sabato 27 marzo 2010

Il potere del telecomando


Chi pensava che le intercettazioni di Trani avrebbero costretto i cosiddetti 'terzisti' del 'Corriere della sera' a prendere posizione, la prima in vita loro, era un povero illuso. Lunedì, a meno di dieci giorni dalla pubblicazione delle indecenti conversazioni degli 'arbitri' venduti a una delle squadre, Pierluigi Battista ha pubblicato sul 'Corriere' un "memorandum per ossessionati dalla tv". Ce l'aveva col premier, talmente ossessionato dalla tv da trascorrere ore e ore al telefono a complottare contro Santoro? Ce l'aveva con i commissari 'indipendenti' della presunta Authority, così ossessionati dalla tv da organizzare riunioni domestiche e telefoniche con membri del Csm, della Vigilanza, del cda Rai per scovare qualche cavillo che giustificasse la chiusura di 'Annozero'? Macchè.

Battista ce l'aveva con quanti sostengono un'ovvietà nota in tutto il mondo: le tv spostano voti. Lo dimostrano fior di studi specialistici, che calcolano in 5-6 punti percentuali l'effetto-tv sulle elezioni, soprattutto in Italia dove uno dei due candidati a Palazzo Chigi possiede tre canali e ne controlla altri due; dove la diffusione della carta stampata e di Internet è marginale; dove il 60-70 per cento degli elettori (dati Istat) usa il telecomando come unico strumento d'informazione per decidere come e chi votare. E lo dimostra Berlusconi, che appunto passa il suo tempo a occupare anche gli angoli più riposti dell'emittenza.
Ma Battista è peggio di San Tommaso: non crede nemmeno a quel che vede, e sente. Elenca le elezioni vinte dal centrodestra quando la Rai era in mano al centrosinistra, e viceversa: non lo sfiora il dubbio che, quando perde, Berlusconi perderebbe molto più rovinosamente di quanto non gli accada con le tv. E poi nessuno ha mai sostenuto che la tv basta da sola a far vincere questo o quello. Il controllo delle tv serve a "mentire senza timore di smentita" (Giovanni Sartori): e in questo Berlusconi è maestro.

Serve a nascondere i fatti sgraditi, a minimizzare gli scandali, a depistare l'attenzione generale dall'agenda dei problemi veri verso quelle che Sabina Guzzanti chiama le "armi di distrazione di massa". E anche in questo il Cavaliere, protagonista degli scandali più scandalosi del dopoguerra, è un mago. Ma, soprattutto, Battista dimentica un piccolo e trascurabile particolare: nel 1994, senza le sue tv, Berlusconi non avrebbe mai potuto fondare un partito in sei mesi e vincere le elezioni, spacciandosi per l'alfiere del 'nuovo che avanza' mentre era solo il vecchio che era avanzato. Se avesse perso al primo colpo, la sua avventura politica sarebbe finita prim'ancora di cominciare. E oggi non saremmo qui a parlarne. Battista avrebbe potuto cogliere l'occasione per raccontarci come fu che, dopo l'editto bulgaro, 'Il Fatto' di Enzo Biagi fu sostituito da un ex portavoce del Cavaliere, tale Berti, e poi da un certo Battista. Forse perché i berluscones non avevano capito bene la differenza fra Biagi e gli altri due, o perché l'avevano colta benissimo?

martedì 23 marzo 2010

Il Cancro da Estirpare

Uno dei passaggi più raccapriccianti del comizio di Silvio Berlusconi di sabato a Roma, oltre alla menzogna dell’Europa che senza Berlusconi avrebbe liberalizzato la pedofilia (sic) detta e ripetuta da Umberto Bossi, è stato il promettere la cura del cancro. Chi era in piazza descrive la brava gente presente a San Giovanni come un po’ imbarazzata da alcuni passaggi dello show del capo del governo. Mi piace pensare che sia vero in particolare per tale punto.

