[Le Monde]
Normalmente, la notizia non avrebbe oltrepassato i confini di Vigevano, provincia di Pavia (Lombardia). La sera di sabato 18 ottobre, l’arbitro di un incontro di basket fra Cat Vigevano e Bopers Casteggio si è così rivolto ad un giocatore che contestava una sua decisione: “Vai a raccogliere banane in Africa”. L’insulto era rivolto a Bryant Inoa Piantini, 20 anni, italiano di origini dominicane. Il giorno successivo, il quotidiano torinese “La Stampa” ha dedicato ampio spazio al resoconto di questa partita.
Normalmente…ma nell’Italia di oggi, non passa una settimana senza che accadano episodi di natura razzista. La lista è già lunga. Dopo gli incendi dolosi dei campi Rom che hanno segnato la primavera e l’estate, sono sopraggiunte le aggressioni.
Il 14 settembre a Milano, un ragazzo originario del Burkina Faso, Abdul Guibré, è stato ucciso a colpi di spranga dai gestori (padre e figlio) di un bar dove il ragazzo aveva rubato un pacco di biscotti. “Sporco negro” hanno sentito i testimoni.
Il 29 settembre, a Parma (Emilia Romagna), Emmanuel Bonsu-Forster, 22 anni, originario del Ghana, viene fermato dai vigili urbanie portato al comando per un. Ne esce qualche ora più tardi, con un occhio gonfio, una gamba rotta, tenendo fra le mani in mano la busta nella quale protegge i suoi documenti. “Emmanuel Negro”, vi hanno scritto sopra i vigili, non avendo capito come si scriveva il suo nome.
Il 2 ottobre a Roma, nel quartiere difficile di Tor Bella Monaca, Tong Hongshen, 36 anni, viene preso a calci e pugni da cinque adolescenti davanti alla fermata dell’autobus. “Cinese di merda” urla uno degli aggressori.
A questa litania si aggiunge il massacro di Castel Volturno (Campania): sette persone, di cui sei africani, sono morti sotto i colpi dei killer della Camorra. Crimine razzista? Alcuni lo pensano. Le immagini della manifestazione organizzata il giorno successivo lungo la strada principale di quella terra desolata hanno fatto il giro delle agenzie di stampa: immigrati africani che brandiscono segnali stradali, spazzatura incendiata, automobili rovesciate equelle grida:”Italiani razzisti!”
Da allora,la stampa tiene il bilancio preciso di tutte le manifestazioni di razzismo. Da un lato una marocchina insultata, dall’altro una prostituta africana lasciata nuda nella stanza di un commissariato, poi un venditore senegalese picchiato a colpi di mazza da baseball per aver osato esporre la sua paccottiglia vicino agli ambulanti italiani. Nei telegiornali della Penisola, questi atti di violenza nei confronti degli stranieri si intrecciano ormai con l’elenco dei reati commessi dagli “extracomunitari”.
Sociologi, psicologi, vescovi, politici si accalcano al capezzale della Penisola. Persino il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è preoccupato: “E’ allarme razzismo”. Cosa sono diventati questi “Italiani brava gente” che hannofatto la notorietà dell’accoglienza in Italia? Impregnati di tradizione cattolica e compassione, gli Italiani hanno in passato accolto gli stranieri a braccia aperte. “Il razzismo non è nel nostro DNA” riprendono in coro i politici di maggioranza delle città nelle quali hanno avuto luogo le violenze.
Allora, cosa sta succedendo? I sociologi avanzano un’ipotesi: paese d’emigrazione, l’Italia è diventata in meno di trent’anni un paese di immigrazione. Un cambiamento troppo rapido per essere assecondato. L’ultimo censimento effettuato rilevava 3.432.651 immigrati regolari, di cui 457.000 nati su suolo italiano. Sono più numerosi al Nord, ricco e prospero, che al Sud.
Per scoraggiare i potenziali immigrati, sotto l’influenza della Lega Nord, partito chiaramente xenofobo, il Governo punisce gli immigrati, presentati come una fonte di minore sicurezza. Moltiplica gli ostacoli alla loro integrazione. Il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, eccelle in questo esercizio. Un giorno propone il permesso di soggiorno a punti, un altro le classi separate per i bambini stranieri, un altro ancora la negazione di cure mediche ai clandestini.
Il sindaco di Oppeano (Lombardia) preferisce acquistare terreni anziché vedere musulmani suoi concittadini costruirci sopra una moschea. Il vicesindaco di Treviso si chiede: “Una moschea? Ma che vadano a pregare e a pisciare nel deserto!” Il capogruppo della Lega Nord nel Consiglio della Regione Friuli-Venezia Giulia rifiuta di ospitare una mostra sull’Africa a Pordenone perchè “di immigrati non ne vogliamo vedere più, nemmeno in fotografia, qui sono già il 25% della popolazione.” Il sindaco di Verona lunedì 20 ottobre ha fatto ricorso alla sentenza di condanna a due mesi di prigione e a tre anni di interdizione dei diritti civili: aveva distribuito dei volantini su cui era scritto “Fuori i Rom”. “La Lega è l’incubatrice del razzismo” scrive il giurista di centro-sinistra Stefano Rodotà.
