[La Notizia]
La nazione è alle prese con una crisi senza precedenti della libertà di stampa, del sistema istituzionale, e dell’economia. Ma restano poche le reazioni e le critiche.
ROMA – La prima pagina di un sito internet istituzionale, di proprietà di un ministero, il cui scopo è comunicare coi cittadini, svuotata totalmente e utilizzata dalla dirigenza per rispondere perentoriamente alle critiche di una testata giornalistica.
Potrebbe sembrare la descrizione di un fatto avvenuto in un regime paramilitare sudamericano o in una pseudo democrazia mediorentale, e invece è quanto accade nella moderna Italia, da qualche giorno.
La prima pagina del sito del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione è stata totalmente oscurata per far spazio ad una serie di link che rispondono alle critiche del settimanale “L’Espresso”. In alto, al centro, campeggia la scritta “Il Bluff de L’Espresso”, in rosso.
Subito sotto una serie di link, il primo all’inchiesta del settimanale, poi la replica “punto per punto” del ministro, poi un comunicato video, quindi un dossier sul buon operato del ministero, infine il link a un forum istituzionale già noto per la rigidità di moderazione.
Che le critiche siano o meno fondate è poco importante (il settimanale ha a sua volta risposto alla replica del ministro), molto più allarmante è la gestione della critica che il ministero ha messo in atto. Pubblicare la risposta alle critiche in una sezione del sito sarebbe stato contestabile ma anche comprensibile, ben più preoccupante se fatto con questi modi.
Prima pagina oscurata e link al sito vero e proprio collocato a fondo pagina, in piccolo, grigio su bianco. Una vera coercizione anche dal punto di vista dell’accessibilità per i disabili, tra l’altro obbligatoria secondo la locale “Legge Stanca”, e di cui il ministero dell’innovazione dovrebbe essere primo promotore.
Tutto ciò mentre solo poche ore fa il presidente del consiglio Silvio Berlusconi occupava la prima serata del primo canale televisivo nazionale per presentare i propri buoni risultati e le proprie “promesse mantenute” nella gestione del dopo terremoto dell’Abruzzo. Sostanzialmente senza critica e senza contraddittorio. Che le “case” inaugurate fossero prefabbricati in legno, nessun cronista l’ha contestato, così come che gli edifici in muratura in arrivo non saranno per tutti, come invece dichiarato.
La diretta dall’Abruzzo aveva anche causato la modifica dei palinsesti delle altre due reti pubbliche, RaiDue e RaiTre, in modo da non concorrere con gli annunci trionfali della prima rete.
Queste le evidenze più palesi di ciò che solo pochi mesi fa aveva spinto la Freedom House a collocare l’Italia tra i paesi semi-liberi per quanto concerne la libertà di informazione, insieme con dittature e pseudo-democrazie. La situazione nel paese è da mesi, infatti, particolarmente critica.
Le direzioni dei principali quotidiani e telegiornali hanno subito nelle settimane scorse varie modifiche e sostituzioni che molti commentatori hanno criticato severamente, denunciando ingerenze governative.
Inoltre, la recente decisione di Berlusconi di denunciare per diffamazione i quotidiani La Repubblica e L’Unità per un totale di 4 milioni di euro, certifica il proseguire di una strategia dell’intimidazione iniziata già molti anni fa contro i giornalisti Biagi, Santoro e Luttazzi, epurati dalle reti pubbliche a causa delle loro idee politiche. Strategia proseguita nell’infinita pletora di provvedimenti legislativi ad personam o palesemente contrastanti con la libertà di stampa come l’ultimo “ddl intercettazioni”.
L’opinione pubblica sembra percepire solo in modo superficiale questa crisi, e giudica spesso come “pessimiste”, o “esagerate” le descrizioni di quanto avviene. Le ragioni di questa mancata consapevolezza sono da ricercare nella crisi stessa. Quel poco che giunge arriva grazie a commentatori indipendenti e ad Internet, ma la scarsa diffusione delle nuove tecnologie (solo la metà della popolazione le usa con costanza, tra le ultime in Europa) è un notevole ostacolo.