Nel promettere qualunque cosa le persone volessero sentirsi dire, dai cento milioni di alberi al dimezzamento delle tasse, pochi commentatori si sono soffermati sul passaggio della promessa di curare il cancro fatta dal “presidente oncologo” o, meglio, dal “presidente padrepio”. Peccato, perché il passaggio sul cancro avrebbe meritato i titoli dei quotidiani che invece sono stati catturati da un mero problema matematico sul numero dei presenti.

Forse davvero nessuno prende più sul serio le cose che Berlusconi dice. Forse perché davvero l’unica promessa che i berlusconiani (gli italiani) vogliono veder garantita, e Berlusconi è capace indubbiamente di mantenere, è quella del potersi fare i fatti propri. E’ così che dev’essere interpretata la promessa di dimezzare le tasse. La libertà “fai da te” di evadere, garantita per legge dai condoni. Quindi non importa davvero che Berlusconi dimezzi le tasse quanto che permetta di autodimezzarle. Fin qui è tutto chiaro, ma il cancro?

Dalla “cura Di Bella” (pannicello caldo che ha causato molti morti ma cavallo di battaglia per anni della destra) alla “cura Berlusconi” senza mai passare dai luoghi deputati, i laboratori, le biblioteche, le aule, c’è il senso di una società cinica (o stupida) oramai indifferente ai grandi temi, agli ideali, al darsi obbiettivi elevati e altri rispetto al ciclo produzione/consumo, eppure comprensibili a tutti. Berlusconi ha fatto cinicamente appello alla disperazione dei malati e dei loro cari per raccattare qualche voto offrendo una speranza a basso costo oppure l’ha semplicemente buttata lì, una balla come un’altra, magari compiacendosene come quando racconta barzellette sconce agli altri capi di governo?

Purtroppo quanto afferma il capo di governo di un paese di 60 milioni di abitanti va preso sul serio. Soprattutto in uno dei paesi dell’OCSE che meno investe in ricerca scientifica e dove sta per passare una controriforma universitaria (bipartisan). Questa porterà alla chiusura materiale di molte sedi e ad una nuova ondata della cosiddetta “fuga dei cervelli”. Quindi solo un miracolo può permettere alla ricerca italiana di avere i mezzi per contribuire a combattere il cancro. Non è neanche sperabile che la gente dabbene che era sabato al Festivalbar di San Giovanni avesse voglia di riflettere su tali temi. L’ossessione liberista vede nelle università pubbliche proprio un cancro da estirpare, fonte di corruzione e fannullonismo. E’ però da escludere che l’interpretazione autentica delle parole di Berlusconi si riferisse a ciò. Se uno si esprime in un italiano da 150 parole in totale poi non può infarcire il discorso di allusioni (se non pecorecce), metafore, concetti complessi. Quindi proprio al cancro si riferiva. Berlusconi, in un comizio nella campagna elettorale per le amministrative 2010, ha proprio promesso che curerà il cancro. Lo devo compitare per crederci.

La promessa di Silvio Berlusconi mi ha ricordato il dipinto celeberrimo di Frida Khalo, “il marxismo darà la salute agli infermi”. Frida credeva fideisticamente che la Rivoluzione avrebbe dato gli strumenti per lenire la sofferenza umana che lei identificava nel suo stesso corpo malato. Adesso nessuno crede più a niente e Berlusconi può permettersi di promettere la cura del cancro senza che nessuno gli dia importanza né per credergli né per chiedergli il conto politico di tale affermazione. Davanti ai nostri occhi, dobbiamo ammetterlo, la storia si sta ripetendo in farsa.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it

Il Guaritore

di Massimo Gramellini

L’altra sera, girovagando fra i canali, mi sono imbattuto in un volto ispirato che, dal palco di una piazza, inneggiava all’amore e urlava: entro il 2013 vogliamo vincere il cancro. Giuro, diceva proprio così. Vo-glia-mo vin-ce-re il can-cro. Non la disoccupazione. E nemmeno lo scudetto. Il cancro, «che ogni anno colpisce 250 mila italiani». Sulle prime ho sperato fosse il portavoce del professor Veronesi e ci stesse annunciando uno scoop mondiale. Così ho telefonato a uno dei 250 mila, un caro amico che combatte con coraggio la sua battaglia, e gli ho dato la grande notizia. Come no?, ha risposto, adesso però ti devo lasciare perché sono a cena con Vanna Marchi.

