminalità organizzata; valorizzazione della piccola e media imprenditoria; riforma del bicameralismo; promozione delle autonomie locali. Teme però riforme costituzionali ispirate da uno "spirito di sopraffazione e di rapina". "C'è ? avverte ? una soglia che deve essere rispettata in modo assoluto. Questa soglia sarebbe oltrepassata da ogni modificazione che si volesse apportare ai diritti inviolabili civili, politici, sociali previsti dalla Costituzione. E così va pure ripetuto per una qualunque soluzione che intaccasse il principio della divisione e dell'equilibrio dei poteri fondamentali, legislativo, esecutivo e giudiziario, cioè per l'avvio, che potrebbe essere irreversibile, di un potenziamento dell'esecutivo ai danni del legislativo ancorché fosse realizzato attraverso referendum che potrebbero trasformarsi in forma di plebiscito".

I referendum, segnati da "una forte emotività imperniata su una figura di grande seduttore", possono trasformarsi infatti "da legittimo mezzo di democrazia diretta in un consenso artefatto e irrazionale che appunto dà luogo a una forma non più referendaria ma plebiscitaria". Il "padre costituente" denuncia senza sofismi quel che vede dietro la "trasformazione di una grande casa economico-finanziaria in Signoria politica". Vede la nascita, "attraverso la manipolazione mediatica dell'opinione", di "un principato più o meno illuminato, con coreografia medicea". Dossetti chiede allora ai cristiani di "riconoscere la notte per notte" e di opporre "un rifiuto cristiano" ritenendo che "non ci sia possibilità per le coscienze cristiane di nessuna trattativa".

Nessuna trattativa. Per trovare queste parole che aiutano a sperare ancora in una via diurna, si deve ricordare Dossetti. Dove sono le "sentinelle" a cui si può chiedere oggi: "Quanto resta della notte"?

Improvvisazione al potere

di TITO BOERI

Un mese fa il governo annunciava, per bocca del ministro del Welfare Sacconi, la proroga al 2009 della detassazione delle ore di lavoro straordinario, una misura volta a incoraggiare orari di lavoro più lunghi (per chi un lavoro ce l'ha e lo avrà anche nel 2009).

I tecnici del ministero del Welfare legittimavano pubblicamente questa scelta perché per "sostenere la crescita e incrementare la produzione occorre lavorare di più". Sabato, nella conferenza stampa di fine anno, il Presidente del Consiglio Berlusconi ha, invece, proposto di ridurre l'orario di lavoro, portando la settimana lavorativa a 4 giorni. E gli stessi tecnici che avevano fino a qualche settimana fa elogiato la detassazione degli straordinari si sono affrettati a rimarcare (sugli stessi giornali che avevano ospitato i loro interventi precedenti) che queste misure serviranno per "fronteggiare l'emergenza economica e salvaguardare i livelli occupazionali".

Intuendo lo smarrimento degli italiani, poniamoci la domanda che molti di loro si saranno posti: aveva ragione il Governo (e i suoi tecnici) un mese fa a incoraggiare il lavoro straordinario o ha ragione il Governo (e i suoi tecnici) a sostenere ora esattamente il contrario, vale a dire, l'orario di lavoro ridotto?

A giudicare dalle esperienze internazionali, la risposta è nessuno dei due. La detassazione degli straordinari era una misura del tutto anacronistica in una fase recessiva, quando si tratta soprattutto di contenere la distruzione di posti di lavoro. I texani amano parlare senza mezzi termini. Il più titolato studioso di domanda di lavoro, Daniel Hamermesh, viene da lì e in un recente incontro all'Isae ha definito la detassazione degli straordinari una misura "demenziale" nell'attuale congiuntura.

Il giudizio lapidario non voleva, crediamo, incoraggiare a fare esattamente l'opposto anche perché non sempre l'opposto di una cosa demenziale è una cosa giusta. Eppure il Senatore Francesco Casoli, che sembra abbia ispirato le affermazioni di Berlusconi a favore degli orari ridotti, ha riesumato lo slogan comunista degli anni 90: "lavorare meno, lavorare tutti". Purtroppo, come mostrano le ripetute fallimentari esperienze francesi, prima con le 39 ore di Mitterrand e poi con le 35 ore della Aubry, ogni volta che lo stato riduce d'imperio l'orario di lavoro finisce per distruggere posti di lavoro e scontentare tutti, a partire dagli stessi lavoratori. Il fatto è che gli orari di lavoro non possono che essere definiti e contrattati azienda per azienda, sulla base delle specifiche esigenze dell'organizzazione del lavoro e del personale.

E' auspicabile che in molte aziende, invece di licenziare dei lavoratori, si riesca a rimodulare gli orari di lavoro, prevedendo orari di lavoro ridotti per molti, se non proprio per tutti. Ma sono scelte e decisioni che vanno prese azienda per azienda e nell'ambito di patti di solidarietà fra gli stessi lavoratori, che accettino in questo caso riduzioni del proprio salario mensile, pur di salvaguardare il posto di lavoro di altri lavoratori. Gli strumenti normativi per permettere tutto ciò, dalla Cassa Integrazione Ordinaria ai contratti di solidarietà, esistono già nel nostro paese. Quello che manca, semmai, è la contrattazione decentrata, azienda per azienda. Ma questo è un altro discorso. Non riguarda il Governo, ma le parti sociali.

Berlusconi nel lanciare la sua proposta sugli orari ridotti non ha citato il senatore Casoli, ma Angela Merkel. C'è una cosa che accomuna il nostro governo e quello tedesco. Entrambi stanno facendo molto poco per contrastare la recessione. Invece di stimolare la domanda, il Governo tedesco ha introdotto un sistema di garanzie agli investimenti (soprattutto delle piccole imprese e nell'industria dell'auto). Le garanzie, tuttavia, funzionano solo in fasi espansive, quando c'è una forte domanda di investimenti.

Il nostro paese ha addirittura varato misure, almeno sulla carta, di contrazione fiscale. Toglieranno risorse a famiglie e imprese, anziché metterne di più in circolazione. Forse per questo sia in Germania che in Italia chi è al governo preferisce parlare di materie che non sono di sua competenza, come l'orario di lavoro.
"La crisi è nelle mani dei consumatori" ha detto nella stessa conferenza stampa, il nostro Presidente del Consiglio. In verità la durata e l'intensità della crisi è innanzitutto nelle mani del governo. Dovrebbe dare ai cittadini messaggi meno contraddittori se vuole che aumenti la fiducia di famiglie e imprese. Dovrebbe parlare apertamente della crisi, invece di cercare di inventarsi altri terreni di confronto, come Nixon che di fronte all'esplosione dello scandalo Watergate decise nel 1972 di andare in Cina per spostare altrove l'attenzione generale.

Non è esorcizzando i problemi e chiedendo ai giornali di parlare d'altro (magari dedicando intere paginate alla band del ministro dell'Interno) che si risolve la crisi. Per questo speriamo che nessuno voglia raccogliere l'invito di Berlusconi a non pubblicare previsioni a tinte fosche, come quelle elaborate dal Centro Studi Confindustria, perché "le profezie negative si autoavverano". Al contrario, è proprio ridurre l'informazione e spargere finto ottimismo che allunga la crisi. Quando l'informazione non è accurata, aumenta solo l'incertezza, e l'incertezza è la peggiore nemica di quegli investimenti che ci porteranno, prima o poi, fuori dalla recessione.
(22 dicembre 2008)

sabato 20 dicembre 2008

Don't cry for us Argentina

[Clarin]

