Nell’ultimo rapporto di Trasparency International sulla percezione della corruzione nel mondo, pubblicato ieri, l’Italia guadagna 15 posizioni rispetto all’anno scorso. Nel senso che è percepita molto più corrotta di prima. Nella speciale classifica dei paesi meno corrotti, siamo al 55° posto, a pari merito con le Seychelles e sopravanzati da modelli di onestà come Sudafrica, Malaysia, Giordania, Costa Rica, Capo Verde, Bhutan, Macao, Bahrein, Oman Mauritius, Sud Corea, Taiwan, Portorico, Malta Botswana, Emirati Arabi, Cipro, Dominicana, Qatar, Barbados, Santa Lucia, ovviamente Israele (dove il premier Olmert, indagato per corruzione, si è appena dimesso anziché varare un lodo Alfano modello mediorientale) e l’intera Europa, con l’esclusione della Grecia che ci tallona a poca distanza dalla Turchia. Chi l’avrebbe mai detto.
Si sperava che avere un presidente del Consiglio imputato di corruzione giudiziaria di una falso testimone, corruzione semplice di un dirigente Rai e tentata corruzione di alcuni senatori (oltrechè di frode fiscale, falso in bilancio e appropriazione indebita), più 18 parlamentari pregiudicati e una settantina tra imputati e indagati, migliorasse la nostra posizione. Purtroppo la comunità internazionale, infestata di comunisti, non ci ha capiti.
E dire che il nuovo governo ha fatto di tutto per dare al mondo un’immagine di impegno indefesso contro la corruzione: per esempio, con la soppressione dell’Alto Commissariato Anti-Corruzione (ente peraltro inutile, senza fondi né personale) decisa dall’ottimo Brunetta e denunciata qualche giorno fa dall’Ocse.
Per esempio, con l’annunciata riforma delle intercettazioni che, come anticipato dal premier imputato e impunito, le vieterà per la corruzione e per quasi tutti i reati finanziari (escluso il falso in bilancio, ma solo perché era già non-intercettabile prima), proprio nel momento in cui i crac della finanza americana inducono l’intero universo a premunirsi con indagini più ficcanti e sanzioni più severe.
Per esempio, convocando le commissioni parlamentari Giustizia nei giorni delle udienze del processo Mills, per farle saltare grazie ai provvidenziali “impedimenti” degli onorevoli avvocati del premier.
Per esempio, tagliando i fondi per la giustizia di 900 milioni per tre anni, bloccando i concorsi per nuovi magistrati e le assunzioni dei cancellieri e impiegati nei tribunali nonostante 3 mila vuoti negli organici (ma, come rivelava l’altro giorno Ferrarella sul Corriere, si è provveduto per legge a sanare la ferita: gli organici risulteranno pieni, al completo, perché verranno calcolati sul personale presente e non più su quello che dovrebbe essere presente), e dimezzando i compensi ai 1700 viceprocuratori onorari (ora in sciopero) che sostituiscono i pm di ruolo nel 90% dei processi davanti al giudice monocratico.
Niente da fare, il mondo non vuole proprio saperne di riconoscere gli sforzi sovrumani del governo italiano per combattere l’illegalità. A nulla sono valse le inequivocabili dichiarazioni di Silvio Berlusconi che, alla vigilia delle elezioni, ha promosso “eroe nazionale” il boss sanguinario Vittorio Mangano, ospite per due anni nella sua villa travestito da stalliere; e che, l’altro giorno ha tuonato contro i giudici che si ostinano a celebrare “persecuzioni giudiziarie”, cioè processi per corruzione (per esempio, quello a carico dell’amico falso testiimone David Mills). E ha auspicato, previa riforma della giustizia, “che i pm si rechino dai giudici con il cappello in mano”.
E’, questa, una sua vecchia fissazione ispirata da prassi autobiografiche: col cappello in mano infatti si recavano due amici suoi, Vittorio Metta e Renato Squillante, dal suo avvocato preferito, Cesare Previti, che non mancava mai di riempire il loro cappello con qualche mazzetta targata Fininvest in cambio di sentenze comprate. Una, per dire, sottrasse la Mondadori a Carlo De Benedetti e la consegnò a lui, che continua a possederla.
Casi che imporrebbero la separazione non tanto dei pm dai giudici, ma dei giudici dai suoi avvocati.
L’Unità del 24.9.2008
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