Ho degli amici molto spiritosi. Mi auguro che tutti i malati e i loro parenti la prendano allo stesso modo. E anche tutti i medici che in ogni angolo del pianeta si impegnano per raggiungere quell’obiettivo. In Italia con qualche problema in più, dato che il governo che entro tre anni intende vincere il cancro ha ridotto i fondi per la ricerca scientifica. Vorrei sorriderne, come il mio amico. Ma stavolta non ci riesco. Ho perso i genitori e tante persone care a causa di quel male. E allora: passi per le barzellette, le favole e persino le balle. Fa tutto parte del campionario di iperboli del bravo venditore e il pubblico ormai è assuefatto allo show. Ma anche a un’alluvione bisogna mettere un argine. Bene, per me il cancro rappresenta quell’argine. Non è: un milione di posti di lavoro. Non è: meno tasse per tutti. Il cancro è una cosa seria. E lui, che lo ha avuto e lo ha vinto, dovrebbe saperlo.

Una questione di democrazia

di EZIO MAURO

Non è l'aspetto penale (di cui nulla sappiamo) il punto più importante dell'inchiesta dei magistrati di Trani che indaga il presidente del Consiglio, il direttore del Tg1 e un commissario dell'Authority sulle Comunicazioni. L'ipotesi di concussione verrà vagliata dalla giustizia, e certamente il capo del governo avrà modo di difendersi e di far sentire le sue ragioni, o di far pesare le norme che bloccano di fatto ogni accertamento giudiziario sul suo conto, facendone un cittadino diverso da tutti gli altri, uguale soltanto all'immagine equestre che ha di se stesso.

Ma c'è una questione portata alla luce da questa inchiesta che non si può evitare e domina con la sua evidenza eloquente questa fase travagliata di agonia politica in cui si trova il berlusconismo. La questione è l'uso privato dello Stato, dei pubblici servizi creati per la collettività, della presidenza del Consiglio, persino delle Autorità di garanzia, che hanno nel loro statuto l'obbligo alla "lealtà e all'imparzialità", per non determinare "indebiti vantaggi" a qualcuno.

Siamo di fronte a una illegalità che si fa Stato, un abuso che diviene sistema, un disordine che diventa codice di comportamento e di garanzia per chi comanda.

Con la politica espulsa e immiserita a cornice retorica e richiamo ideologico, sostituita com'è nella pratica quotidiana dal comando, che deforma il potere perché cerca il dominio. Questi sono tratti di regime, perché il sovrano prova a mantenere il consenso attraverso la manipolazione dell'informazione di massa, inquinando le Autorità di controllo poste a tutela dei cittadini, con un'azione sistemica di minaccia e di controllo che avviene in forma occulta, all'ombra di un conflitto di interessi già gigantesco e ripugnante ad ogni democrazia. Il controllo padronale e politico sull'universo televisivo (unico caso al mondo per un leader politico) non basta più quando la politica latita e la realtà irrompe. Bisogna andare oltre, deformando là dove non si riesce a governare, calpestando là dove non basta il controllo.

L'ossessione televisiva

di CURZIO MALTESE
La televisione conta poco o nulla nel consenso a Berlusconi? A parlare dei processi e degli scandali che riguardano il premier gli si fa soltanto un favore? Invece di rompere le tasche da anni a noi "antiberlusconiani", i professorini di liberalismo dovrebbero spiegare questi concetti al diretto interessato. Dalle intercettazioni pubblicate da Il Fatto e riprese da tutti, pare infatti che il Cavaliere non si occupi d'altro che di controllare la televisione e i suoi controllori.

