Perché Alitalia deve fallire IL CASO
GIUSEPPE TURANI
La parola più usata da quando la crisi Alitalia è precipitata (ritiro di Colaninno) è certamente "responsabilità": ognuno si deve assumere le sue responsabilità, anche il governo, anche la Cai, anche i piloti, e via discorrendo. E questo è abbastanza curioso, visto che la storia degli ultimi vent'anni della nostra compagnia aerea si è svolta tutta, invece, sotto il segno della più totale irresponsabilità. Di tutti.
Dei vari governi, che hanno lasciato marcire l'azienda e che hanno consentito che si trasformasse in un groviglio di corporazioni (per di più con lo sciopero facile). E che hanno spedito, spesso, a amministrarla della gente che uno non avrebbe messo a gestire una pizzeria, e che appena arrivati, visto che tanto non si poteva comandare o riformare, si son messi subito a occuparsi delle proprie prebende e delle proprie liquidazioni.
Irresponsabilità dei sindacati, che per almeno due decenni hanno coperto il grande groviglio corporativo e il mostruoso spreco di denaro pubblico senza mai dire "basta" e senza mai fare una denuncia robusta, ultimativa e seria. Sindacati sempre prigionieri della logica "ma in fondo sono lavoratori", anche quando lavoravano pochissimo e più che altro accumulavano privilegi inauditi (sembra che a furia di indennità la busta paga dei piloti sia arrivata a contemplare alcune centinaia di voci).
Irresponsabilità, infine, soprattutto di piloti e di hostess che hanno fatto di tutto per mandare a fondo la compagnia, scioperando un giorno sì e uno no (con nessun rispetto per i poveri passeggeri), intascando però prebende e stipendi consistenti.
Adesso son tutti in fila (governo, partiti, sindacati, dipendenti) a dire che bisogna fare l'impossibile per salvare la compagnia di bandiera (grande invenzione lessicale, sembra che si debba salvare la patria). E allora bisogna cercare, nel momento più drammatico, di essere chiari almeno su un punto: in Italia non esiste più, e da tempo, alcuna compagnia aerea di bandiera. E quindi, se la logica ha ancora un valore, non c'è niente da salvare.
Se io metto sotto un capannone due presse, quattro torni, una fresa, dieci di sbarre di ferro, e un po' di gente che passava di lì, non ho fatto un'industria automobilistica: ho semplicemente creato un po' di confusione sotto quel capannone. In modo analogo l'Alitalia non è più (e da anni) una compagnia aerea. E' una struttura impropria per la distruzione di 2 milioni di euro al giorno, che poi ha come attività collaterale, ma non principale, il trasporto aereo, come si può e quando si può (possibilmente con malagrazia, così i passeggeri non prendono cattive abitudini).
Sul piano strettamente tecnico in questi ultimi venti anni è fallita almeno cinque o sei volte, ed è sempre stata salvata da robuste iniezioni di denaro pubblico.
Definire compagnia aerea un affare del genere (nel reparto Cargo c'erano, e forse ci sono ancora, 27 piloti per ogni aereo) è semplicemente una vergogna e tutti coloro che hanno tollerato questo autentico malaffare dovrebbero imporsi il silenzio.
La compagnia di bandiera, cioè, è fallita già anni fa e oggi è soltanto un patetico relitto, una sorta di mostro che cammina, senza più alcun futuro nel sofisticato campo del trasporto aereo.
E questo lo sanno tutti, compreso Berlusconi. Il quale però è troppo uomo di comunicazione e quindi in campagna elettorale, invece di lasciare che se la pigliasse Air France (con grande sprezzo del pericolo), si è avvolto nel tricolore e ha annunciato a tutti che aveva una cordata di imprenditori a lui fedeli e che, per fare un favore a lui, avrebbero salvato Alitalia, consentendo così al paese di continuare a avere la propria compagnia di bandiera (piena di debiti, con aerei vecchi e superati, dipendenti ingovernabili).
Passate le elezioni, si è visto che la cordata non c'era. E quindi, alla fine, si è dovuto telefonare a Corrado Passera (il mago di Banca Intesa che aveva già risanato le Poste) e pregarlo di inventarsi, santo cielo, qualcosa perché si rischiava una figuraccia.