Non ci sono soldi per comprare nei grandi negozi e aumenta la vendita di cianfrusaglie che provengono, di solito, dalla Cina.
È una moneta di colore argento e oro il simbolo di questo Natale di crisi che qualcuno chiama “l’ultimo Natale” [in italiano nel testo, N.d.T.] perché oltre le feste di fine anno si agita il fantasma di momenti peggiori di quelli che si vivono ora. Fino a un cambiamento dei tempi. “Tutto per 1 euro”. Basta una moneta, la moneta, assicurazione di stabilità per 500 milioni di europei anche se dei 27 membri dell’Unione solamente 15 fanno parte del mercato unico, la già leggendaria Eurolandia. Alla MAS, uno dei più grandi magazzini di abbigliamento di Roma, in piazza Dante nel quartiere Esquilino, occupato da commercianti cinesi e pieno di vita, c’è un grande cartello che indica l’offerta di vestiti a un solo euro.
Un euro per un paio di jeans, un euro per una camicia. Tutti abiti usati ma i poveri immigrati - già maltrattati come stranieri indesiderati e preoccupati di poter essere espulsi nel caso perdessero il lavoro che comincia a scarseggiare a causa della crisi - si sentono in paradiso. E molti più italiani sono felici di non rimanere fuori dalle feste. Intere famiglie attraversano l’Esquilino, il quartiere della stazione Termini, della chiesa di Santa Maria Maggiore e della piazza dove si trova il vecchio palazzo dell’ambasciata argentina.
All’Esquilino si trovano molti cartelli che indicano “tutto per 1 euro” ma la trovata pubblicitaria per attrarre la gente con le occasioni si è diffusa per tutta la penisola in sintonia con questi tempi duri. Non appena cade qualche goccia d’acqua a Roma - e da una settimana piove copiosamente -, spuntano da ogni parte immigrati indiani, pakistani e del Bangladesh. Sono centinaia e tutti vendono ombrelli. Anche loro si sono uniti alla campagna “tutto per 1 euro”, un prezzo in saldo, e sorridono perchè agli italiani e ai turisti li vendono “come mai prima”, ha detto Rajiv al “Clarin” di fronte al Vaticano.
La chiave di tutto sono i prodotti cinesi che costano pochissimo e arrivano via mare in grandi container. Nel quartiere di Monteverde si trova un negozio di prodotti “tutto per 1 euro” che attira una clientela assente nei desolati negozi dei dintorni. La specialità è vendere qualsiasi tipo di decorazioni natalizie. Piccole cose, che però soddisfano un requisito fondamentale per il sentimento italiano: sono un “pensierino”. Il “pensierino“ significa “ho pensato a te anche se non ho soldi”. “Con 50 euro si possono comprare altrettanti pensierini”, mi dice la mia vicina Maria, 83 anni, che riceve una misera pensione ma che non vuole lasciare senza regalino i suoi familiari.
Per quattro euro il vostro corrispondente ha comprato un set di decorazioni per l’albero di Natale da 60 pezzi. Ovviamente cinesi.
Al mercato delle pulci di Roma, Porta Portese, in origine sede del mercato nero della città durante la seconda guerra mondiale, i librai si sono adattati allo stato nazionale di crisi e si possono comprare molti libri usati per uno o due euro. “Che tempi signore!”, esclama Vladimiro che è russo e in fondo è contento “perchè siamo tornati a vendere anche se non guadagnamo niente”.
Accanto a Vladimiro e ai suoi libri ci sono diverse bancarelle di cinesi che hanno messo in vendita tutto quello che potevano a un euro o giù di lì.
L’inverno climatico nell’emisfero boreale arriva il 21 dicembre ma per l’Europa e, soprattutto, per l’Italia, è l’inverno della povertà quello che conta. Nessuno vuole pensare a come sarà il prossimo Natale. L’impressionante aumento del livello del fiume Tevere, che attraversa la metropoli e sfiora la Città del Vaticano, negli ultimi giorni ha tentuto col fiato sospeso i romani. Non ci sono stati allagamenti ma la preoccupazione ha alimentato la tristezza che si vive a causa di un futuro difficile che, come la piena del fiume, sta arrivando inevitabile.
In realtà l’Italia è entrata in recessione lo scorso aprile ma la stagnazione economica dura da anni. Berlusconi ha già governato per cinque anni con una parentesi di 20 mesi del governo di centro-sinistra di Romano Prodi, ma naturalmente dà tutta la colpa alla “sinistra”[in italiano nel testo, N.d.T.].
Berlusconi è popolare, approvato da più del 60% degli italiani, e tutti i giorni li esorta ad avere fiducia. “Noi costruiamo il nostro futuro. Bisogna continuare a consumare per dimostrare che non accettiamo il clima di disfattismo”, dice. Sa che non è così, lo sanno tutti, però l’ottimismo gratuito è una delle caratteristiche della sua personalità che piacciono all’italiano medio.
I commercianti sono divisi. Quelli che guadagnano nei pressi di Piazza di Spagna a Roma e in via Montenapoleone a Milano sostengono che le vendite non caleranno molto quest’anno, anche se “la crisi si sente”. A Torino invece la crisi colpisce dall’alto: ci sono 700 imprese in difficoltà che mettono a rischio 150 mila lavoratori. La Fiat ha venduto in ottobre quasi il 35% di auto in meno e il peggio deve ancora arrivare. Le signore appartenti al ceto benestante sono tornate al Balon, il vecchio mercato della città dove si può trovare di tutto a metà prezzo. Anche lì si vedono cartelli “tutto a 1 euro”.
La catena di negozi Eurocity ha aderito alla promozione che permette di portarsi a casa ogni regalo a 1 euro e le vendite sono aumentate del 20% nel ricco nord Italia, dove si teme di più che la crisi porti alla chiusura delle imprese e aumenti la disoccupazione nei prossimi mesi.
L’ultima moda è quella dei regali a costo zero. Caterina Pasolini dice che “il Natale dei tempi di crisi cambia i pacchetti e le sorprese. Dimentichiamoci le carte di credito e il denaro. I regali migliori si fanno con tempo, esperienza e immaginazione”. Li chiamano “i regali del cuore”. Sono “pensierini” fatti da ognuno. Sono frutto dell’inventiva, come le lezioni di cucina da regalare agli amici o come il professore che ha regalato alla moglie la promessa di non parlarle del suo lavoro per due settimane. Giulia Danteri ha preferito “un regalo del cuore più profondo, perchè sono disoccupata”. Ha promesso di andare a visitare i suoi nonni almeno una volta al mese nel terribile 2009 che sta per arrivare. “Tutti rimaniamo molto felici e ci vogliamo più bene”, ha affermato a “Clarin”. “Non ci sono soldi né crisi che sostituiscano i buoni sentimenti”.
[Articolo originale di Julio Algañaraz]
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Lo scaricabarile delle libertà

Il pagliaccio oggi ha superato se stesso .
E' riuscito a dire che "la durata della crisi è nelle mani dei cittadini", declinando di fatto ogni responsabilità da  parte sua e della sua allegra brigata di leccapiedi.
Il governo di sua proprietà ha altro di cui occuparsi, c'è da mettere la sordina ai magistrati, salvare Mediasua dai saliscendi della borsa, tenere buona la Lega con le solite scemenze sul federalismo, finire l'album delle figurine del Ponte Sullo Stretto, chiudere la bocca ai pochi giornalisti rimasti.
C'è da fare un regime , prima che Licio Gelli ne reclami i diritti d'autore.
La crisi dovremo risolverla noi , e se non ci riusciremo saremo tutti Comunisti e Fannulloni.
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lunedì 15 dicembre 2008

Passaparola del 15 Dicembre 2008

            

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venerdì 12 dicembre 2008

Appello

di Massimo Fini e Marco Travaglio

Con l’annuncio di Silvio Berlusconi di voler cambiare la Costituzione a colpi di maggioranza si è giunti al culmine di un’escalation, iniziata tre lustri fa, che porta dritto e di filato a una dittatura di un solo uomo che farebbe invidia a un generale birmano.

Da un punto di vista formale la cosa è legittima. La nostra Carta prevede, all’articolo 138, i meccanismi per modificare le norme costituzionali. Ma farlo a colpi di maggioranza lede i fondamenti stessi della liberal-democrazia che è un sistema nato per tutelare innanzitutto le minoranze (la maggioranza si tutela già da sola) e che, come ricordava Stuart Mill, uno dei padri nobili di questo sistema, deve porre dei limiti al consenso popolare. Altrimenti col potere assoluto del consenso popolare si potrebbe decidere, legittimamente dal punto di vista formale, che tutti quelli che si chiamano Bianchi vanno fucilati. Ma la Costituzione non ha abolito la pena di morte? Che importa? Si cambia la Costituzione. Col consenso popolare. Elementare Watson. Senza contare che a noi la Costituzione del 1948 va bene così, e non si vede un solo motivo per stravolgerla (altra cosa è qualche ritocco sporadico per aggiornarla).
 