Mentre il Pil crolla e i premi Nobel per l'economia pronosticano la bancarotta dello Stato italiano, il presidente del Consiglio trascorre le serate a "concertare" con il commissario dell'Agcom Giancarlo Innocenzi e con altri sottoposti il modo di chiudere Annozero, si sbatte per impedire in futuro l'accesso agli studi Rai a Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro, ordina l'oscuramento perpetuo di Antonio Di Pietro, perde perfino tempo a spiegare a Minzolini che cosa deve dire nell'editoriale del giorno dopo. Tutto purché non passi nel servizio pubblico una mezza informazione sui processi e gli scandali che lo riguardano. Al resto, ci pensano i fidi direttori dei tiggì.

È un concentrato nauseabondo di regime quello che emerge dai dialoghi al telefono. Un padrone ossessivo e dittatoriale che impartisce ordini pazzeschi a un branco di servi contenti. Nel novembre scorso, alla vigilia di una puntata di Santoro dove figura fra gli invitati, Maurizio Belpietro, classico giornalista da riporto, telefona al padrone per informarlo che si parlerà del caso Mills. Berlusconi diventa una furia, chiama il suo uomo all'Autorità delle Comunicazioni, Innocenzi, e gli affida la missione di impedire la messa in onda del programma. Innocenzi chiama il direttore generale della Rai che un po' si lamenta ("nemmeno in Zimbabwe") ma poi illustra allo sprovveduto censore il sistema per bloccare Santoro. In futuro però, perché per impedire la messa in onda la sera stessa bisognerebbe fare un golpe. Ipotesi ancora prematura. Nel frattempo il premier del fare ha già sparso minacce e pressioni per mezza Italia e inviato in missione Letta da Calabrò, presidente dell'Autorità. Un copione simile si rivede ogni volta che Annozero affronta le questioni giudiziarie del premier, per esempio nei giorni della deposizione del pentito Spatuzza. In questo caso scatta anche la rappresaglia sotto forma di editoriale di Minzolini. Quello che teme chi vuole dimezzarne la professionalità. Ponendo un affascinante quesito matematico: si può dimezzare lo zero assoluto?

Ma qui nello Zimba, nemmeno Zimbabwe, si può tutto. Nessuno si scandalizza. Il direttore del Tg1 sostiene che sia normale per un giornalista prendere ordini dal presidente del Consiglio. "Altrimenti che giornalista sarei?". Quando si dice una domanda retorica. I professori di liberalismo invitano, come sempre quando si tratta di persone di rispetto, a non criticare (ovvero: "linciare") nessuno prima che siano provati i reati in maniera definitiva. Quindi, mai. In Italia infatti i processi a potenti da decenni non giungono a sentenza definitiva. In compenso la libera informazione italiana può sempre sfogarsi mettendo alla gogna mediatica qualsiasi anonimo poveraccio incappato in un'indagine su un delitto di periferia, senza suscitare le ire dei garantisti nostrani. Così com'è un costume diffuso in Europa, nel Nord America e finanche in molte democrazie africane e asiatiche, esprimere giudizi etici e politici sui comportamenti delle figure pubbliche addirittura - sebbene alcuni opinionisti indigeni non lo crederanno mai - in assenza di veri e propri reati.

Se dalle intercettazioni e dai comportamenti concreti del commissario Innocenzi e del direttore Minzolini, funzionario e dipendente pubblico, emerge una totale sottomissione a un capo politico, non c'è alcun bisogno di aspettare l'esito dell'inchiesta di Trani per dare un giudizio del loro operato. Almeno se si vuole continuare a fingere di essere un paese normale.