Italia razzista? E’ “un fenomeno di automutilazione” spiega Mario Marazitti, della comunità di Sant’Egidio, che opera nelle realtà più svantaggiate. “Senza gli immigrati – prosegue – l’Italia perderebbe ogni anno abitanti einvecchierebbe . Gli immigrati regolari pagano ogni anno 2 miliardi di euro di tasse. Criminalizzando gli irregolari li si rende più fragili, li si emargina e si finisce per gettarli nelle braccia del crimine organizzato. A New York, nel 1904, gli italiani erano all’origine del 51% dei delitti commessi nella città, pur rappresentando soltanto il 5% della popolazione.”
L’Italia razzista? Sociologo all’Università di Bologna, Mario Barbagli ha dedicato tre libri (Edizioni Laterza) alla questione. “Negli anni Novanta, l’alta percentuale degli immigrati fra gli spacciatori e le prostitute ha spinto la gente a pensare che l’immigrazione fosse la causa principale della minore sicurezza. Ma questa non era che una delle conseguenze del loro rifiuto”.
Italia razzista? “Diciamo che il terreno è fertile” spiega il deputato di centro-sinistra Sandro Gozi. Gli immigrati sono ormai considerati da molti italianicome rivali per l’accesso alle cure mediche, agli alloggi. Se non sviluppiamo un discorso più positivo nei loro riguardi, rischiamo una guerra fra poveri”. Nel 2006, alla guida di una commissione parlamentare, Gozi ha redatto un dossier di 650 pagine nelle quali deplorava “l’assenza di un modello nazionale di integrazione e di riflessione sulla multiculturalità.” “Abbiamo bisogno di politiche strutturali – prosegue – non di soluzioni di emergenza. Le buone pratiche esistono. Queste ci devono ispirare.”
Per vederle, direzione Emilia-Romagna, a Reggio Emilia. 162.000 abitanti nel 2007, di cui 21.334 stranieri, il 13,18% della popolazione. Nel 2000 non erano che 7.900. Reggio e il suo 2% di disoccupazione, Reggio e le sue produttive industrie meccaniche, Reggio luogo di nascita delle prime cooperative, è diventata per gli immigrati uneden , la promessa di una vita stabile. Un tempo comunista, il Comune accorda il 50% del suo budget alle spese sociali. Il 40% dei bambini da 1 a 6 anni va a scuola o all’asilo (contro la media italiana del 9%). Gli imprenditori, che qui hanno bisogno di manodopera integrata e felice, sostengono la politica del sindaco, Graziano Delrio (centro-sinistra). La casa di alta moda Prada, che ha una sede a Reggio, ha offerto una scuola, pagata subito fino all’ultimo centesimo.
“Ma attenzione” dice Delrio “accoglienza non significa carità. Noi chiediamo agli immigrati di comportarsi da uomini. Devono essere degli interlocutori.” Approfittando di un fitto tessuto associativo e di una struttura efficace, Mondo Insieme, Reggio propone ai suoi nuovi abitanti un vero e proprio kit di integrazione, che passa prima di tutto attraverso la scuola e il lavoro. Tutti i servizimunicipali e la metà degli impiegati sono coinvolti. “L’immigrazione è il problema più importante dell’Italia” afferma il sindaco.
Attraverso i centri sociali, Reggio si sforza di moltiplicare i punti di contatto fra stranieri e italiani, soprattutto nel quartiere della stazione ferroviaria, dove vivono più del 50% degli immigrati. “Ci si rende conto che il ristoratore cinese ha gli stessi problemi del barbiere italiano”, spiega il membro di un’associazione. Risultato: la città è diventata una fra le più sicure d’Italia. “Le cose che si sentono alla radionon arrivano a Reggio” assicura Bandaogo Seni, un immigrato venuto dal Burkina Faso. Ma tutti lo ammettono: “Il contesto politico rende le cose più difficili”. Perché il sindaco e i suoi collaboratori non possono offrire agli immigrati “extracomunitari” quello che lo Stato nega loro e che reclamano maggiormente: il diritto di voto alle elezioni amministrative e procedure di accesso alla cittadinanza italiana più rapide – lo jus sanguinis prevale dall’epoca in cui gli Italiani emigravano in tutto il mondo. “Il governo tratta l’immigrazione come se le persone un giorno ripartissero per il loro paese, come gli italiani che sono ritornati nella loro terra dopo aver fatto fortuna”, si lamenta André Lekeunen, studente di diritto camerunense.
Malgrado tre leggi sull’immigrazione, malgrado la politica repressiva del governo, ogni giorno o quasi nuove imbarcazioni abbandonano la loro valanga di clandestini spaventati e intirizziti nel porto di Lampedusa. I 14 centri di prima accoglienza della Penisola sono diventati troppo piccoli. Il governo ne promette 10 supplementari e alloggia gli immigrati appena arrivati in alberghi. Ogni giorno, la tensione fra gli italiani e i nuovi arrivati sale.
Mario Marazitti, della comunità di Sant’Egidio, si ricorderà per molto tempo della visita a Roma del ministro della giustizia del Burkina Faso. La stava accompagnando a Palazzo Chigi, sede del governo, per firmare un accordo fra il Burkina Faso e l’Italia perorganizzare meglio il censimento della popolazione immigrata, quando un tizio ha urlato al passaggio della donna ministro “Negra, torna a casa tua!”
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