Com’è possibile che in una democrazia si sia giunti a questo punto? Non fermando Berlusconi sul bagnasciuga, permettendogli, passo dopo passo, illiberalità e illegalità sempre più gravi. Prima il duopolio Rai-Fininvest (poi Mediaset) che è il contrario di un assetto liberal-liberista perché ammazza la concorrenza e in un settore, quello dei media televisivi, che è uno dei gangli vitali di ogni moderna liberaldemocrazia. Poi un colossale conflitto di interessi che si espande dal comparto televisivo a quello editoriale, immobiliare, finanziario, assicurativo e arriva fino al calcio. Quindi le leggi “ad personas”, per salvare gli amici dalle inchieste giudiziarie, “ad personam” per salvare se stesso, il “lodo Alfano”, che ledono un altro dei capisaldi della liberaldemocrazia: l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Infine una capillare, costante e devastante campagna di delegittimazione della Magistratura non solo per metterle la mordacchia (che è uno degli obbiettivi, ma non l’unico e nemmeno il principale della cosiddetta riforma costituzionale), ma per instaurare un regime a doppio diritto: impunità sostanziale per “lorsignori”, “tolleranza zero”, senza garanzia alcuna, per i reati di strada, che sono quelli commessi dai poveracci.

Presidente del Consiglio, padrone assoluto del Parlamento e di quei fantocci che sono i presidenti delle due Camere, padrone assoluto del centro-destra, se si eccettua, forse, la Lega, padrone di tre quarti del sistema televisivo, con un Capo dello Stato che assomiglia molto a un Re travicello, Silvio Berlusconi è ormai il padrone assoluto del Paese e si sente, ed è, autorizzato a tutto. Recentemente ha avuto la protervia di accusare le reti televisive nazionali, che pur controlla nella stragrande maggioranza (ieri, in presenza del suo inquietante annuncio, si sono occupate soprattutto della neve), di “insultarlo”, di “denigrarlo”, di essere “disfattiste” (bruttissima parola di fascistica memoria), di parlare troppo della crisi economica e quasi quasi di esserne la causa (mentre lui, il genio dell’economia, non si era accorto, nemmeno dopo il crollo dei “subprime” americani, dell’enorme bolla speculativa in circolazione).

Poi, non contento, ha intimidito i direttori della Stampa e del Corriere (il quale ultimo peraltro se lo merita perché ha quasi sempre avvallato, con troppi silenzi e qualche adesione, tutte le illegalità del berlusconismo) affermando che devono “cambiare mestiere”.

Questa escalation berlusconiana ci spiega la genesi del fascismo. Che si affermò non in forza dei fascisti ma per l’opportunismo, la viltà, la complicità (o semplicemente per non aver capito quanto stava succedendo) di tutti coloro che, senza essere fascisti, si adeguarono.

Ma sarebbe ingeneroso paragonare il berlusconismo al fascismo. Ingeneroso per il fascismo. Che aveva perlomeno in testa un’idea, per quanto tragica, di Stato e di Nazione. Mentre nella testa di Berlusconi c’è solo il suo comico e tragico superego, frammisto ai suoi loschi interessi di bottega.

Una democrazia che non rispetta i suoi presupposti non è più una democrazia. Una democrazia che non rispetta le sue regole fondamentali non può essere rispettata. A questo punto, perché mai un cittadino comune dovrebbe rispettarla, anziché mettersi “alla pari” col Presidente del Consiglio? “A brigante, brigante e mezzo” diceva Sandro Pertini quando lottava contro il totalitarismo. O per finirla in modo più colto: “Se tutto è assurdo”, grida Ivan Karamazov “tutto è permesso”.

Massimo Fini
Marco Travaglio
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giovedì 4 dicembre 2008

Avviso ai giornalisti imprudenti


Strana persona, Berlusconi, avranno pensato in tanti, quando il 22 novembre, nel tripudio della folla di un cinema dell’Aquila, ha denunciato con vigore e in pubblico gli attacchi e “gli oltraggi” che gli vengono “da tutta la televisione” (in modo da far credere che persino Mentana e Carlo Rossella lo attaccano). Strana persona nel giudizio di tante persone normali che si saranno dibattuti fra due domande. La prima: Ma quando mai? Qualcuno ha mai assistito a un programma tv di ogni ordine e grado contro Berlusconi (a parte sporadici interventi di ospiti che però sono sempre più accuratamente pre-selezionati)? La seconda: Ma questa strana persona non aveva appena finito di dedicare una ricca e colorata collezione di insulti (alcuni sul passato, altri sul futuro) di tutto ciò che lui considera a sinistra, che vuol dire qualunque segno di vita, anche mite e circospetto, fuori dai confini del suo potere (governo), del suo potere (azienda),del suo partito (proprietà personale con lavori in corso), del suo buon umore così festosamente disturbato da residui e disorientati miscredenti? La risposta è ovvia e conosciuta da tutti, per entrambe le domande. Ma “tutti” non hanno più voglia di essere per sempre nella lista degli indegni e dei reietti e di perdere, a tutti i livelli, occasioni grandi e piccole, e di restare in balia dei vigili urbani, se capitano in qualche bella città leghista. Per questo “tutti” tacciono o parlano d’altro. Ma lui, Berlusconi, vigila. E dall’Abruzzo, con quella sua strana e bizzarra protesta contro i conduttori televisivi che gli sono nemici (e che non esistono) sta dicendo: “Nessuno ci provi. So benissimo che ‘tenete famiglia’. Dunque in riga. Altrimenti la vendetta sarà immediata”. Intanto però ricorda a tutti un principio fondamentale del suo modo di governare, a cui tiene molto, (ma guai se glielo dicono gli altri). Il principio è questo: “Il padrone sono io”. Padrone di governo e padrone, diretto o indiretto, di tutte le televisioni e aziende editoriali del Paese. La folla del cinema “Massimo” de L’Aquila capisce bene, capisce subito e grida “cacciali via tutti”. La folla è persuasa che lui ne abbia il diritto e non ha intenzione di imbarcarsi in fastidiose distinzioni fra Tv pubblica e Tv privata e, meno che mai, nella stupida questione della libertà di stampa. L’atmosfera è molto 1922. “Puoi cacciarli? Si che puoi! E allora cacciali!”. L’ammonimento è forte. E’ l’olio di ricino dell’Italia berlusconiana. Bevi una sorsata di servilismo e vai in onda. Quanto alla Commissione di Vigilanza, è medico di guardia il Dottor Senator Riccardo Villari, eletto con raro fiuto e buona anticipazione dei tempi, nelle liste esclusive del Partito Democratico. E adesso “a disposizione, Presidente”. Furio Colombo
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martedì 2 dicembre 2008