Peraltro, a volte queste cose accadono anche in paesi meno normali. Tanto per rimanere in tema, tre anni fa a Bulawayo l'arcivescovo Pius Ncube, anche in seguito alla protesta dei fedeli, rassegnò le dimissioni per potersi difendere "più liberamente e senza coinvolgere la Chiesa" in un processo per reati sessuali. Bulawayo è nello Zimbabwe.

domenica 14 marzo 2010

L’ultima battaglia del Patriarca

La fine di Berlusconi sembra essere imminente. Paradossalmente, ne potrebbe beneficiare anche la mafia.

Quanto riuscira’ Berlusconi a resistere? Per quanto tempo riuscira’ a rimanere ancora al potere? Queste domande vengono sollevate dopo ogni nuovo scandalo. Storie di sesso, accuse di corruzione, ora anche l’accusa specifica di un pentito mafioso che ha dichiarato che Berlusconi ha avuto contatti fin dal 1993 con Cosa Nostra in Sicilia. Le accuse suonano sempre più drammatiche, gli allarmismi di Berlusconi nei confronti di un “complotto comunista” risuonano sempre piu’ come un disco rotto. Sempre più spesso, Berlusconi minaccia nuove elezioni. La convinzione degli italiani che non vi sia alternativa a lui è la sua ultima speranza di rimanere al potere.

Questa convinzione si sta sgretolando. Anche se il Partito Democratico di centro-sinistra all’opposizione continua a mostrare un quadro triste di se stesso. Per ben otto mesi il Partito Democratico è rimasto senza leader, ovvero proprio al momento in cui le scappatelle sessuali di Berlusconi hanno ridicolizzato l’Italia agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.

Ma a parte le strutture partitiche dell’opposizione, si e’ creata un’ opposizione extra-parlamentare. Ci sarebbe, in primo luogo, una Chiesa sempre piu’ apertamente contro il Presidente del Consiglio; cio’ rappresenta una novità nella storia del dopoguerra. Ci sarebbero gli intellettuali che sono rimasti in silenzio per troppo tempo. Un appello dello scrittore Roberto Saviano a Berlusconi di affrontare i suoi casi giudiziari e’ già stato firmato da 500.000 cittadini. Migliaia di scolari e studenti hanno protestato ancora una volta questo autunno contro il governo. Sabato a Roma si sono radunati centinaia di migliaia di giovani per un “No Berlusconi-Day” organizzato da blogger. La protesta pacifica organizzata via Internet ha fatto sembrare ancora piu’ vecchio il ferito patriarca Berlusconi. Persino il suo mass-media, la seducente e inebriante televisione, con la quale ha tenuto sotto controllo l’Italia tanto tempo è ormai vecchia.

Le azioni della generazione di Internet mostrano che la cultura della protesta in Italia non è ancora completamente soffocata. Tuttavia, politicamente non è più chiaramente etichettabile come nel passato. Alla manifestazione a Roma si potevano udire cori per Gianfranco Fini. Ironia della sorte Fini, tuttora presidente della camera e vice di Berlusconi, è anche il suo critico più risoluto. Dall’estero, Fini sta ricevendo molto supporto e sostegno. Nel partito viene invece attaccato, di recente è stato anche minacciato di espulsione dal partito. L’uomo che una volta considerava Mussolini come “il più grande statista del 20mo secolo”, si presenta ora come un difensore delle istituzioni democratiche contro il suo primo ministro. Un neo-fascista sdoganato come alfiere della democrazia: questa è l’Italia di oggi. Ed è forse l’unica possibilità del paese.

Il ruolo di Fini non è ancora chiaro: è il suo atteggiamento vero, o fa solo la parte del critico che Berlusconi stesso si e’ scelto? Ci sono forti indicazioni che Fini non voglia attendere altri tre anni per assumere il potere nel partito e il paese. Fini sente che potrebbe essere troppo tardi per lui e il suo progetto: l’abbandono di una cultura del capo che è sia antidemocratica che anacronistica, e la costruzione di un partito conservatore moderno ed europeo.