Questa “non percezione” si è inoltre incancrenita in un fenomeno particolare: il giornalista o il personaggio pubblico non sempre subisce dirette e palesi forme di costrizione, ma il timore di inimicare il potente ne spinge buona parte a pericolose forme di autocensura. Non sempre consapevolmente. In un clima auto-mafioso che colpisce più strati della popolazione. Questo avviene anche a livelli più bassi, nel rapporto tra direttore e cronista, e nei più semplici rapporti tra subalterni.
Noto fu il caso della conduttrice Lorena Bianchetti che a seguito di una innocua battuta del mago Silvan sul presidente del consiglio decise di concludere il numero “dissociandosi pubblicamente” in diretta televisiva. Mostrando una palese paura, più che corruzione o malaffare.
La corruzione è, d’altronde, un problema sempre più urgente nel sistema italiano. Di fatto nelle classifiche internazionali sul fenomeno il paese compare sempre agli ultimi posti. Il peso economico di tale prassi sulle tasche degli italiani, secondo il rapporto 2009 del SAeT (Servizio anticorruzione e trasparenza), arriva addirittura a 55 miliardi di euro l’anno. Ovvero una “tassa” occulta da 1′000 euro l’anno per ciascun italiano, inclusi i neonati.
Ad acuire i problemi nazionali del paese v’è infine la recente crisi economica, che secondo l’economista italiano Tito Boeri starebbe severamente colpendo una nazione che non è stata in grado – tra le pochissime nel mondo – di reagire con prontezza. L’economista prevede, inoltre, una grave crisi sul mercato del lavoro interno, criticando gli appelli all’ottimismo di facciata. Poco utili a un paese che più osservatori internazionali non hanno esitato a definire in declino.
In un tale contesto torna d’attualità quella dichiarazione che lo stesso presidente del consiglio Sivlio Berlusconi fece durante il suo precedente governo, nel 2002, causando l’epurazione dei succitati giornalisti: «l’uso che hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso, e io credo che sia un preciso dovere da parte della dirigenza di non permettere più che questo avvenga».
Difficile affermare che abbia mantenuto la promessa.

La nazione è alle prese con una crisi senza precedenti della libertà di stampa, del sistema istituzionale, e dell’economia. Ma restano poche le reazioni e le critiche.
ROMA – La prima pagina di un sito internet istituzionale, di proprietà di un ministero, il cui scopo è comunicare coi cittadini, svuotata totalmente e utilizzata dalla dirigenza per rispondere perentoriamente alle critiche di una testata giornalistica.
Potrebbe sembrare la descrizione di un fatto avvenuto in un regime paramilitare sudamericano o in una pseudo democrazia mediorentale, e invece è quanto accade nella moderna Italia, da qualche giorno.
La prima pagina del sito del ministero della pubblica amministrazione e dell’innovazione è stata totalmente oscurata per far spazio ad una serie di link che rispondono alle critiche del settimanale “L’Espresso”. In alto, al centro, campeggia la scritta “Il Bluff de L’Espresso”, in rosso.
Subito sotto una serie di link, il primo all’inchiesta del settimanale, poi la replica “punto per punto” del ministro, poi un comunicato video, quindi un dossier sul buon operato del ministero, infine il link a un forum istituzionale già noto per la rigidità di moderazione.
Che le critiche siano o meno fondate è poco importante (il settimanale ha a sua volta risposto alla replica del ministro), molto più allarmante è la gestione della critica che il ministero ha messo in atto. Pubblicare la risposta alle critiche in una sezione del sito sarebbe stato contestabile ma anche comprensibile, ben più preoccupante se fatto con questi modi.
Prima pagina oscurata e link al sito vero e proprio collocato a fondo pagina, in piccolo, grigio su bianco. Una vera coercizione anche dal punto di vista dell’accessibilità per i disabili, tra l’altro obbligatoria secondo la locale “Legge Stanca”, e di cui il ministero dell’innovazione dovrebbe essere primo promotore.
Tutto ciò mentre solo poche ore fa il presidente del consiglio Silvio Berlusconi occupava la prima serata del primo canale televisivo nazionale per presentare i propri buoni risultati e le proprie “promesse mantenute” nella gestione del dopo terremoto dell’Abruzzo. Sostanzialmente senza critica e senza contraddittorio. Che le “case” inaugurate fossero prefabbricati in legno, nessun cronista l’ha contestato, così come che gli edifici in muratura in arrivo non saranno per tutti, come invece dichiarato.