Visti da fuori - New York Times

ROMA - Il premier Silvio Berlusconi governa con una solida maggioranza, ha il controllo della RAI, l'emittente statale, e possiede le principali reti televisive private del paese.
Perché allora, con tutti questi mezzi a sua disposizione, continua a rispondere alle critiche dei giornalisti non sulle televisioni o sui giornali ma a suon di querele?
Negli ultimi anni Berlusconi ha denunciato The Economist per averlo descritto come "inadatto a governare l'Italia", ed il giornalista britannico David Lane per il suo libro del 2004, "L'ombra di Berlusconi" ("Berlusconi's shadow"), che esplorava le origini della sua fortuna e faceva notare come alcuni dei suoi collaboratori fossero stati indagati per legami con la mafia. Berlusconi ha perso queste cause in corte d'appello ed ha fatto ricorso, o ha ancora la possibilitá di farlo.
Adesso se la sta prendendo con Alexander Stille, il piú celebre italianista d'America ed uno dei piú ferventi critici anglofoni del premier. Una corte d'appello a Milano dovrebbe pronunciarsi martedí su un caso di diffamazione contro Stille iniziato da uno stretto collaboratore di Berlusconi.
Berlusconi non é l'unico ad accusare i giornalisti. In Italia - dove i giornalisti spesso sono molto cauti nel riportare i fatti ed il sistema legale cerca di proteggere l'onore personale - politici, magistrati e figure pubbliche fanno causa ai giornalisti cosí spesso che l'ordine nazionale dei giornalisti ha un "fondo di solidarietá" per aiutare con le spese legali e i danni.
"E' una delle tecniche intimidatorie della classe politica", ha detto Franco Abruzzo, professore di giornalismo ed ex-redattore del quotidiano finanziario Il Sole 24 Ore.
Ed é anche uno sport bipartisan. Nel 1999 Massimo D'alema, un ex-comunista che era all'epoca il presidente del consiglio di centro-sinistra, fece causa ad un fumettista politico per una vignetta che lo mostrava mentre cancellava nomi dal dossier Mitrokhin sulla cooperazione dei paesi occidentali con l'Unione Sovietica durante la guerra fredda.
Comunque, quando l'accusa é Berlusconi, la situazione inevitabilmente prende altre dimensioni.
"Quello che fa la differenza é che lui é uno dei politici piú potenti ed uomini piú ricchi", ha detto Lane, corrispondente da Roma del The Economist e bersaglio delle accuse di Berlusconi. "Controlla i media. Lavora da una posizione di massimo vantaggio".
In effetti, alcuni considerano queste accuse come una parte di un piú inquietante piano in cui Berlusconi cerca di intimidire la stampa - anche mentre afferma che gli stessi media di cui ha il controllo totale lo perseguitano.
Nel 2002, Berlusconi criticó tre critici di centro-sinistra - il comico Daniele Luttazzi, il presentatore di talk-show Michele Santoro ed il giornalista Enzo Biagi - alla RAI, che subito cancelló i loro programmi (Luttazzi e Santoro alla fine tornarono in televisione, e Biagi morí l'anno scorso).
Oggi la risposta italiana a Tina Frey, Sabina Guzzanti, famosa per imitare membri del governo, e Beppe Grillo, un provocatore in stile Michael Moore, hanno poco spazio in televisione, dovuto a complicate motivazioni, nonostante il loro largo seguito popolare. E comunque un importante show, "Striscia la Notizia", sbeffeggia routinariamente i potenti e va in onda sulla rete di Berlusconi Mediaset. Nel processo di martedí a Milano Fedele Confalonieri, amministratore di Mediaset, accusa molti passaggi del libro di Stille del 2006 sull'ascesa di Berlusconi, "Il sacco di Roma" ("The Sack of Rome" in originale, NdR).
Confalonieri sostiene che Stille lo abbia citato come investigato nel 1993 per finanziamento illegale al partito socialista, senza poi far notare che in seguito venne ritenuto estraneo a quel reato.
Ha trovato inoltre un errore nell'asserzione di Stille sul fatto che Berlusconi abbia "fuso quasi totalmente i suoi affari con la sua vita privata", come dimostrato dal mettere Confalonieri, "il suo piú vecchio amico d'infanzia", a capo di Mediaset.
Ed ha obiettato sul fatto che Stille riporta qualcuno che diceva che molti degli stretti collaboratori di Berlusconi basavano la loro amicizia "sul ricatto" perché erano quelli che sapevano dove "erano nascosti tutti gli scheletri nell'armadio".
Anche se queste cose non sono nuove e sono state riportate dalla stampa italiana, Confalonieri ha sostenuto nella sua accusa che queste "danneggiano direttamente l'onore e la reputazione" degli interessati. Confalonieri e Mediaset stanno cercando danni non ancora resi noti.
Un avvocato di Confalonieri, Vittorio Virga, ha detto che altri giornalisti hanno evitato i processi pubblicando articoli dove dicono di considerare adesso Confalonieri "un gentleman".
"Una stretta di mano e arrivederci", ha detto Virga. Ma Stille, ha aggiunto, "non ha mostrato nessuna iniziativa per fare pace".
Da parte sua Stille, professore di giornalismo alla Columbia University nonché autore di diversi libri di spessore sull'Italia, ha detto che quella di venire accusato per riportare dei fatti é una "esperienza Kafkiana".
"Se fossero stati sinceramente interessati in pulire il loro nome e stabilire la veritá, ci sarebbero stati modi molto piú semplici", ha detto Stille.
L'avvocato di Berlusconi, Nicoló Ghedini, ha detto che i giornali italiani puniscono raramente i giornalisti che sbagliano, quindi i personaggi pubblici devono difendere i loro nomi in tribunale. Ha aggiunto, "Come mai un giornalista dovrebbe avere il diritto di diffamare?"
Per la legge italiana, anche pubblicare che qualcuno é sotto indagine puó essere tacciato di diffamazione, anche se le cause per diffamazione sono difficili da vincere.
Ma Stille ed altri fanno notare che il punto non é quello di vincere un processo, ma quello di intimidare giornalisti ed agenzie stampa con la prospettiva di un lungo e costoso processo in tribunale se scrivono qualcosa di non favorevole. "Per ciascuna di queste denunce, si puó cambiare il comportamento di altri 100 giornalisti", ha aggiunto Stille.
In effetti queste contese sembrano avere effetto.
Lane del The Economist ha detto che sta pensando di eliminare tutti i riferimenti a Berlusconi nell'edizione italiana - ma non in quella britannica - del suo prossimo libro sulla mafia. "Sono troppo stanco di spendere i miei soldi", ha detto. "Non ci sono medaglie da vincere per venire denunciati da Berlusconi".

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lunedì 1 dicembre 2008

Forza Sky

Il regime del pagliaccio preferito dagli italiani sta tentando di fare un altro passo in avanti, come se ce ne fosse ancora bisogno.
Il provvedimento sull'iva ha tutta l'aria di essere un avvertimento di stampo berlusconiano alla televisione di Murdoch, fino ad ora "troppo libera" nella linea editoriale di SKYTG24.
Non che sia un pericoloso covo di comunisti , per carità, ma è sempre un tantino restia a inchinarsi al passaggio di sua maestà Il Clown.
Un telegiornale libero che trasmette 24 ore su 24 è un problema, la gente potrebbe addirittura guardarlo e venire a conoscenza di tante notizie che su Teleregime non trovano spazio, qualcuno potrebbe addirittura accorgersi che gli altiri TG raccontano un sacco di fregnacce.
Un pericolo per la democrazia e per il futuro di questo paese.
Adesso la decisione spetta a Sky : può decidere di piegarsi al diktat oppure resistere pagandone le conseguenze.

La Vera Storia

di Peter Gomez e Marco Lillo


«Ma quale conflitto di interessi. La sinistra ha concesso a Sky per i rapporti che aveva con quella televisione il privilegio del 10 per cento dell'Iva. Abbiamo tolto quei privilegi e abbiamo fatto ritornare l'Iva a Sky uguale a quella di tutti gli altri».

E' proprio questa la vera storia del trattamento fiscale agevolato per la pay tv? "L'espresso" ha fatto una piccola inchiesta per ricostruire la vicenda dello sconto dell'Iva a Telepiù, il primo nome della tv a pagamento che fu fondata dal gruppo Fininvest per essere ceduta prima a una cordata di imprenditori amici, poi ai francesi di Canal Plus e infine nel 2002 a Murdoch che la denominerà con il nome del suo gruppo: Sky.

Si scopre così che l'Iva agevolata sugli abbonamenti della pay-tv italiana è stata un trattamento di favore risalente al 1991 fatto dal ministero retto dal socialista Rino Formica e dal governo Andreotti a Silvio Berlusconi in persona. Non solo: dietro questo favore, secondo la Procura di Milano, c'era persino stato un tentativo di corruzione.

Nel 1997 Il pubblico ministero Margherita Taddei chiese il rinvio a giudizio per Berlusconi. Lo chiese anche sulla base di un fax che fu trovato durante una perquisizione. La missiva era opera di Salvatore Sciascia, allora manager Fininvest e oggi parlamentare del Pdl nonostante una condanna definitiva in un altro procedimento per le mazzette pagate dal gruppo alle Fiamme Gialle. Nel fax, diretto a Silvio Berlusconi, Sciascia chiedeva di spingere per far nominare alla Corte dei Conti il dirigente del ministero delle Finanze Ludovico Verzellesi, meritevole perché in precedenza si era speso per fare ottenere l'agevolazione dell'Iva al 4 per cento per Telepiù. In pratica, secondo la ricostruzione dei magistrati, la raccomandazione era il ringraziamento di Fininvest per il trattamento ricevuto.

Il fascicolo processuale però fu trasferito nella Capitale per competenza nel 1997. Nel 2000 il Gip Mulliri, su richiesta del procuratore di Roma Salvatore Vecchione e del pm Adelchi D'ippolito (oggi capo dell'ufficio legislativo del ministero dell'economia con Giulio Tremonti) archiviò tutto. Nessuna rilevanza penale, quindi. Ma restano i dati oggettivi sulla trattativa tra la Fininvest e il ministero per l'abbassamento dell'Iva sulla pay tv: dal 1991 al 1995 quando era controllata o partecipata dal gruppo Berlusconi, Telepiù ha goduto di un'aliquota pari al 4 per cento. Un'agevolazione che allora Berlusconi non considerava scandalosa. Mentre oggi definisce "un privilegio" l'aliquota più che doppia del 10 per cento.