Perche’ non solo per Berlusconi si sta chiudendo la rete, anche per Italia. Per 15 anni, in questo paese tutto cio’ che accade e’ incentrato solo attorno a Berlusconi, la politica non conosce altri temi, Berlusconi stesso neppure. Lui non conosce limiti, di certo non quelli dettati dalla Costituzione. Quando Berlusconi mina e indebolisce le istituzioni democratiche, fa il gioco della mafia. Questo è il grande pericolo per l’Italia, ed è un pericolo reale. Per salvarsi da possibili condanne giudiziarie, il Premier vuole ora ridurre la durata dei processi e quindi cio’ vale anche per i casi contro la mafia. Cio’ vorrebbe dire consegnare il paese nelle mani dei boss per tutelare gli interessi del capo del governo – sempre ammesso che glielo si lasci fare.

I seguaci di Berlusconi hanno a lungo avuto vantaggi in tutti i modi da lui. Berlusconi ha offerto loro denaro, influenza e potere. Adesso questi si rendono conto di essere finiti in un vicolo cieco. E cercano una via d’uscita. Ma probabilmente l’ultima battaglia del Patriarca lascera’ anche a loro un cumulo di macerie. Il berlusconismo probabilmente non si concluderà in una necessaria pulizia e ricambio interno, ma in sfinimento. Indietro rimarra’ un paese politicamente demoralizzato, che già ha pagato. Perché, a dispetto delle attivita’ dei Blogger e delle manifestazioni studentesche, in questi ultimi anni, tanti giovani laureati hanno voltato le spalle all’Italia come mai prima nel passato era successo. I migliori abbandonano un paese spossato e a pezzi.

sabato 13 marzo 2010

Il potere irresponsabile


di MASSIMO GIANNINI

 

Dall'abuso al "sopruso". Dalle regole violate alle "violenze subite". La vera "lezione" che il presidente del Consiglio ha impartito all'Italia democratica (e non certo alla inesistente "sinistra sovietica") è stata esattamente questa: l'ennesima, rancorosa manipolazione dei fatti, seguita dalla solita, clamorosa inversione dei ruoli. Del disastroso pastrocchio combinato sulle liste elettorali non sono "colpevoli" i dilettanti allo sbaraglio del Pdl che hanno presentato fuori tempo massimo documenti taroccati e incompleti, ma i radicali tafferuglisti e i giudici comunisti che li hanno ostacolati.

Del pericoloso pasticciaccio deflagrato sul decreto legge di sanatoria non deve rispondere il governo che l'ha varato, ma i legulei "formalisti" del Tar che l'hanno ignorato, i parrucconi costituzionalisti che l'hanno bocciato e i bugiardi giornalisti che l'hanno criticato. Ancora una volta, come succede dal 1994 ad oggi, lo "statista" Berlusconi evita accuratamente di assumersi le sue responsabilità di fronte al Paese. La sua conferenza stampa riassume ed amplifica la strategia della manipolazione politica e semantica sulla quale si fonda l'intero fenomeno berlusconiano: schismogenesi (provocazione del nemico) e mitopoiesi (idealizzazione di sé).

Non solo il premier non chiede scusa agli elettori per le cose che ha fatto, ma accusa gli avversari per cose che non hanno fatto. Così, nel rituale gioco di specchi in cui l'apparenza si sostituisce alla realtà e la ragione si sovrappone ai torti, il Cavaliere celebra di nuovo la sua magica metamorfosi: il vero carnefice si trasforma nella finta vittima, il persecutore autoritario si tramuta nel perseguitato legalitario. L'importante è mischiare le carte, e confondere l'opinione pubblica. Nella logica berlusconiana lo Stato di diritto è un inutile intralcio: molto meglio lo stato di confusione.