E Passera ha fatto il miracolo. Non solo ha messo insieme una cordata di imprenditori (probabilmente i più stupiti di tutti per essere finiti dentro un pasticcio del genere), ma a capo è riuscito a metterci addirittura Roberto Colaninno, l'ex comandante in capo dei capitani coraggiosi che avevano dato l'assalto a Telecom. Un uomo dichiaratamente di sinistra. Ma va bene lo stesso, l'importante è che si prenda sulle spalle Alitalia e se la porti via.
Naturalmente Colaninno e i suoi amici sono stati trascinati in questa storia in fretta e furia, ma pur sempre imprenditori sono. E quindi hanno chiesto qualche garanzia.
Intanto, fuori dalla compagnia di bandiera tutti i debiti e tutto il vecchio che non serve. Poi, calma con le ambizioni, poche rotte e possibilmente domestiche (dove i guadagni sono sicuri). E, infine, una premessa importante: l'affare si fa solo se i sindacati accettano le nuove regole (si lavora di più e si guadagna meno, ma soprattutto l'azienda torna a essere governabile dal management). Se questo non viene accettato, spiega Colaninno, io torno a fare i miei scooter e le mie motociclette e i miei amici tornano in provincia a occuparsi dei loro affari e a giocare a biliardo.
Qui si potrebbe aprire una parentesi e chiedersi come mai persone assennate e oggettivamente di valore come Passera e Colaninno si sono lasciate trascinare in questa avventura sgangherata. E la spiegazione è una sola: l'Italia, nonostante tutto, è un paese ancora borbonico e avere il Principe (che sta a palazzo Chigi) che ti deve un grosso favore, è un grandissimo affare. Senza dimenticare che poi l'affare si poteva mettere insieme davvero: magari rivendendo tutto fra qualche anno a una compagnia straniera.
Ma le cose sono andate di traverso. Alla fine, come si è visto, piloti e hostess, che da vent'anni in Alitalia fanno tutto quello che gli pare, hanno mandato a fondo l'accordo e hanno festeggiato con una specie di festa improvvisata sul piazzale di Fiumicino.
E' difficile capire il perché di quella festa, di quell'entusiasmo e di quei canti (in fondo se ne andava l'ultimo possibile "salvatore" al capezzale dell'Alitalia, e quindi dei loro stipendi). Ma c'è una spiegazione. In realtà, piloti e hostess non vogliono nessun "salvatore". Faranno scappare qualunque matto che oserà avvicinarsi all'Alitalia con intenzioni caritatevoli. Non vogliono nessun padrone.
O, meglio, ne vogliono uno solo, di gomma: lo Stato italiano. E questo perché sanno, per esperienza ventennale, come si fa a piegarlo: basta qualche sciopero improvviso, un po' di ritardi, e molte lagne.
E adesso che cosa si può fare? Poiché Berlusconi è un combattente e non ci sta a incassare questa figuraccia, si può star certi che cercherà di tirar fuori qualche altro coniglietto dal suo cilindro (ma chi chiamerà dopo Passera e Colaninno?). In realtà, l'unica cosa seria da fare è portare i libri in tribunale e lasciare che l'Alitalia si spenga. E' un cadavere da anni e è giusto che venga seppellita, codice civile alla mano.
La mattina dopo, con calma, si potrà cominciare a discutere se ci serve davvero una compagnia aerea, chi la può fare, chi ci può lavorare e a quali condizioni. Se si deciderà che qualcosa ci vuole, si potranno comprare gli aerei, fare gli accordi con i grandi network di volo del mondo, e si potranno assumere piloti e hostess.
Berlusconi, è ovvio, non farà una gran bella figura. Ma d'altra parte Alitalia era già fuori dai nostri schermi radar a marzo (destinazione Air France), è stato lui a riportarla fra di noi a forza, dicendo: io so come si fa. Ma non era vero. Non lo sa e non lo ha mai saputo.
Nessuno ha mai saputo come si risana Alitalia. Così come nessuno ha mai saputo come si quadrano i cerchi. Non si può e basta.
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