L'innalzamento dal 4 all'attuale 10 per cento fu introdotto alla fine del 1995 nella legge finanziaria del Governo Dini. All'epoca i manager di Telepiù, scelti dal Cavaliere, salutarono così il provvedimento: «È l'ultimo atto di una campagna tesa a mettere in difficoltà la pay tv».

Il 25 ottobre del 1995, Mario Zanone Poma, (amministratore di Telepiù sin dalla sua fondazione) dichiarava alle agenzie di stampa: «L'innalzamento dell'aliquota Iva:
1) contraddice la sesta direttiva della Comunità Europea;
2) contraddice l'atteggiamento degli altri paesi europei verso aziende innovative quali le pay tv;
3) crea una grave discriminazione tra la pay-tv e il servizio televisivo pubblico».
In pratica il manager scelto da Berlusconi diceva le cose che oggi dicono gli uomini di Murdoch.

Effettivamente un ruolo dei comunisti ci fu. Ma a favore del Cavaliere.

Il Governo Dini voleva aumentare l'Iva fino al 19 per cento (come oggi vorrebbe fare Berlusconi) ma poi fu votato un emendamento di mediazione che fissò l'imposta al 10 per cento attuale. L'emendamento passò con il voto decisivo di Rifondazione Comunista: il suo leader dell'epoca, Fausto Bertinotti, in un ribaltamento dei ruoli che oggi appare surreale, fu duramente criticato dall'allora responsabile informazione del Pds (e attuale senatore del PD) Vincenzo Vita: «È squallido che Bertinotti abbia permesso un simile regalo a questo nuovo trust della comunicazione, figlio della Fininvest».

Ho visto l’opposizione - Furio Colombo


Improvvisamente una voce risoluta ha detto in pieno schermo acceso della tv ciò che, per verità storica e testimonianza necessaria deve essere detto di Silvio Berlusconi, ma non è mai stato detto, se non da pochi emarginati. Parole nette e scandite dalla voce drammatica di uno speaker, voce di uomo, tono da dichiarazione di chi ha raggiunto un punto finale di non tolleranza. Ha elencato nell’ordine: - La naturale inclinazione all’inganno di Silvio Berlusconi; - La pratica palesemente illegale della concorrenza sleale, - Il vantaggio indebito dell’uso del potere di governo come forma di interferenza illecita negli affari; - La rottura calcolata e deliberata di ogni impegno e promessa; - L’aumento delle tasse e tariffe dei concorrenti al fine di favorire i propri affari e di danneggiare in modo arbitrario i concorrenti e rivali; - L’uso dello strumento odioso dell’aumento delle tasse (per essere chiari: Il raddoppio di una particolare tassa) al fine di raggiungere, con strumento pubblico (la imposizione fiscale) un vistoso vantaggio privato. Mi rendo conto che, per ragioni di enfasi, gli argomenti sono ripetuti. Ma l’enfasi non è mia, anche se vi partecipo volentieri, sorpreso e coinvolto da tanta tenace chiarezza nei confronti di una clamorosa ingiustizia perpetrata dal governo di Berlusconi, ovviamente su istruzioni precise di Berlusconi, per colpire pesantemente, attraverso una tassa ad hoc (diciamo “una tassa ad personam”) il concorrente tv Rupert Murdoch. L’enfasi, dunque, è dei dirigenti dell’azienda di Murdoch (SKY) in Italia. In ciò che Berlusconi ha fatto a Murdoch c’è la quotidiana prepotente, odiosa determinazione di Berlusconi di recare un danno grave e specifico a qualcosa o a qualcuno che è estraneo o si sottrae al suo potere (adorazione inclusa). Meglio se l’odiosa determinazione di Berlusconi-governo porta un vantaggio marcato e palese agli affari di Berlusconi-famiglia. Direte: Ma succede da quindici anni (anche se con pause di interruzione per occasionale sconfitta elettorale). Sì, ma a chi osava tenergli testa veniva ingiunto (se possibile, imposto) il silenzio (da sinistra) con il celebre argomento secondo cui “L’antiberlusconismo” è assolutamente sconsigliabile. Deve far posto a un dialogo che, onestamente, Berlusconi respinge sempre con sdegno. ORA CHE SIAMO IN PRESENZA DI “ANTIBERLUSCONISMO MANAGERIALE”, NETTO, CHIARO, AGGRESSIVO, DRAMMATICO QUANTO LO È IL BERLUSCONISMO DI GOVERNO, SARÀ INTERESSANTE VERIFICARE IL COMPORTAMENTO DELLA PARTE POLITICA CHE AVREBBE SEMPRE DOVUTO DIRE NO SENZA PACATI RIPENSAMENTI. NESSUNA PACATEZZA NEL MESSAGGIO A MUSO DURO DI MURDOCH. E’ UN GIORNO STORICO PER L’ITALIA CHE INDUCE A DIRE: “SIAMO TUTTI SKY-TV”. PUR DI SENTIR DIRE CIO’ CHE E’ STATO TACIUTO E CHE SI CHIAMA “CONFLITTO D’INTERESSI”. Furio Colombo
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Passaparola dell' 1 Gennaio 2008

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domenica 30 novembre 2008

Oltre il ridicolo

Le Mani Nelle Mutande - Alessandro Robecchi

Non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, antico adagio berlusconico. Ma ci sono tanti modi per mettere le mani nelle tasche della gente: passare dalle mutande è uno dei più astuti. Finalmente una novità, fare soldi con il sesso: a parte alcune centinaia di milioni di persone, negli ultimi duemila anni non ci aveva pensato nessuno. Dunque, fa parte del pacchetto anticrisi la tassa sul porno, una buona idea, anche se non mancano le critiche: persino Mediaset ha protestato, dato che il suo digitale terrestre offre un servizio “manuale terrestre” che pare molto apprezzato. Una prima grana per il governo, stabilire se il calendario cochon della ministra delle pari opportunità sia esentasse oppure no: è vero che non contiene scene di accoppiamenti, ma è anche vero che molti adolescenti, dopo averlo visto, si sono accoppiati tra sé e sé.  Ora si aspettano le circolari applicative e sarà il ministro della cultura Sandro Bondi a decidere cosa sia sesso esplicito, cosa sia arte, cosa sia ammiccamento, cosa sia soft, cosa sia hard, eccetera eccetera. Soggetta alla tassa sarà (dal testo del decreto) “ogni opera letteraria, teatrale e cinematografica, audiovisiva o multimediale, anche realizzata o riprodotta su supporto informatico o telematico in cui siano presenti immagini o scene contenenti atti sessuali espliciti e non simulati tra adulti consenzienti”. Se la tassa avesse valore retroattivo, Anaïs Nin, Henry Miller e  Bukowski risolverebbero da soli la crisi finanziaria del paese. Certo, un moto di umana solidarietà sorge spontaneo nei confronti del ministro della cultura che sarà costretto – con apposita commissione – a vagliare tonnellate di materiale, per decidere a chi applicare le nuove aliquote e a chi no. La commissione censura sarà trasferita al ministero del Tesoro, i funzionari del fisco cominceranno a deperire, avranno occhiaie profonde e molti di loro forse diventeranno ciechi. E’ la porno tax, amici, combatte l’oscenità, il ribrezzo, il raccapriccio: e contro le poesie di Bondi non si può fare niente?

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lunedì 24 novembre 2008

Passaparola del 24 novembre 2008

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domenica 23 novembre 2008

Come si fabbrica l'insicurezza di ILVIO DIAMANTI

SONO passati un anno, dodici mesi appena, ma l'Italia sembra un'altra. Meno impaurita e meno insicura. Infatti, l'inverno è vicino, ma il clima d'opinione registra un disgelo emotivo evidente. Come testimonia il 2° rapporto - curato da Demos e dall'Osservatorio di Pavia per Unipolis sulla rappresentazione della sicurezza - nella percezione sociale e nei media. Pochi dati, al proposito (d'altronde, ieri Repubblica gli ha dedicato molto spazio).

Nell'ultimo anno, si è ridotta sensibilmente la percezione della minaccia prodotta dalla criminalità a livello nazionale e soprattutto nel contesto locale. E' calato in modo rilevante anche il timore dei cittadini di cadere vittima di reati. Da un recentissimo sondaggio di Demos (concluso venerdì scorso) emerge, inoltre, che il problema più urgente per il 31% degli italiani (se ne potevano scegliere due) è la criminalità comune.