Declinata in termini pratici, la sortita del premier è un indice di oggettiva difficoltà. Stavolta alla sua comprovata "arte della contraffazione" manca un elemento essenziale: l'inverificabilità degli eventi, teorizzata a suo tempo da Karl Popper. Nel caos delle liste, per sventura del Cavaliere, gli eventi sono verificabili. A dispetto delle nove, puntigliose cartelle con le quali ha ricostruito la sua originalissima "versione dei fatti" (che ovviamente scagiona gli eroici "militi azzurri" e naturalmente condanna la "gazzarra radicale") stanno due documenti ufficiali. Le motivazioni con le quali il Tribunale amministrativo regionale ha rigettato il ricorso del
Pdl nel Lazio, e i verbali redatti dai Carabinieri del Comando di Roma. Basta leggerli, per conoscere la verità.

Non è vero che i responsabili del partito di maggioranza hanno depositato la documentazione "entro le ore 12 del 27 febbraio 2010". Non solo la famosa "scatola rossa" con le firme è stata "riscontrata" solo alle ore 18 e 30. Ma all'interno di quel vero e proprio "pacco", come scrive il Tar, "non erano presenti i documenti necessari prescritti dalla legge". Né "l'atto principale della dichiarazione di presentazione della lista provinciale dei candidati del Pdl, né la dichiarazione di accettazione della candidatura da parte di ciascun candidato, né la dichiarazione di collegamento della lista provinciale con una delle liste regionali, né la copia di un'analoga dichiarazione resa dai delegati alla presentazione della lista regionale, né i certificati elettorali dei candidati, né il modello del contrassegno della lista provinciale, né l'indicazione di due delegati autorizzati a designare i rappresentanti della lista...".

E così via, una manchevolezza dietro l'altra. "Formalismo giudiziario"? "Giurisdizionalismo che prevale sulla democrazia", come gridava il Foglio qualche giorno fa? Può darsi. Ma queste sono le regole. E la democrazia vive di regole. Si possono non rispettare, ma poi se ne pagano le conseguenze. Quello che certamente non si può fare (e che invece il premier ha fatto) è negare, contro l'evidenza, la propria negligenza. Peggio ancora, gridare a propria volta alla "violazione della legge", alla "penalizzazione ingiusta", addirittura al "sopruso violento". E infine puntare il dito contro soggetti terzi, che avrebbero impedito il regolare espletamento di un diritto democratico: se il j'accuse ai radicali fosse fondato, il premier dovrebbe come minimo sporgere una denuncia penale contro i presunti "sabotatori". I presupposti, se l'accusa fosse vera, ci sarebbero tutti. Perché non lo fa? Forse perché sta mentendo: è il minimo che si possa pensare.

Letta in chiave politica, la sceneggiata di Via dell'Umiltà è un segnale di oggettiva debolezza. La reazione livida del presidente del Consiglio contro il free-lance che fa domande scomode, sommata all'aggressione fisica di cui si è reso protagonista il ministro La Russa, tradiscono un evidente stato di tensione. Il presidente del Consiglio si muove su un terreno non suo. La battaglia campale combattuta sulle regole non gli appartiene, la campagna elettorale giocata sulle carte bollate non gli si addice. Tra il malcelato nervosismo scaricato contro il cronista "villano e spettinato" e il malmostoso vittimismo riversato contro la "sinistra antidemocratica", lui stesso deve ammettere che "i cittadini sono stanchi" di queste diatribe. È un altro modo per riconoscere in pubblico ciò che ammette in privato: i sondaggi vanno male. Spera nel controricorso al Consiglio di Stato, ma annuncia comunque che il Pdl è pronto fin d'ora a "gettare il cuore oltre l'ostacolo", e a tuffarsi armi e bagagli nella contesa sulle regionali. Di più: con un annuncio da capo fazione, più che da capo di governo, chiama il suo popolo in piazza per il prossimo 20 marzo. In questi slanci estremi e prossimi all'arditismo, tipici dell'uomo di Arcore che non sa essere uomo di Stato, si coglie il tentativo di rispondere all'appello formulato a più voci sulla stampa "cognata": quello di lasciar perdere i cavilli della procedura e di rimettersi in sella ai cavalli della politica.