La diretta dall’Abruzzo aveva anche causato la modifica dei palinsesti delle altre due reti pubbliche, RaiDue e RaiTre, in modo da non concorrere con gli annunci trionfali della prima rete.
Queste le evidenze più palesi di ciò che solo pochi mesi fa aveva spinto la Freedom House a collocare l’Italia tra i paesi semi-liberi per quanto concerne la libertà di informazione, insieme con dittature e pseudo-democrazie. La situazione nel paese è da mesi, infatti, particolarmente critica.
Le direzioni dei principali quotidiani e telegiornali hanno subito nelle settimane scorse varie modifiche e sostituzioni che molti commentatori hanno criticato severamente, denunciando ingerenze governative.
Inoltre, la recente decisione di Berlusconi di denunciare per diffamazione i quotidiani La Repubblica e L’Unità per un totale di 4 milioni di euro, certifica il proseguire di una strategia dell’intimidazione iniziata già molti anni fa contro i giornalisti Biagi, Santoro e Luttazzi, epurati dalle reti pubbliche a causa delle loro idee politiche. Strategia proseguita nell’infinita pletora di provvedimenti legislativi ad personam o palesemente contrastanti con la libertà di stampa come l’ultimo “ddl intercettazioni”.
L’opinione pubblica sembra percepire solo in modo superficiale questa crisi, e giudica spesso come “pessimiste”, o “esagerate” le descrizioni di quanto avviene. Le ragioni di questa mancata consapevolezza sono da ricercare nella crisi stessa. Quel poco che giunge arriva grazie a commentatori indipendenti e ad Internet, ma la scarsa diffusione delle nuove tecnologie (solo la metà della popolazione le usa con costanza, tra le ultime in Europa) è un notevole ostacolo.
Questa “non percezione” si è inoltre incancrenita in un fenomeno particolare: il giornalista o il personaggio pubblico non sempre subisce dirette e palesi forme di costrizione, ma il timore di inimicare il potente ne spinge buona parte a pericolose forme di autocensura. Non sempre consapevolmente. In un clima auto-mafioso che colpisce più strati della popolazione. Questo avviene anche a livelli più bassi, nel rapporto tra direttore e cronista, e nei più semplici rapporti tra subalterni.
Noto fu il caso della conduttrice Lorena Bianchetti che a seguito di una innocua battuta del mago Silvan sul presidente del consiglio decise di concludere il numero “dissociandosi pubblicamente” in diretta televisiva. Mostrando una palese paura, più che corruzione o malaffare.
La corruzione è, d’altronde, un problema sempre più urgente nel sistema italiano. Di fatto nelle classifiche internazionali sul fenomeno il paese compare sempre agli ultimi posti. Il peso economico di tale prassi sulle tasche degli italiani, secondo il rapporto 2009 del SAeT (Servizio anticorruzione e trasparenza), arriva addirittura a 55 miliardi di euro l’anno. Ovvero una “tassa” occulta da 1′000 euro l’anno per ciascun italiano, inclusi i neonati.
Ad acuire i problemi nazionali del paese v’è infine la recente crisi economica, che secondo l’economista italiano Tito Boeri starebbe severamente colpendo una nazione che non è stata in grado – tra le pochissime nel mondo – di reagire con prontezza. L’economista prevede, inoltre, una grave crisi sul mercato del lavoro interno, criticando gli appelli all’ottimismo di facciata. Poco utili a un paese che più osservatori internazionali non hanno esitato a definire in declino.
In un tale contesto torna d’attualità quella dichiarazione che lo stesso presidente del consiglio Sivlio Berlusconi fece durante il suo precedente governo, nel 2002, causando l’epurazione dei succitati giornalisti: «l’uso che hanno fatto della televisione pubblica, pagata coi soldi di tutti, è un uso criminoso, e io credo che sia un preciso dovere da parte della dirigenza di non permettere più che questo avvenga».
Difficile affermare che abbia mantenuto la promessa.

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