Un anno fa era il 40%. Mentre il 21% indica l'immigrazione: 5 punti meno di un anno fa. Gli immigrati, peraltro, sono considerati "un pericolo per la sicurezza" dal 36% degli italiani: quasi 15 punti percentuali meno di un anno fa e 8 rispetto allo scorso maggio. Il legame fra criminalità comune, sicurezza e immigrazione che, negli ultimi anni, è apparso inscindibile, agli occhi dei cittadini, oggi sembra essersi allentato. Cosa è successo in quest'ultimo anno, in questi ultimi mesi di così importante, significativo e profondo da aver scongelato il clima d'opinione? L'andamento dei reati, in effetti, rileva un declino che, peraltro, era cominciato a metà del 2007. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni, si è sviluppato senza variazioni tali da giustificare mutamenti di umore tanto violenti.

Invece, l'immigrazione è cresciuta in misura molto rilevante, come segnalano le principali fonti, dal Ministero dell'interno alla Caritas. Gli sbarchi di clandestini sono anch'essi aumentati. Quasi raddoppiati. Non sono i fatti ad aver cambiato le opinioni. Al contrario: le opinioni si sono separate dai fatti. Per effetto di un complesso di fattori. D'altronde, il clima d'opinione riflette una pluralità di motivi, spesso non prevedibili e, comunque, non controllabili.

In questa fase, in particolare, la crisi economica e finanziaria ha spostato il centro delle paure e delle preoccupazioni dei cittadini. Non solo in Italia: anche negli Usa, prima del collasso delle borse, la campagna delle presidenziali era concentrata sull'immigrazione. Poi tutto è cambiato, con grande beneficio per Obama. Tuttavia, la preoccupazione economica, in Italia, è da tempo molto alta. Destinata a deteriorarsi ancora.

Nell'ultimo anno, però, non è peggiorata. Era già pessima. Il profilo delle "persone spaventate" presenta alcuni tratti particolari, utili a chiarire l'origine di questo collasso emotivo. Due fra gli altri: guardano la tivù per oltre 4 ore al giorno e sono vicine al centrodestra; nel Nord, alla Lega.

L'analisi dell'Osservatorio di Pavia sulla programmazione dei tg di prima serata, peraltro, rileva una forte crescita di notizie sulla criminalità comune nell'autunno di un anno fa e un successivo declino - particolarmente rapido dopo maggio. Peraltro, il peso delle notizie "ansiogene" è nettamente più elevato sulle reti Mediaset, ma soprattutto su Studio Aperto e Canale 5.

Seguiti, per trascinamento, dal Tg 1, il più popolare e autorevole presso il pubblico. Il sondaggio di Demos osserva come l'insicurezza sia molto più alta fra le persone che frequentano prevalentemente le reti e i notiziari Mediaset. Ciò suggerisce che i cicli dell'insicurezza siano favoriti e scoraggiati, in qualche misura, dal circuito fra media e politica. D'altra parte, la sicurezza, l'immigrazione e la criminalità comune sono temi "sensibili" negli orientamenti degli elettori.

"Spostano" i voti degli incerti. Rendono incerti molti cittadini certi. Peraltro, come abbiamo già visto, il tema della sicurezza non è politicamente "neutrale". La maggioranza degli elettori (anche a centrosinistra) ritiene la destra più adatta ad affrontare questi problemi - trasformati in emergenze (Indagine Demos, luglio 2007).

Così, per creare un clima d'opinione favorevole, al centrodestra basta sollevare il tema della sicurezza. Cogliere e rilanciare episodi e argomenti che alimentano l'insicurezza sociale. Farli rimbalzare sui media. Il che avviene senza troppe difficoltà. Non solo perché il suo Cavaliere ha una notevole conoscenza del settore, sul quale esercita un certo grado di influenza. Ma perché la paura è attraente. Fa spettacolo e audience. E perché, inoltre, in campagna elettorale, la tivù costituisce la principale arena di lotta politica, su cui si concentrano l'attenzione dei partiti e la presenza dei leader.

Così, l'insicurezza cresce insieme ai consensi per il centrodestra. Senza che il centrosinistra riesca a opporre una resistenza adeguata. Frenato da divisioni interne, particolarismi e personalismi che non gli permettono di proporre e imporre un solo tema capace di spostare a proprio favore il consenso. Il lavoro, i prezzi, le tasse, l'etica: nel centrosinistra c'è la gara a distinguersi e a smarcarsi. Tutti contro tutti.

La recente campagna elettorale di Veltroni, irenica, tutta protesa a marcare la distanza dal passato (Prodi), non ha scalfito l'insicurezza del presente.
La morsa della sfiducia e dell'insicurezza si è allentata solo dopo le elezioni politiche e le amministrative di Roma. Non a caso. Il risultato, senza equivoci, non lascia scampo alle speranze dell'opposizione: resterà opposizione a lungo. Così, la campagna elettorale, dopo anni e anni, finisce. E il centrodestra si dedica a controllare, in fretta, il clima di insicurezza che aveva contribuito ad alimentare negli anni precedenti.

Propone e approva provvedimenti ad alto valore simbolico: l'impiego dei militari contro la criminalità, l'aumento di vincoli e controlli all'immigrazione. La liberalizzazione delle polizie e delle milizie locali, padane, private. Gli stessi episodi di razzismo hanno prodotto la condanna "pubblica" dell'intolleranza, con l'effetto di inibirne, in qualche misura, il sentimento.

In quanto gli stranieri, percepiti perlopiù come "colpevoli" di reati e violenze, ne diventano "vittime".
Così gli immigrati continuano a fluire, i clandestini a sbarcare e il numero dei reati non cambia, ma l'attenzione dell'opinione pubblica e dei media nei loro confronti si ridimensiona. La paura declina. Un po' come avvenne nel periodo fra il 1999 e il 2001. Anche allora criminalità e immigrazione divennero priorità nell'agenda delle emergenze degli italiani.

Spaventati da aggressioni e rapine a orefici e tabaccai; dall'invasione degli stranieri. Che conquistavano i titoli dei quotidiani e dei tg. Poi, l'inquietudine si chetò. Sopita dall'attacco alle Torri Gemelle e dalla vittoria elettorale di Berlusconi. Capace, come nessun altro, di navigare sulle acque dell'Opinione Pubblica. E di domare le tempeste che la turbano dopo averle evocate.
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sabato 22 novembre 2008

Telegiornali più sicuri

Rapporto Demos: trascorse le elezioni, ecco le nuove angosce
I più insicuri? Le donne del Sud teledipendenti. Meno timori legati all'immigrazione
Criminalità, l'Italia cambia idea
dopo un anno non fa più paura
di VLADIMIRO POLCHI

 
ROMA - La grande paura? Archiviata: oggi l'Italia sembra risvegliarsi da un incubo e sentirsi più sicura. Il nemico numero uno? Non più il criminale comune, bensì la crisi economica. Cambiano, infatti, le paure: più della malavita oggi si teme la disoccupazione. Non solo. Rispetto a un anno fa, cala la diffidenza verso gli immigrati. Cresce però la sicurezza fai da te: il 7% degli italiani ha già acquistato un'arma. Insomma, "se prima eravamo terrorizzati ? spiega il sociologo Ilvo Diamanti ? oggi siamo solo impauriti". Il merito? Della tv.

Dopo aver fomentato l'allarme criminalità tra la fine del 2007 e l'inizio del 2008, oggi i tg nazionali hanno ridotto spazio ed enfasi sull'emergenza sicurezza.
A fotografare le nostre angosce è il secondo rapporto Demos, curato da Diamanti per la Fondazione Unipolis, in collaborazione con l'Osservatorio di Pavia. Cosa emerge? Un Paese sostanzialmente cambiato.

Nel 2008 diminuisce il numero di italiani che ritiene cresciuta la criminalità: è l'81,6%, contro l'88% del 2007. Ci si sente dunque un po' più sicuri, soprattutto, a casa propria. Meno del 40% degli intervistati percepisce infatti un aumento dei reati nella propria zona di residenza (un anno fa era più della metà e, a maggio scorso, oltre il 53%). Il timore più diffuso? Resta quello di subire un furto in casa (20,7% degli intervistati), seguito dalla paura di incappare in una truffa del bancomat o carta di credito (19%).

Crolla invece il timore di un'aggressione o rapina (13,4% nel novembre 2008, rispetto al 18,7% di un anno fa). Non solo. Sempre meno sono gli italiani che ritengono gli immigrati un pericolo (calati del 14% in un anno).