È una scelta obbligata, ma gravemente tardiva. Comunque vada il voto del 28 marzo, il presidente del Consiglio che abbiamo visto ieri non appare più in grado (posto che lo sia mai stato) di riprendere il cammino delle riforme necessarie, e di riportare il Paese su un sentiero di crescita economica, di equità fiscale e di modernizzazione sociale. L'intera politica berlusconiana, ormai, si distribuisce e si esaurisce in pochi, nevrili sussulti emergenziali: esibizioni strumentali su urgenze di scala nazionale (i rifiuti, il terremoto) e forzature parlamentari su esigenze di tipo personale (processo breve, legittimo impedimento). Per il resto, da mesi l'azione di governo è svilita, svuotata e votata alla pura sopravvivenza. Immaginare altri tre anni così, per un Paese sfibrato come l'Italia, fa venire i brividi. Ha detto bene Bersani, due giorni fa, all'assemblea dei radicali: Berlusconi è ancora troppo forte per essere finito, ma è ormai troppo sfinito per essere forte. Giustissimo. Ci vorrebbe un'alternativa seria e credibile a questa rovinosa legislatura di galleggiamento. Toccherebbe al Pd costruirla, se solo ne fosse capace.



mercoledì 10 marzo 2010

Per non dimenticare

E' un po' che non scrivo niente sul blog , il disgusto per il pagliaccio e la sua corte è talmente grande che a volte è più conveniente cercare di non pensarci ma quello che sta succedendo in questi giorni con il gran casino delle liste Polverini e Formigoni non deve in nessun modo essere dimenticato.
Ormai siamo talmente abituati al peggio da considerarlo parte del paesaggio ma temo che questi giorni segneranno un punto di non ritorno dal baratro verso cui stiamo precipitando.
Un governo che interviene nottetempo con un decreto che nelle intenzioni doveva riammettere alle elezioni delle liste irregolari non è assolutamente normale e tantomeno accettabile.
Le incredibili ballle che il pagliaccio ha raccontato oggi al suo popolino , "ci hanno impedito di presentare le liste, la colpa è dei giudici e dei comunisti" non possono passare inosservate e non possono essere taciute.
Il fatto che i suoi telegiornali le prendano supinamente per buone senza spiegare come sono andate le cose è il sintomo più evidente di un regime in disfacimento continuo .
L'italia è sempre di più la barzelletta d'occidente, basta dare un'occhiata alla rassegna stampa internazionale per rendersene conto  e fugare ogni dubbio.
Non so come andranno a finire le elezioni, oggi mi è capitato di parlare con un elettore leghista il quale si è detto schifato da quello che ha fatto Berlusconi, ma non credo che tutto questo gli impedirà di votare ancora per la Lega sua alleata .
Con tutte le televisioni in mano sua non sarà troppo difficile far passare le sua menzogne per verità e l'italiano medio non è in grado di rendersi conto che lo stanno prendendo in giro per l'ennesima volta.
L'idea che mi sono fatto io è che tutto questo caos sia stato creato ad arte, mi è difficile credere che le liste siano state presentate in ritardo per un disguido e che il governo non si sia reso conto che il decreto legge non avrebbe potuto riammettere la lista del Pdl nel Lazio.
Mi sembra più probabile che lo abbiano fatto apposta per sovraeccitare gli animi , per poter gridare al complotto comunista e giustizialista e per crearsi un alibi.
La repubblica di Weimar è agli sgoccioli , quello che verrà dopo lo scopriremo nei prossimi mesi.