Ma chi ha più paura per la propria incolumità fisica? Le donne (43%), con un livello d'istruzione medio-basso (38%), residenti nel Mezzogiorno (41%) e teledipendenti (stanno davanti alla tv più di quattro ore al giorno). A essere più allarmati, poi, sono gli elettori del centrodestra, Udc e Italia dei Valori, meno quelli del Pd e della Sinistra Arcobaleno. Pur sentendosi più sicuri, otto italiani su dieci chiedono comunque più polizia per le strade. Resta poi la tentazione di difendersi da soli: il 7% ha già comprato un'arma, il 44% si è blindato in casa, il 35% ha stipulato un'assicurazione sulla vita.

La paura non solo diminuisce, ma cambia anche direzione. "La crisi economica - sostiene Diamanti - è stata in gran parte assorbita nel 2007, eppure ora la paura è pronta a ripartire su alcuni fronti". La disoccupazione, innanzitutto: oggi allarma il 34.4% degli italiani (erano il 29,6% un anno fa). La crisi delle borse e delle banche è invece una vera "new entry": preoccupa quasi il 39% del campione. In testa poi restano le "paure globali": distruzione dell'ambiente (58,5%), futuro dei figli (46,5%), sicurezza dei cibi (43%).

L'indagine Demos esplora anche altre paure-tipo. E così, il rischio di incorrere in un infortunio sul lavoro preoccupa "frequentemente" il 10,4% della popolazione (oltre il 20% degli operai). Aumenta poi il numero di quanti credono che la sicurezza in fabbrica sia diminuita (il 47%). E ancora: la paura di essere vittima di un incidente sulla strada accomuna tre intervistati su dieci. I più spavaldi? Proprio i soggetti più a rischio: giovani tra i 15 e i 24 anni.
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martedì 18 novembre 2008

domenica 16 novembre 2008

Se riesplode la guerra mediatica - di ILVO DIAMANTI

NON finisce mai la guerra politica intorno allo spazio radiotelevisivo, ma, in particolare, intorno alle tivù. L'elezione del senatore Villari, del Pd, alla presidenza della Commissione di vigilanza della Rai, con i voti del centrodestra (e qualcuno in più) ne è solo l'ultimo atto. Tuttavia, è da qualche settimana che si colgono segni di nervosismo, intorno alla tivù. Soprattutto da parte del centrodestra e, anzitutto, del Presidente del Consiglio. Il quale è intervenuto, in diverse occasioni, perlopiù durante i suoi viaggi all'estero (d'altronde, è sempre in viaggio), per esprimere il suo disappunto sull'informazione televisiva.

Nello specifico: sulla Rai. Accusata di proporre l'immagine di un paese in rivolta. Strade e piazze affollate dalle proteste di studenti, genitori e professori. Scuole e Università in assemblea permanente. Ha recriminato, ancora, Berlusconi contro la satira che lo bersaglia ogni sera in tivù. Gli hanno fatto eco alleati fedeli. Il ministro Bondi ha gridato la sua indignazione contro una trasmissione satirica di tarda serata (Glob, condotta da Bertolino). Inoltre, Marcello Dell'Utri, amico e collaboratore di sempre, ha ironizzato - e polemizzato - sulla tivù ansiogena, che affida la lettura delle informazioni a giornaliste dark. Critiche politiche, etiche, estetiche. Troppe, in poche settimane, per non far pensare che la ricreazione è finita. Pareva, Berlusconi, aver allentato il morso sulla tivù (di Stato), dopo le elezioni dello scorso aprile. A differenza del 2001, quando, all'indomani del voto, si occupò presto della Rai.

Accelerò le nomine indicando, da subito, le figure sgradite. Biagi, Luttazzi e Santoro. Forse il Cavaliere, questa volta, dopo aver conquistato un successo tanto largo e una maggioranza parlamentare tanto netta, ha accarezzato davvero l'idea di assumere un atteggiamento più "liberale" verso l'informazione Rai. Che, d'altronde, non ha certo assunto un atteggiamento "militante" e antagonista, nei suoi confronti. Semmai, si è fatta più prudente, come normalmente avviene quando i giornalisti si sentono "di passaggio". Questa "pazza idea", però, sembra svanita in fretta. Dissolta, nell'ultimo mese, dal ritorno del "Cavaliere mediatico" - occhiuto e polemico - che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Spinto da diversi motivi.

1. Anzitutto, i sondaggi hanno rilevato un calo del consenso: suo personale e del governo. A causa di alcuni provvedimenti, che hanno sollevato polemiche e proteste. In primo luogo, come abbiamo detto, la mobilitazione di studenti e genitori, maestri e professori contro i decreti sulla scuola e sull'Università. Poi, il persistere e l'acutizzarsi della crisi economica e finanziaria. E gli effetti che sta producendo sulla vita quotidiana: dal punto di vista dei redditi, del risparmio, dei consumi. Nell'insieme, hanno spezzato lo "stato di grazia" che aveva permesso al governo di giungere fino a ieri "nonostante" la delusione. Non che la popolarità di Berlusconi e del suo governo abbiano subito un crollo. Ma si è ridimensionata. E, soprattutto, ha mostrato di non essere immune alla rappresentazione infinita sui media del malessere sociale.

2. Tuttavia, il timore di Berlusconi più che dal passato recente è dettato dal futuro prossimo. Dalla crisi economica che incombe. Dalla consapevolezza che, nei prossimi anni, i tagli della spesa pubblica continueranno; che la pressione fiscale non calerà. Preoccupa, Berlusconi, l'idea che la recessione divenga un genere televisivo, come nel passato recente la violenza nella vita quotidiana. Che comprometta la sua immagine di Grande Rassicuratore. Di Cavaliere Vincitore e Invincibile.

3. Tuttavia, le preoccupazioni di Berlusconi si rivolgono anche all'interno della sua coalizione. Il malessere sociale, amplificato dai media, alimenta, infatti, il clima antipolitico e le tensioni territoriali. E rafforza il partito antipolitico e territoriale per definizione. La Lega, stimata, oggi, sopra il 10% e nel Nord oltre il 20% (intorno al 30% in Lombardia e ancor di più in Veneto). Il che spinge il Pdl a centrosud. Nell'area della crisi. Si aggiunga che, in questa fase di "fondazione" unitaria, le tensioni attraversano lo stesso Pdl. An, infatti, cerca di far valere il suo radicamento territoriale per pesare di più, nei futuri assetti del partito. Inevitabile, per Berlusconi, rispondere all'organizzazione con la televisione.

4. I problemi di Berlusconi sono, peraltro, comuni anche al centrosinistra. La "comunicazione ansiogena" e "l'antagonismo e l'antiberlusconismo come spettacolo" hanno, infatti, avvantaggiato soprattutto l'Idv (stimata dai sondaggi intorno al 9%). Ma anche Michele Santoro, il cui programma ha raggiunto livelli di audience elevatissimi. Non a caso Santoro e Di Pietro costituirebbero, secondo alcuni, l'unica vera opposizione in Italia.

5. Anche il Pd, come il Pdl, è attraversato da tensioni interne. Tra fazioni e frazioni. Che mirano a consolidare oppure a scardinare definitivamente la leadership di Veltroni. La vicenda della "commissione di vigilanza", in fondo, costituisce un atto di sfiducia nei suoi confronti espresso anche dall'interno del Pd, visto che Villari non è stato votato solo dal centrodestra.

La tivù è tornata, dunque, il "campo di battaglia" privilegiato dalla politica e dai politici. Di entrambe le parti. Con un duplice rischio. A) Lo svuotamento della politica e dei suoi attori, sempre più distanti dalla società e dal territorio. B) Reciprocamente, la definitiva trasformazione del ruolo dei media e dei giornalisti: da mediatori ad attori politici. La rappresentanza politica tradotta in rappresentazione, guidata e interpretata da Vespa, Floris, Mentana e Santoro. O come imitazione. Crozza, Guzzanti, Cortellesi e Marcoré. Al tempo stesso, governo e opposizione.

Il Pd, Di Pietro, i Radicali e quanti contestano il rapporto mimetico e complice fra media e politica, fra i partiti e la Rai, per essere credibili, non dovrebbero spingere alle dimissioni Villari, per mettere qualcun altro al posto suo. Ma semplicemente andarsene dalla "Commissione di Vigilanza". Organo non di controllo, ma di spartizione.

venerdì 14 novembre 2008

La dittatura dolce


E’ una dittatura dolce, si usa dire adesso (ma solo da parte di alcuni audaci che spesso vengono isolati) del governo Berlusconi. Non vedo come si possa usare la parola “dolce” che è pur sempre zuccherosa e benevola. Viviamo in un periodo della storia italiana in cui stanno accadendo fatti del pre-nazismo tedesco, del primo fascismo italiano, ma i nostri media non vedono, trascurano o sorridono. E il nostro sistema politico (reparto opposizione), considera a volte con qualche attenzione drammatica questo o quel fatto, questa o quella legge indecente. Ma sembra non vedere la costellazione malefica che si sta formando e consolidando, in un fitto dialogo fra “iniziative spontanee” (uccidere a sprangate il giovane nero) e spirito di governo. La dittatura mediatica e amara di Berlusconi, dei soci xenofobi della Lega, del nuovo richiamo al fascismo di cariche istituzionali, compongono, tra fatti e parole, un quadro allarmante. E’ il quadro di un partito estraneo all’Italia, rappresentante di un territorio inventato (Padania) votato solo in alcune aree del Nord, che si è infiltrato nel Parlamento e che Berlusconi ha voluto nel suo governo. Portano sentimenti di persecuzione e di odio che, dai tempi del fascismo, non hanno mai avuto casa in Italia. E’ il quadro di aggressioni razziali e fasciste, leghiste e naziskin, che si ripetono con frequenza quasi quotidiana. Ma i media provvedono a raccontarli in modo ben separato, negando di volta in volta il legame. Sono spontanei? Questo è il lato peggiore. C’è chi sente subito l’invito alla cattiveria, al disprezzo, alla persecuzione. E’ il quadro di una nuova arroganza, espresso persino in situazioni istituzionali, persino come sfida al Presidente della Repubblica dal ministro della Difesa che, il giorno della Resistenza, vuole celebrare Salò. NON C’E NIENTE DI DOLCE COMPAGNI. RESTA LA PAROLA “DITTATURA”. Furio Colombo
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martedì 11 novembre 2008

Passaparola del 10 novembre 2008

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Visti da Fuori

Berlusconi cerca di controllare emittente italiana

[Variety]

 LA COPERTURA MEDIATICA NEGATIVA PROVOCA L’AZIONE DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO.
Sei mesi dopo essere stato eletto per la terza volta, Silvio Berlusconi ha ripreso l’abitudine di manipolare i media. Negli ultimi mesi il magnate della televisione italiana diventato Presidente del Consiglio ha:
- sfacciatamente cercato di convincere i leader delle imprese locali a non comprare spazi pubblicitari sulla rete rivale, la RAI
- giurato di impedire alla RAI di diffondere “il pessimismo” e si è lamentato che l’emittente pubblica non stia trattando bene il suo governo
- stroncato il programma di informazione “Annozero”, che ha ottenuto uno share record del 20% su Raidue in prima serata dando agli studenti manifestanti l’opportunità di sfogarsi fianco a fianco con il leader dell’opposizione Walter Veltroni. Berlusconi si è lamentato per l’assenza di rappresentanti del governo, anche se in realtà Veltroni e gli studenti si sono azzuffati con un politico del governo e un giornalista del quotidiano Il Giornale, di proprietà di Berlusconi.
Quello che fa infuriare Berlusconi è lo spazio dedicato dalla RAI alla grande protesta degli studenti provocata dai tagli all’istruzione decisi dal governo, con milioni che marciano per le città di tutto il Paese.
Il 3 novembre squadristi neofascisti, alcuni con il passamontagna, hanno fatto irruzione nella sede della RAI di Roma per protestare contro un altro programma televisivo, “Chi l’ha visto?” che ha mandato in onda un servizio che mostrava persone di destra mentre attaccavano studenti di sinistra durante una manifestazione in piazza Navona a Roma.
Mentre la FNSI ha condannato l’episodio, la preoccupazione principale di Berlusconi sembra essere quella di riuscire a rimettere le mani sulla RAI.
Da quando è stato eletto a maggio, Berlusconi non è stato in grado di imporre un nuovo regime alla RAI a causa di un impasse con l’opposizione. La scorsa settimana il parlamento non è riuscito per la trentaquattresima volta consecutiva ad eleggere il capo della commissione di vigilanza parlamentare per l’emittente pubblica.
Tuttavia il senatore dell’opposizione Felice Belisario prevede che, senza dubbio “ Presto vedremo l’ennesimo tentativo di Berlusconi di rafforzare Mediaset a spese della RAI”.
Intanto l’amministratore delegato di Mediaset, Fedele Confalonieri, si è impegnato affinché-la rete trasmetta storie rassicuranti - “un po’ di Frank Capra”, come dice Confalonieri - che possono servire a distogliere l’attenzione della gente dalla crisi finanziaria e allo stesso tempo risollevare gli ascolti di Mediaset. Nelle tabelle autunnali di settembre/ottobre, Canale5, rete ammiraglia di Mediaset, è finita dietro RAI Uno che ha vinto col 22% di share in prima serata.
Curiosamente, l’ultimo grande flop di Mediaset è stato una serie intitolata “Crimini Bianchi”. Lungi dall’essere paragonabile a “La vita è una cosa meravigliosa” (film di Frank Capra - NdT), “Crimini” è incentrata su casi di malasanità, molto frequenti in Italia. La fiction, che cercava di approfittare del diffuso senso di sfiducia nei confronti dei dottori italiani, è stata sospesa da Canale 5 dopo i deludenti ascolti.
[Articolo originale di Nick Vivarelli]
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domenica 9 novembre 2008

OK, joke's over

Phil Gayle
guardian.co.uk
Silvio Berlusconi may be a fool, but he's not stupid. A self-made millionaire and unparalleled political operator, he started his own party and beat the entrenched interests of one of the world's most labyrinthine democracies to become Italy's prime minister. He did this while running a media empire and numerous business interests, including AC Milan, and managing to stay out of jail while fighting off several corruption lawsuits. A man who can do all of this in the country of Machiavelli is nobody's idiot.
So what does it say about him and the society from which he springs that he sees nothing wrong in mocking the skin colour of the next president of the United States, who he called "young, handsome and tanned''? His detractors should get a sense of humour, he says. Perhaps he's right. Humour is a great tool for pricking sacred cows. Oftentimes, we laugh when comic juxtaposition draws our attention to the sheer nuttiness or implausibility of a situation. But what does Berlusconi find so funny in the election of a black man to the highest office in the US?
It's hard to think that one country's leader would make such a crass statement about another, much less one waiting to assume power in US. But Berlusconi is not like other leaders. This is the man whose 1986 election campaign famously included the claim that the Chinese "boiled babies for fertiliser" during the Mao Zedong era.
Perhaps Berlusconi, while respecting the office of the president, believes that it's still OK to poke a little fun at Obama: Relax, people, it's just a joke. The guy's going to be president, but he's still just a man. That's the text. But what's the subtext? It's always the same: Relax, this guy may be a president (or bishop, football star or academic) but he's still just a black man.
Jokes like these are about status and power. George Bush gets to say "Yo, Blair" because he's president of the most powerful country on the planet and Blair isn't. Berlusconi gets to joke about Obama's "tan" because he's white and Obama isn't.
In fairness to Italy, reports point out that Berlusconi's comments received condemnation from his own countrymen. But the reported criticisms come from political opponents. Berlusconi, ever the showman, was playing beyond them, over their heads to an audience who elected him three times to lead their country.
Many reading this will happily write this off as the ramblings of another chippy black man. But it's only three weeks since Sheriff's deputies arrested two white supremacists on suspicion of plotting to assassinate the black presidential candidate. Do we expect that now his election has been confirmed, the rednecks will drop their rifles and salute? The most popular Google search at the moment is "assassinate Obama". Only a fool or a wilful optimist would believe that this is the only conspiracy out there.
Ask any prominent person of colour and they'll tell you stories of being racially abused by thugs one minute, only for the same hoodlums to turn around and politely ask for their autographs the next, when they recognise them. "Nothing personal, mate. You're OK. It's just them others." I once asked a very close white friend of mine to check over an application form I'd filled in. He did it willingly, and, having done so, asked why I'd made no mention of my ethnicity. When I pointed out that I'd done exactly what he would have, he told me that people would assume I was white and that it was therefore my duty to point out that I wasn't. When asked why it was necessary for me, but not for him, he pointed out (perfectly reasonably, he felt) that "we rule the world, Phil".
As of January 20, 2009, however, the most powerful man in the world will be black. It'll be interesting to see how many assumptions change.
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